Siduri, la taverniera che vive (lontano), sulla riva del mare,
colei che vive // basamenti per le brocche sono fatti per lei,
brocche d'oro sono fatte per lei, essa è rivestita di abiti e
// Gilgamesh errava attorno e // era rivestito soltanto di una
pelle... // egli aveva sì carne degli dei nel corpo, ma
angoscia albergava nel suo cuore. La sua faccia era come quella
di uno che ha viaggiato per lunghe distanze. La taverniera lo
vede da lontano, si consulta nel suo cuore e pronuncia le
parole, con se stessa essa si consulta "Forse quest'uomo è
un assassino, egli sta andando in qualche posto per
uccidere". La taverniera lo osservò e sbarrò la porta.
Tirò il chiavistello e vi appose il catenaccio. Ma egli,
Gilgamesh, si accorse di ciò, sollevò il suo mento e si
diresse verso la porta. Gilgamesh a lei parlò, così disse alla
taverniera: "Taverniera, perché dopo avermi guardato, hai
sbarrato la tua porta? Hai tirato il chiavistello e apposto il
catenaccio? potrei abbattere la porta, far saltare il
chiavistello, // di me // nella steppa" La taverniera così
parlò a lui, a Gilgamesh://
Il
patimento di Gilgamesh
Gilgamesh a lei parlò, così disse alla taverniera: // "Io ho
ucciso Khubaba, colui che viveva nella Foresta dei Cedri, io ho
ucciso i leoni che ho incontrato nei passi di montagna". La
taverniera allora disse a lui, a Gilgamesh: "Se tu sei
veramente Gilgamesh, colui che uccise il guardiano, abbatté
Khubaba che viveva nella Foresta dei Cedri, che sgozzò i leoni
nei passi di montagna, che affrontò il Toro celeste che An
aveva mandato giù dal cielo e lo uccise, perché le tue guance
sono così emaciate e la tua faccia stanca? Perché il tuo cuore
è così confuso e il tuo sguardo assente? Perché regna
angoscia nel profondo del tuo essere? Perché la tua faccia è
simile a quella di uno che ha viaggiato per lunghe distanze?
Perché la tua faccia porta i segni del caldo e del freddo, e
indossando soltanto una pelle di leone, tu vaghi nella steppa?
Gilgamesh a lei parlò, così disse alla taverniera: "Non
dovrebbero le mie guance essere così emaciate e la mia faccia
stanca? Non dovrebbe il mio cuore essere così confuso e il mio
sguardo assente? Non dovrebbe regnare angoscia nel profondo del
mio essere? Non dovrebbe la mia faccia essere simile a quella di
uno che ha viaggiato per lunghe distanze? Non dovrebbe la mia
faccia portare i segni del caldo e del freddo, e indossando
soltanto una pelle di leone, non dovrei io vagare nella steppa?
L'amico mio, il mulo imbizzarrito, l'asino selvatico delle
montagne, il leopardo della steppa, Enkidu, l'amico mio, il mulo
imbizzarrito, l'asino selvatico delle montagne, il leopardo
della steppa, noi, dopo esserci incontrati, abbiamo scalato
assieme la montagna abbiamo catturato il Toro celeste e lo
abbiamo ucciso, abbiamo abbattuto Khubaba, che viveva nella
Foresta dei Cedri, abbiamo ucciso nei passi di montagna i leoni
l'amico mio che io amo sopra ogni cosa, che ha condiviso con me
ogni sorta di avventure, Enkidu che io amo sopra ogni cosa, che
ha condiviso con me ogni sorta di avventure, ha seguito il
destino dell'umanità. Per sei giorni e sette notti io ho pianto
su di lui, né ho permesso che fosse seppellito, fino a che un
verme non è uscito fuori dalle sue narici. Io ho avuto paura
della morte, ho cominciato a tremare e ho vagato nella steppa.
La sorte del mio amico pesa su di me: per sentieri lontani ho
vagato nella steppa. La sorte di Enkidu, il mio amico, pesa su
di me: per sentieri lontani ho vagato nella steppa. Come posso
io essere tranquillo, come posso io essere calmo? L'amico mio
che amo è diventato argilla; Enkidu, l'amico mio che amo, è
diventato argilla. Ed io non sono come lui? Non dovrò giacere
pure io e non alzarmi mai più per sempre?".
Gilgamesh
richiede aiuto
Gilgamesh, parlò a lei, alla taverniera: "Ora, o taverniera,
qual è la via per arrivare ad Utanapishtim? Indicami la
direzione, qualunque essa sia; dammi le coordinate! Se è
necessario attraverserò il mare, se no, vagherò nella
steppa". La taverniera così parlò a lui, a Gilgamesh:
"O Gilgamesh, non c'è stato mai un traghetto e nessuno da
tempo immemorabile ha mai attraversato il mare; Shamash, il
guerriero, è l'unico che attraversa il mare; al di fuori di
Shamash chi può mai attraversarlo? La traversata è difficile,
la via piena di insidie; e nel mezzo vi sono acque mortali che
impediscono la navigazione. Come puoi quindi tu Gilgamesh
attraversare il mare? Ed una volta che hai raggiunto le acque
mortali, cosa farai? In verità vi è, o Gilgamesh, il
traghettatore di Utanapishtim, Urshanabi. Egli, che potrai
riconoscere dalle stele di pietra, nel bosco taglia tronchi
d'alberi. Va'! Possa egli vedere la tua faccia! Se è possibile,
attraversa con lui il mare, altrimenti torna indietro".
Gilgamesh
con il traghettatore di Utanapishtim
Quando Gilgamesh udì ciò,prese l'ascia al suo fianco, sfoderò la
spada dalla sua guaina, si inoltrò nel bosco e scese incontro
ad esse : come una freccia egli si buttò tra queste. In mezzo
al bosco si udì un boato, Urshanabi guardò e scorse l'essere
splendente; prese quindi un'ascia e lo affrontò: con essa colpì
la sua testa, la testa di Gilgamesh. Lo prese per le braccia e
gli mise i piedi sul petto. E le stele di pietra // della nave,
senza le quali non sono percorribili le acque di morte, // e il
grande mare; nel fiume // furono trattenute. Egli le colpì e le
buttò nel fiume. // nave, e // sulla sponda. Gilgamesh così
parlò a lui, ad Urshanabi il battelliere: "//sono entrato,
// a te". Urshanabi parlò allora a lui, a Gilgamesh:
"Perché le tue guance sono così emaciate e la tua faccia
stanca? Perché il tuo cuore è così confuso e il tuo sguardo
assente? Perché regna angoscia nel profondo del tuo essere?
Perché la tua faccia è simile a quella di uno che ha viaggiato
per lunghe distanze? Perché la tua faccia porta i segni del
caldo e del freddo, e indossando soltanto una pelle di leone, tu
vaghi nella steppa? Gilgamesh così parlò a lui, ad Urshanabi
il battelliere: "Non dovrebbero le mie guance essere così
emaciate e la mia faccia stanca? Non dovrebbe il mio cuore
essere così confuso e il mio sguardo assente? Non dovrebbe
regnare angoscia nel profondo del mio essere? Non dovrebbe la
mia faccia essere simile a quella di uno che ha viaggiato per
lunghe distanze? Non dovrebbe la mia faccia portare i segni del
caldo e del freddo, e indossando soltanto una pelle di leone,
non dovrei io vagare nella steppa? L'amico mio, il mulo
imbizzarrito, l'asino selvatico delle montagne, il leopardo
della steppa, Enkidu, l'amico mio, il mulo imbizzarrito, l'asino
selvatico delle montagne, il leopardo della steppa, noi, dopo
esserci incontrati, abbiamo scalato assieme la montagna abbiamo
catturato il Toro celeste e lo abbiamo ucciso, abbiamo abbattuto
Khubaba, che viveva nella Foresta dei Cedri, abbiamo ucciso nei
passi di montagna i leoni, l'amico mio che io amo sopra ogni
cosa, che ha condiviso con me ogni sorta di avventure, Enkidu
che io amo sopra ogni cosa, che ha condiviso con me ogni sorta
di avventure, ha seguito il destino dell'umanità. Per sei
giorni e sette notti io ho pianto su di lui, fino a che un verme
non è uscito fuori dalle sue narici. Io ho avuto paura della
morte, ho cominciato a tremare e ho vagato nella steppa. La
sorte del mio amico pesa su di me: per sentieri lontani ho
vagato nella steppa. per vie lontane ho vagato nella steppa.
Come posso io essere tranquillo, come posso io essere calmo?
L'amico mio che amo è diventato argilla; ed io non sono come
lui? Non dovrò giacere pure io e non alzarmi mai più?".
Gilgamesh così parlò a lui, ad Urshanabi il battelliere:
"Ora, o Urshanabi, qual è la via per arrivare da
Utanapishtim? Indicami la direzione, qualunque essa sia. Dammi
le coordinate; se è necessario attraverserò il mare, se no,
vagherò nella steppa". Urshanabi così parlò a lui, a
Gilgamesh: "Le tue mani, o Gilgamesh, sono incapaci di
portarti attraverso il mare, tu hai abbattuto le stele di pietra
e le hai buttate nel fiume; le stele di pietra sono abbattute e
queste sono allontanate. Prendi ora un'ascia, o Gilgamesh, al
tuo fianco; va' giù nel bosco e taglia pali di trenta metri
ognuno; spiana i tronchi e applica dei pomelli su di essi,
portali quindi a me //” Quando Gilgamesh udì ciò, prese
un'ascia al suo fianco, sfoderò la spada dalla sua guaina,
scese giù nel bosco e tagliò pali di trenta metri ognuno, egli
li spianò ed applicò dei pomelli, li portò quindi ad
Urshanabi;
Navigando
nelle acque della morte
e così Gilgamesh e Urshanabi si imbarcarono sulla nave, essi
fecero salpare la nave e si misero in viaggio. Il percorso di un
mese e quindici giorni in direzione del paese di //, essi lo
compirono in soli tre giorni. Così giunse Urshanabi alle acque
di morte. Allora Urshanabi parlò a lui, a Gilgamesh: "Stai
indietro Gilgamesh! Prendi un palo, le acque di morte non devono
sfiorare la tua mano //; un secondo, un terzo e un quarto palo
prendi o Gilgamesh; un quinto, un sesto e un settimo palo prendi
o Gilgamesh; un ottavo, un nono e un decimo palo prendi o
Gilgamesh; un undicesimo, un dodicesimo palo prendi o Gilgamesh".
Giunto a centoventi, Gilgamesh aveva esaurito tutti i pali.
Allora egli slacciò la sua cintura per legarli, quindi
Gilgamesh si spogliò dei suoi vestiti, e con le sue braccia li
arrotolò attorno all'albero della nave. Utanapishtim osserva la
scena da lontano, consultandosi con sé stesso pronuncia le
parole, in verità egli va riflettendo tra sé: "Perché
sono state divelte le stele di pietra a cui era attraccata la
nave e senza le quali non è possibile attraversare il mare?
Colui che viene da me non è dei miei, e // Io guardo ma non lo
riconosco; io guardo ma non lo riconosco; io guardo ma non lo
riconosco; chi viene da me? //
L'incontro
con l'eroe del diluvio Utanapishtim
Utanapishtim così parlò a lui, a Gilgamesh: "Perché le tue
guance sono così emaciate e la tua faccia stanca? Perché il
tuo cuore è così confuso e il tuo sguardo assente? Perché
regna angoscia nel profondo del tuo essere? Perché la tua
faccia è simile a quella di uno che ha viaggiato per lunghe
distanze? Perché la tua faccia porta i segni del caldo e del
freddo, e indossando soltanto una pelle di leone, tu vaghi nella
steppa? Gilgamesh così parlò a lui, a Utanapishtim: "Non
dovrebbero le mie guance essere così emaciate e la mia faccia
stanca? Non dovrebbe il mio cuore essere così confuso e il mio
sguardo assente? Non dovrebbe regnare angoscia nel profondo del
mio essere? Non dovrebbe la mia faccia essere simile a quella di
uno che ha viaggiato per lunghe distanze? Non dovrebbe la mia
faccia portare i segni del caldo e del freddo, e indossando
soltanto una pelle di leone, non dovrei io vagare nella steppa?
L'amico mio, il mulo imbizzarrito, l'asino selvatico delle
montagne, il leopardo della steppa, Enkidu, l'amico mio, il mulo
imbizzarrito, l'asino selvatico delle montagne, il leopardo
della steppa, noi, dopo esserci incontrati, abbiamo scalato
assieme la montagna abbiamo catturato il Toro celeste e lo
abbiamo ucciso, abbiamo abbattuto Khubaba, che viveva nella
Foresta dei Cedri, noi abbiamo ucciso nei passi di montagna i
leoni; l'amico mio che io amo sopra ogni cosa, che ha condiviso
con me ogni sorta di avventure, Enkidu che io amo sopra ogni
cosa, che ha condiviso con me ogni sorta di avventure, ha
seguito il destino dell'umanità. Per sei giorni e sette notti
io ho pianto su di lui, né ho permesso che fosse seppellito,
fino a che un verme non è uscito fuori dalle sue narici. Io ho
avuto paura della morte, ho cominciato a tremare e ho vagato
nella steppa. La sorte del mio amico pesa su di me: per sentieri
lontani ho vagato nella steppa. La sorte di Enkidu, il mio
amico, pesa su di me: per sentieri lontani ho vagato nella
steppa. Come posso io essere tranquillo, come posso io essere
calmo? L'amico mio che amo è diventato argilla; Enkidu, l'amico
mio che amo, è diventato argilla; ed io non sono come lui? Non
dovrò giacere pure io e non alzarmi mai più per sempre?".
Gilgamesh parlò a lui, a Utanapishtim: "Per poter
raggiungere te, Utanapishtim il lontano, del quale parlano gli
uomini, io girovagai andando in ogni dove, attraversai paesi
pieni di insidie, e navigai per tutti i mari; il mio viso non
assaporò sufficientemente il dolce sonno; mi ammalai quasi per
mancanza di sonno; il mio cuore era pieno di angoscia. Che cosa
ho guadagnato con le mie fatiche? Non sono stato accolto bene
dalla taverniera, perché i miei vestiti erano strappati; ho
ucciso orsi, iene, leoni, leopardi, tigri, cervi, stambecchi,
bovini ed altre bestie selvagge della steppa; ho mangiato la
loro carne, ho buttato via le loro pelli. Possa la sua porta
essere sbarrata dall'angoscia, con pece e bitume essa sia resa
impermeabile! Per me non c'è
protezione alcuna, le mie disavventure mi hanno ridotto
in miseria!"
La
delusione di Gilgamesh
Utanapishtim parlò a lui, a Gilgamesh: "Perché, o Gilgamesh,
vuoi prolungare il tuo dolore? Tu, che gli dei hanno creato con
la carne degli dei e di uomini; tu, che gli dei hanno fatto
simile a tuo padre e a tua madre, proprio tu, Gilgamesh, ti sei
ridotto come un vagabondo! Eppure, per te un trono è stato
deciso nell'assemblea degli dei, mentre per il vagabondo è
stata destinata feccia invece di ambrosia; i rifiuti e la
spazzatura sono per lui come nettare, egli è vestito di
stracci, // come una cintura viene buttato via; poiché egli non
ha senno né saggezza, egli non possiede intendimento, //
Gilgamesh, allora, alzò i suoi occhi e disse: "Chi, (se
non) il loro signore può riempirli di //, Sin e Marduk? // Sin
e Marduk // si sono alzati gli dei // agendo senza sosta // da
quando // e tu pianifichi e // la tua compagnia //Se Gilgamesh
si cura dei santi templi degli dei // i sacri santuari // gli
dei // umanità
essi lo anno condotto al suo destino. Perché ti sei agitato
tanto? Che cosa hai ottenuto? Ti sei indebolito con tutti i tuoi
affanni; hai soltanto riempito il tuo cuore di angoscia. Hai
soltanto avvicinato il giorno lontano della verità.
La
triste verità di Utanapishtim
L'umanità è recisa come canne in un canneto. Sia il giovane
nobile, come la giovane nobile sono preda della morte. Eppure
nessuno vede la morte, nessuno vede la faccia della morte,
nessuno sente la voce della morte. La morte malefica recide
l'umanità. Noi possiamo costruire una casa, possiamo costruire
un nido, i fratelli possono dividersi l'eredità, vi può essere
guerra nel paese, possono i fiumi ingrossarsi e portare
inondazione:// libellule che sorvolano il fiume il loro sguardo
si rivolge al sole, e subito non c'è più nulla. Il prigioniero
e il morto come si assomigliano l'un l'altro! Nessuno può
disegnare la sagoma della morte; l'uomo primordiale è un uomo
prigioniero. Dopo avermi benedetto, gli Anunnaki, i grandi dei,
sedettero a congresso; Mammitum, colei che crea i destini, ha
decretato assieme al loro destino: essi hanno stabilito morte e
vita; i giorni della morte essi non hanno contato a differenza
di quelli della vita". Gilgamesh parlò a lui, al lontano
Utanapishtim.