IL    LEUDO    LIGURE

 

 

 

        

Nei primi anni dello scorso secolo,fino agli anni ’50,nei porti e sulle spiagge dei nostri mari approdavano imbarcazioni dalla linea e dalle caratteristiche inconfondibili, che, coi loro carichi animavano il piccolo commercio nel Mar Ligure e Tirreno settentrionale, fino alla Maremma e alle isole: i leudi liguri.Utilizzato per il piccolo cabotaggio delle più svariate mercanzie, dai prodotti dell’artigianato a quelli alimentari, vino olio,sabbia da costruzione, talvolta per la pesca, il leudo ligure è diventato quasi un simbolo della terra da cui ha origine. In effetti un leudo al suo arrivo spesso era accolto da una piccola folla e, tirato in secca sulla spiaggia a forza di braccia o ormeggiatolo,diventava un vero e proprio emporio e il marinaio stesso si trasformava in mercante. Forse mai un’imbarcazione ha assomigliato tanto a chi ne faceva uso! Nato dall’arte sapiente dei maestri d’ascia della Riviera di Levante, assomigliava molto nell’aspetto, ma non nelle dimensioni,al gozzo ligure (la barchetta delle cartoline delle 5 Terre). Era armato a vela alatina, con un unico corto albero molto inclinato in avanti,una lunga antenna che portava l’ampia vela e un lungo bompresso su cui erano murati uno o due fiocchi. Il suo alto bordo libero e le sue dimensioni  (i più grandi arrivavano a  più di 20t di stazza), unitamente ad una grande manovrabilità e robustezza dell’ossatura,ne facevano un’imbarcazione adatta alla navigazione in alto mare anche con equipaggio ridotto; mentre gli spazi interni e le strutture sopra coperta, che la lasciavano sgombra, permettevano sia la vita a bordo per più giorni sia un ampio stoccaggio di merci. 


Ma la caratteristica principale era che, grazie al suo scarso pescaggio e alla forma e  della robusta chiglia, poteva approdare a lidi in acque basse o senza strutture portuali, risalire le acque interne o venire piaggiato, raggiungendo anche piccoli centri dove i bastimenti non arrivavano.L’albero senza manovre fisse talvolta nelle imbarcazioni più piccole, così come per i piccoli gozzi, spesso veniva smontato e portato via, con tutte le vele, una volta terminato il viaggio ed ormeggiato; cosicché al mattino presto per i vicoli e i moli di Camogli o Lavagna o Sestri Levante si assisteva alla processione di marinai e pescatori curvi sotto il peso degli armi velici o dei remi o delle lunghe barre di timone, che si apprestavano ad allestire le loro barche prima del nuovo giorno.Il leudo era una barca da lavoro, dalla quale dipendeva il pane quotidiano, e chi ne possedeva uno giudicava la bontà di una barca in base a quanta merce poteva trasportare ogni viaggio, a quanti viaggi riusciva a fare nel minor tempo possibile e in quali condizioni di mare, col minimo di equipaggio e manutenzione, e fin dove riusciva a spingersi.Tutto sul leudo era ottimizzato per il lavoro che svolgeva generosamente, riassunto nelle sue linee essenziali e robuste che sono il segreto del suo fascino schietto e senza tempo.             

 

      

 In alto: maestri d'ascia su poste italiane

 Sopra: maestri d'ascia al lavoro.

 A lato: piani di costruzione


IL LEUDO " FELICE  MANIN"


Uno di essi era il “Felice Manin”.

Leudo lungo 22.60 m, largo 5.60 m, peso 25t, con 160 mq di vele, fu varato nel 1891 a Genova e  subito acquistato da un commerciante di formaggi sardi, Paulin Ghio, ben conosciuto sui mercati come “Cumbinemu”, col quale navigò il Tirreno col suo carico di formaggio e altro fino al primo dopoguerra. Ma nell’inverno del ’31, un fortunale lo sorprese a Riva Trigoso dove era ormeggiato. L’imbarcazione, rotti gli ormeggi, finì contro gli scogli riportando gravi danni al fasciame e alle strutture. Cumbinemu si gettò in acqua nel tentativo di salvare il leudo o almeno i documenti di bordo ma, ormai anziano, prese una polmonite che poco più tardi lo portò alla morte. Il “Felice Manin” comunque continuò l’attività commerciale fino agli anni ’70, prima per i fratelli Castagnola che lo restaurarono e, nel ’35 lo dotarono di motore ausiliario diesel da 60 cv, poi per un commerciante di Santa Margherita Ligure, ribattezzato “Padre Carlo”. Fu uno degli ultimi leudi ad essere impiegato per il cabotaggio, l’attività per cui era nato, trasportando barili di vino tra l’Elba e la Liguria. 

Nel ’71 venne abbandonato su una spiaggia a Riva Trigoso, dopo un tentativo di farne una barca da  diporto, dove rimase fino all’81 quando un appassionato di Milano, Luigi Cappellini, lo acquistò, ormai ridotto a relitto, per restaurarlo. Con la collaborazione anche dell’Università di Genova sono stati recuperati i disegni originali e, il 3 luglio ’82, riprendeva il largo, dopo un accuratissimo lavoro di recupero, proprio da Riva Trigoso  col nome “Felice Manin”.  Tra il 1982 e l’84, nel suo nuovo ruolo di barca d’epoca, ha partecipato a varie manifestazioni dove col suo equipaggio si è guadagnato vari premi e riconoscimenti…e un francobollo commemorativo in occasione del Salone nautico di Genova dell’84. Dopodiché affronta l’Atlantico, con rotta  San Salvador, dove approda dopo 52 giorni, naviga nelle splendide acque caraibiche, ed è presente anche alle celebrazioni  dell’ 86 per il centenario della Statua della Libertà, sfilando sul fiume Hudson insieme alla Vespucci in rappresentanza dell’Italia. L’avventura successiva è risalire il San Lorenzo fino a Chicago, ma l’impresa si rivela durissima per l’approssimarsi dell’inverno con venti gelidi e bufere di neve; così raggiunta Chicago gli otto dell’equipaggio sono persuasi, sicuramente con profondo malincuore, a tornarsene in aereo, lasciando l’imbarcazione abbandonata in disarmo in un piazzale sul porto. Li vi rimarrà fino al ’99 quando l’autorità portuale di Chicago ne ordina lo sgombero. A La Spezia la notizia smuove il sentimento popolare perché la gente non vuole perdere un pezzo così caro della propria storia e cultura, in cui così bene si riconosce; il sindaco stesso si fa promotore del comitato “Salviamo il Leudo Felice Manin - Classe 1891” (www.felicemanin@index.htm), raccogliendo l’adesione pure della Marina Militare; e finalmente il 20 maggio 2000 il leudo, gravemente danneggiato, torna alla sua terra. Adesso è ricoverato in attesa di restauro presso l’Arsenale della Marina Militare a La Spezia, è oggetto di studi e di tesi di laurea, nonché “banco di lavoro” per allievi maestri d’ascia e restauratori. Ed è una sfida avvincente…Si pensi che di leudi rivani di quell’epoca ne sono rimasti solo quattro! Auguriamo Buon Vento al “Felice Manin”… Sarebbe un onore e una forte emozione per chiunque impugnare la barra del timone di questa imbarcazione, che ha rappresentato e ancora rappresenta la vita e il lavoro ti così tante persone di generazioni diverse!

 

    

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