CAPITOLO 3  <<       >>


 


 Nell’umorismo di questa satira si cela senz’altro la vena schietta umoristica dello scalpellino che  non disdegnava mai di riderci sopra ogni qualvolta la ripeteva agli estranei e tutto questo ormai perdura nel tempo. In merito alle colonne di granito si sa anche che nel secolo XVI° precisamente nel 1597 quattro colonne del granito d’Elba per scudi 520 furono portate a Pisa per il Duomo della Piazza dei Miracoli che aveva subito danni per un incendio. Per il trasporto di colonne, così tanto difficile e laborioso, si nota uno scritto su pietra del duomo, in lingua latina, in merito  all’ingegnosità dell’architetto Buschero. Lo scritto è sul sepolcro distico sulla facciata del tempio come “Mirabile visu…quod vix mille buoum possent…Traxit ab imo fama culumnam”(1064-1110). Le colonne sono un degradante tipo di pietra granitica, rozzamente lavorate alla punta, con diverso trattamento di polimento: si dice siano in tutto 70 colonne per 65 anni di lavoro nel trovare, cavare, lavorare, trasportare, innalzare e per esse un’intera città ha collaborato a Pisa, che in quegli anni era un’importante città del Mediterraneo. Ognuno lasciò l’etichetta e divenne la mente e la mano ala stessa stregua, pur di abbellire la città, e si dette vita così a una testimonianza collettiva dimostrando l’universalismo del Rinascimento. In Duomo le prime colonne innalzate furono quelle prossime ai pilastri della cupola, allineate in due divisioni ortogonali,e sono proprio le secchetane. La costruzione più antica che esiste ancora oggi a Seccheto si pensa che sia ancora il vecchio molino ormai in disuso, la cui proprietaria, signora Catta Clara, ha adibito a stanza abitabile per le necessità del caso. E’ una costruzione con mura solide di 90 cm di larghezza e si trova all’entrata del paesino proprio ai piedi del ponte che unisce le due sponde del fosso. E lungo quel piccolo ruscello ho visto spesso negli anni ‘50 le donne che lavavano i panni che poi stendevano al sole nelle siepi circostanti. Allora correva ancora l’acqua chiara ed ognuno si fidava di quella. Il bottaccio del molino era sempre pieno con una gora che prendeva l’acqua sopra le Pente. Era uno spettacolo quando “Gazzà” alzava il capo cavallo e l’acqua scendeva forte fin sulla ruota di legno fatta con pale di duro castagno, facendola girare nell’arco sottostante la costruzione ora chiuso. All’interno le castagne venivano messe nel recipiente che le faceva cadere sulle grosse macine rotonde di pietra scelta per la sua durezza, dove venivano frantumate e ridotte a profumata farina pronta per essere cotta in deliziosi castagnacci. Per quanto riguardava la posta, doveva pensarci Pasquina di Simone, la quale si recava tutti i giorni, a piedi, a San Piero per prendere la corrispondenza in arrivo per poi distribuirla in tutta la frazione di Seccheto. E anche per quel servizio ci voleva fatica nel fare quelle tante ore di strada su per i solitari dirupi. Il disagio più grave era quello del servizio ambulatoriale che mancava e quando c’era bisogno veniva il simpatico dottor Vago da San Piero e poi si doveva andare a Marina di Campo a prendere le medicine o con la barca fino al Colle o a piedi su per Cavoli e il Ciglio Rosso.


         

costruzione della strada costiera

 

 A proposito di antichità, ancora c’è da ricordare, secondo l’Huelsen, l’Ara votiva a Ercole rinvenuta a Seccheto, ora conservata nel Municipio di Portoferraio che permise di conoscere l’esistenza della villa romana alle Grotte “Domus innalzata so orlo”. Nei primi anni del dopoguerra il mare intorno all’Isola d’Elba era ancora infestato da mine vaganti che a volte, spinte dalle correnti, giungevano sulla costa provocando gravi disgrazie ai malcapitati che si avvicinavano per vederle, come infatti avvenne a due bravi giovani a Fetovaia. Nel 1946, durante una notte tempestosa, si udì in lontananza sul mare un forte boato ed alle prime luci dell’alba si profilò all’orizzonte tra Pianosa e Montecristo la sagoma di una grossa nave in avaria, tutta pendente da un lato che pareva dovesse affondare da un momento all’altro. Era incappata in una di quelle mine vaganti che, esplodendo, le aveva arrecato gravi danni. Allora con lo scopo di voler aiutare chi ne avesse avuto bisogno, convinsi i miei amici Pisani che avevano la barca a motore a raggiungere la nave sfidando le onde, così partimmo, con Lido, Angelo e Lazzeri. Quando fummo 6 miglia da Seccheto in direzione della nave incontrammo nel mare tempestoso una scialuppa di salvataggio colma di naufraghi americani, una trentina di persone anche di colore. Fra di loro un ufficiale ci implorò di rimorchiarli fino a terra essendo loro ormai esausti. Così facemmo ed approdammo con la barca a rimorchio sulla spiaggia di Cavoli che si prestava meglio per l’opera di salvataggio. In quell’occasione per mettere in risalto il buon animo della gente elbana, tutta la popolazione della campagna secchetana offrì coperte, indumenti, bevande calde, e più ancora conforto morale senza nulla chiedere e nulla avere. Il comandante della nave mercantile dopo averci ringraziato anche a nome dl tutti i suoi. Marinai, mi disse parlando in francese che la nave se avessi voluto sarebbe stata mia e dei miei amici: bastava andare là e salirci sopra per diventare milionari. Ma non credemmo opportuno affrontare di nuovo il mare cattivo, così la nave fu portata a Portoazzurro da un rimorchiatore livornese venuto là qualche ora dopo. Passando ad altro riguardo al mare e alla sua pescosità negli anni ’50, cioè prima che subisse la trasformazione che oggi presenta purtroppo a causa dell'inquinamento che lo deteriora, oltre la frequente presenza dei sub e dei  natanti, una volta ho catturato con mio cognato Piero un grosso polpo di 8 chili e mezzo e soltanto dopo 3ore di pesca avemmo a bordo una trentina di prede per 38 Kg. Vicino a riva si poteva pescare liberamente facendo però attenzione a qualche sconsiderato dinamitardo, con la lenza o con un rudimento da sub, belle triglie, ragni, tracine, sogliole, mormore e  molte altre specie che ora se ne stanno bene intanate come le cernie, lontano dalla riva. Fino al 1918 gli scalpellini lavoravano sotto una ditta tedesca che il popolo chiamava “gli Zimmeri” che avevano impiantato a Seccheto e a Cavoli una buona industria del granito. I bei pezzi venivano trasportati fino all’imbarcadero in prossimità del mare su piccole rotaie e là, una specie di argano detto “il Picche”, che era un braccio orizzontale di robusto legno sui 4 metri che veniva fissato ad un palo verticale alto circa sette metri che stava ben piantato su di un grosso scog1io a fare da mandra. Da terra blocchi venivano legati al braccio semovente come fa una gru che li scaricava sui bastimenti per il trasporto verso il continente. Si dice che in quei modo a mezzo di barconi e zattere, venissero trasportate le colonne granitiche che in ogni tempo sono servite ai romani, pisani e fiorentini e che hanno ancora nei loro più suggestivi luoghi d'arte. Poi, quando tedeschi persero la guerra del l5-18 anche gli Zimmeri finirono la loro attività all'Elba. Tutto passò in mano all'Associazione Combattenti e Reduci e in parte all'Avvocato Piero Mellini di Firenze che impiantò una fiorente indu­stria del granito con vagoncini e centrate elettrica validamente aiutato dal suo fat­tore Sig Franchi. I Picche c’era a Fetovaia, Cavoli, Pomonte e Seccheto Gli scalpellini Lavoravano anche per il sig. Bontempeli di San Piero, che era proprietario di una grande cava detta “la  Cavallina” prima che si formasse per conquista sociale una cooperativa sulla lavorazione del granito con sede in San Piero ben gestita dal caro amico Oddone. Negli anni '30 d'epoca fascista, quando uno scalpellino capo famiglia non gua­dagnava abbastanza per vivere, scontava con il lavoro il debito fatto servendosi della bottega dello stesso datore di lavoro. Allora esisteva in Seccheto anche il circolo dopo lavoro ed alcune bottegucce dove si vendevano generi alimentari ed arnesi che servivano per il lavoro agricolo. La centrale del Mellini era così bene organizzata da fornire la luce elettrica anche a Seccheto. Infatti sulle mura dei vecchi magazzini  del piccolo sobborgo si notano ancora dei braccioli per lampioni di ferro ormai logori, che si presume allora servissero per tenere i cavi elettrici. Erano gli anni più duri per i secchetani che erano sprovvisti del necessario specialmente di una strada, mentre il governo ne costruiva in Africa per la maggior gloria del suo Impero. Intanto i vecchi raccontano che per imparare a scrivere il proprio nome andavano qualche volta dalla buona Patana che si arrangiava per insegnare loro i primi rudimentali segni della nostra scrittura. Alcuni andavano persino a San Piero per imparare qualcosa. Con il fascismo venne la scuola rurale che fu impostata in un magazzino e la custode era la Sig.ra Galli ovvero “la Totana”, donna pronta ad aiutare tutti che consigliava dove le difficoltà erano molte per la dura vita agreste di quei posti così tanto imprevedibili. Come si vede la c'era tanto bisogno di quelle persone così esperte ed ecco perché la cara Giuseppa diverrà il simbolo più vero di quella bontà innata nell’aiutare il prossimo come faceva la zia Nunziata da sarta per tutti.  In quel tempo per diverse volte, quando ancora la strada non c'era, ho percorso la mulattiera fino a Marina di Campo con la Teresa che si recava fare servizi al mio collega Nannino, ed ho dovuto sudare sette camicie per stare dietro al passo che portava lei ormai sessantenne. La gente di allora in quella zona era abituata a lunghe camminate e spesso alcuni andavano persino a Portoferraio a piedi con tre o quattro ore di strada sotto il sole cocente. Nella parte più ad ovest dell’isola cioè Pomonte e Chiessi, erano ancora più disagiate le condizioni di vita perché quei luoghi distavano molto da Marciana e Campo. Durante le feste religiose e patronali i secchetani e le persone delle campagne si recavano a San Piero, cioè "al Paese" che per loro significava la città, dove ognuno aveva una casetta ed i parenti più intimi. Allora caricavano tutto sull'asino ed in lunghe file indiane raggiungevano le piane della Racchellina, in vista del paese, attraverso i Castancoli. In paese nei giorni Natalizi e Pasquali si sentiva veramente la festa specialmente anche perché dappertutto c'era un magnifico odore di corolli, di strufoli, di frangette, di arrosti e di ragù Il pane veniva cotto e lavorato artisticamente, specie a Pasqua, confezionato con degli uccellini, dei fiori e delle composizioni augurali, come meravigliosamente sapevano fare le zie Angioletta e Paolina. Erano buone le schiacce e i pinzini e da Mamiliano il pastore, si poteva comprare la vera ricotta dal sapore delizioso. Dallo stesso uomo ebbi anch'io la gioia il comprare la lana per fare un bel materasso in sostituzione di quello che avevo fatto di toglie di granturco e vegetale. In San Piero le Messe, le Processioni i Presepi sapevano di veramente sacro, di sublime: durante i matrimoni in chiesa si poteva udire persino la Messa cantata con "Ave Maria” dalla voce tenorile del collega Publio Olivi. Là, quando era festa lo era davvero, anche in occasione del famoso "Maggio" giorno in cui i giovani si riunivano e in coro  facevano la serenata alla bella che era obbligata a.donare il corollo saporito da mangiarsi come dolce fra canti e balli insieme a tutti i paesani. Allora magari si dormiva in quattro su di un letto ma c'era la giovinezza, li folklore sentito, perciò il disagio dell'alloggio era ben poca cosa. Del famoso Maggio ancora una buona tradizione. Poi con l'avvento della  strada  Seccheto perse un po’ di queste abitudini e si sentì più libero di organizzare le feste  staccandosi quasi completamente dal Paese, vendendo anche le case in San Piero per consolidare meglio il capitale sul luogo  di residenza, e così, da "scioano", diveniva padre-padrone, regalando quel dispregiativo a coloro che glielo avevano appiccicato e che erano costretti a scendere dal piedistallo se volevano godersi il buon mare della nostra zona.  A questo punto vorrei parlare  di una persona  caratteristica, di un uomo straordinario anni ’50, perché altri non avrebbero faticato come  un  ciuco come faceva lui e  resistito a fornire la calce come la lavorava lui. Quest'uomo era Pierulivo Antonio detto "lo sciorato" in senso simpatico della parola, essendo egli un uomo con un fisico di ferro e con una volontà tenace, rara tra gli uomini di oggi. Egli aveva il coraggio di recarsi lungo le ripe delle Tombe (tra Fetovaia e Pomonte) che era un posto deserto  dove abbondava la pietra da calce e  bassa macchia mediterranea, erbitri, scope, lecci e mucchi; per raccogliere le pietre stesse che metteva una sull’altra dentro buche come pozzi.

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