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SERSE E LEONIDA. LA BATTAGLIA DELLE TERMOPILI Prima parte 1)Dopo che la notizia della battaglia svoltasi a Maratona ebbe raggiunto re
Dario figlio di Istaspe, già prima fortemente irritato nei confronti
degli Ateniesi per l'assalto a Sardi, tanto più gravemente se la
prendeva allora e più ebbe fretta di marciare contro la Grecia. E
subito, inviando messaggeri nelle varie città, ordinava di allestire un
esercito, imponendo a ognuno contributi ben maggiori di quelli versati
in precedenza, e navi da guerra e cavalli e vettovaglie e mercantili.
Attraversata in lungo e in largo da tali ordini, l'Asia per tre anni fu
sottosopra, mentre venivano arruolati i migliori soldati e tenuti pronti
per l'imminente spedizione contro la Grecia. Ma in capo a tre anni gli
Egiziani, già resi schiavi da Cambise, si ribellarono ai Persiani; a
quel punto, perciò, Dario sentì ancora di più l'urgenza di marciare
contro gli uni e anche contro gli altri. 2) Mentre Dario stava per muovere contro l'Egitto e Atene, sorse tra i suoi
figli un'aspra contesa per il potere: secondo la consuetudine persiana,
dicevano essi, Dario doveva prima designare il successore e poi mettersi
in marcia. Dario aveva avuto tre figli, prima di diventare re, dalla
prima moglie, figlia di Gobria, e altri quattro, ormai sovrano, da
Atossa, la figlia di Ciro. Il maggiore dei primi tre era Artobazane, il
maggiore degli altri quattro Serse. Come figli di madri diverse, erano
in conflitto tra loro: Artobazane perché era il più anziano
dell'intera figliolanza e in tutto il mondo vigeva l'uso che il più
anziano avesse il potere; Serse in quanto prole di Atossa, la figlia di
Ciro, e perché era stato Ciro ad assicurare ai Persiani la libertà. 3) Dario non aveva ancora espresso il proprio parere, quando capitò a Susa
Demarato, figlio di Aristone, che era stato privato del titolo di re a
Sparta e si era imposto l'esilio volontario dalla Laconia. Venuto a
conoscenza della lite fra i figli di Dario, Demarato si presentò a
Serse (così almeno si racconta) e gli consigliò di aggiungere ai suoi
argomenti il fatto di essere nato da Dario quando questi già era re e
deteneva il potere in Persia, mentre Artobazane era nato quando Dario
era ancora un cittadino qualunque: non era quindi né logico né giusto
che un altro gli venisse anteposto in una prerogativa che toccava a lui,
Serse; del resto anche a Sparta, suggeriva Demarato, usava così: se
esistevano figli nati prima che il padre fosse re e poi se ne aggiungeva
uno nato più tardi, quando il padre ormai regnava, la successione al
trono spettava all'ultimo venuto. Serse fece suo il consiglio di
Demarato e Dario, riconosciuto che diceva cose giuste, lo indicò come
successore. Secondo me, Serse avrebbe regnato anche senza questo
suggerimento; Atossa, infatti, aveva in mano ogni potere. 4) Designato Serse re dei Persiani, Dario si accingeva a partire. Ma accadde
che l'anno dopo questi avvenimenti e dopo la rivolta dell'Egitto, mentre
era intento ai preparativi, Dario stesso, dopo trentasei anni
complessivi di regno, morì, senza riuscire a vendicarsi né degli
Egiziani ribelli né degli Ateniesi. 5) Alla morte di Dario il regno passò nelle mani di suo figlio Serse. Ebbene,
Serse, all'inizio, non era per nulla entusiasta di marciare contro la
Grecia; contro l'Egitto, invece, ammassava le truppe. Presso di lui
c'era e godeva di maggior autorità di qualunque altro Persiano Mardonio,
figlio di Gobria, cugino di Serse (figlio di una sorella di Dario), il
quale gli tenne il seguente discorso: "Signore", disse,
"non è giusto che gli Ateniesi, autori di molti misfatti verso i
Persiani, non paghino per le colpe commesse. Va bene, realizza intanto
quello che hai per le mani; ma una volta domato l'Egitto ribelle, guida
l'esercito contro Atene, che si parli come si deve di te, nel mondo, e
ci si guardi bene, in futuro, dal muovere guerra al tuo paese".
Queste erano parole che spingevano alla vendetta; ad esse aggiungeva la
seguente affermazione, che l'Europa era contrada stupenda, ricca di
alberi da frutta di ogni specie, e di straordinaria fertilità, degna di
essere posseduta, fra i mortali, soltanto dal gran re. 6) Parlava così perché era avido di rivolgimenti e personalmente voleva
essere governatore della Grecia. Col tempo convinse Serse e lo persuase
a intraprendere quell'azione; anche altri avvenimenti, in effetti, lo
aiutarono a persuadere Serse: intanto dei messaggeri, giunti dalla
Tessaglia da parte degli Alevadi, si infervoravano a istigare il re
contro la Grecia (gli Alevadi erano re della Tessaglia), inoltre i
Pisistratidi, saliti fino a Susa, ribadivano i discorsi degli Alevadi e
a essi aggiungevano ulteriori sollecitazioni. A Susa li aveva
accompagnati Onomacrito, ateniese, un interprete di oracoli,
riordinatore delle profezie di Museo. Avevano deposto ormai ogni
rancore: Onomacrito, infatti, era stato cacciato da Atene da Ipparco,
figlio di Pisistrato, perché colto in flagrante da Laso di Ermione
mentre inseriva fra le predizioni di Museo il vaticinio che le isole
vicine a Lemno sarebbero state inghiottite dal mare; per questa ragione
Ipparco, che prima si valeva moltissimo di lui, lo aveva esiliato. In
questa circostanza, giunto assieme a loro, tutte le volte che veniva al
cospetto del re, mentre i Pisistratidi si profondevano in elogi sul suo
conto, lui recitava qualche solenne oracolo: se vi erano contenute
catastrofi per i barbari, non le menzionava, sceglieva invece e riferiva
le profezie più propizie, e dichiarava come il destino volesse
l'Ellesponto aggiogato da un uomo persiano, e in sostanza preannunciava
la spedizione. Concorrevano allo stesso fine, insomma, lui, recitando i
suoi oracoli, e i Pisistratidi e gli Alevadi, che esponevano il proprio
parere. 7) Una volta presa la decisione di muovere contro la Grecia, Serse, l'anno
successivo alla morte di Dario, cominciò col marciare contro i ribelli.
Li ridusse in suo potere, rese l'intero Egitto più schiavo di quanto
non fosse ai tempi di Dario e lo affidò ad Achemene, fratello suo,
figlio di Dario. Achemene, mentre governava l'Egitto, l'uccise tempo
dopo Inaro il Libico, figlio di Psammetico. 8) Serse, sottomesso l'Egitto, al momento di intraprendere la spedizione
contro Atene, convocò in via straordinaria i nobili persiani, per
sentirne il parere e a sua volta rendere note in presenza di tutti le
proprie volontà. A) Quando furono riuniti, Serse parlò così: "Persiani, non sarò io a
introdurre e istituire questa usanza fra voi: l'ho ereditata e me ne
servirò. Ebbene, a quanto apprendo dai più anziani, noi non siamo mai
stati inattivi dall'epoca in cui subentrammo ai Medi nell'egemonia, da
quando Ciro sconfisse Astiage; un dio anzi ci guida così, e, a
seguirlo, molte nostre cose si sono messe al meglio. Ebbene, i popoli
assoggettati e annessi da Ciro, da Cambise e da mio padre Dario non è
il caso di elencarli: li sapete bene. Io, da quando ho ricevuto il
trono, ho continuato a pensare come non essere da meno di chi mi ha
preceduto in questa dignità e come aggiungere ai Persiani non minore
potenza; e riflettendo trovo intanto gloria da sommare a gloria e un
paese non inferiore a quello ora in nostro possesso, né più povero,
anzi più fertile e nel contempo una occasione di rivalsa, una vendetta
che si realizza. Per questo io ora vi ho riuniti qui, per esporvi i miei
progetti: B) mi accingo, gettato un ponte sull'Ellesponto, a condurre un esercito
attraverso l'Europa, contro la Grecia, per vendicarmi sugli Ateniesi di
quanto hanno fatto ai Persiani e a mio padre. Voi vedeste anche mio
padre Dario impaziente di partire contro quella gente; ma è morto e non
è riuscito a prendersi la rivalsa. Io, per lui e per gli altri
Persiani, non avrò pace finché non espugnerò e non darò alle fiamme
Atene: sono stati loro per primi a macchiarsi di torti nei confronti
miei e di mio padre. Intanto, vennero a Sardi assieme ad Aristagora di
Mileto, un mio servo, e, una volta a Sardi, incendiarono i santuari e i
templi; poi, le perdite che inflissero quando calammo nel loro paese, e
Dati e Artafrene guidavano l'esercito, credo le conosciate tutti. C) Per queste ragioni sono pronto a muovergli guerra; ed ecco i vantaggi che
scopro laggiù, se ci penso: sottomettendo quelle genti e i loro vicini
che popolano la terra di Pelope il Frigio, porteremo la Persia a
confinare con il cielo di Zeus: il sole dall'alto non vedrà terra
limitrofa alla nostra; io, assieme a voi, farò di voi tutti un unico
paese, dopo aver attraversata tutta l'Europa da un capo all'altro. Sono
convinto che è così e che al mondo non rimarrà città alcuna, né
popolo alcuno in grado di opporsi a noi in battaglia, una volta
eliminate le genti che ho detto. E così subiranno un giogo servile sia
i colpevoli verso di noi sia gli innocenti. D) Ed ecco come dovete regolarvi per farmi cosa gradita: quando indicherò il
giorno destinato al raduno, è meglio che ognuno di voi si affretti a
presentarsi; a chi verrà con le truppe meglio equipaggiate, elargirò i
doni ritenuti più preziosi nel nostro paese. Questo dunque è quanto va
fatto: per non darvi l'impressione di decidere da solo, apro il
dibattito e invito chi di voi lo desideri a esprimere un parere".
Ciò detto, tacque. 9) Dopo di lui intervenne Mardonio: "Signore, tu sei il migliore non solo
fra i Persiani che furono, ma anche fra quelli che verranno: hai toccato
vertici di nobiltà e di verità nel resto del tuo discorso e non
permetterai agli Ioni che risiedono in Europa, a quelli indegni, di
farsi beffe di noi. Sarebbe davvero tremendo se noi, che, solo per
accrescere la nostra potenza, abbiamo sottomesso e teniamo in schiavitù
Saci, Indiani, Etiopi, Assiri e molti altri grandi popoli in nulla
colpevoli verso i Persiani, non ci vendicassimo dei Greci che hanno dato
loro inizio alle offese. A) E di che cosa avremmo paura? Di quale massa di gente? Di quali risorse
economiche? Sappiamo come combattono, conosciamo la loro forza, che è
ben poca cosa. Abbiamo in mano nostra, soggiogata, la loro progenie,
questi che qui, insediati nel nostro paese, si chiamano Ioni, Eoli,
Dori. Ho già provato personalmente a marciare contro questa gente per
ordine di tuo padre e nessuno mi si oppose in battaglia, mentre mi
spingevo fino in Macedonia e quasi quasi arrivavo ad Atene. B) Eppure mi dicono che i Greci sono abituati a scatenare guerre scriteriate,
per follia, per stupidità: si dichiarano guerra fra loro e, dopo aver
scovato il luogo più bello e piano, scendono lì ad affrontarsi, sicché
i vincitori si ritirano sempre con perdite gravi; degli sconfitti poi,
non parlo nemmeno, perché escono annientati. Dato che parlano la stessa
lingua, dovrebbero comporre le discordie servendosi di araldi e
ambasciatori, e di qualunque mezzo piuttosto che con le armi; e se
proprio si trovassero costretti a guerreggiare fra loro, dovrebbero
trovare un posto dove entrambi scoprissero meno il fianco agli attacchi,
e lì misurarsi. Ebbene i Greci, benché soliti agire così
infelicemente, quando mi spinsi in Macedonia, non entrarono nell'idea di
combattere. C) Mio re, chi ti si opporrà sfidandoti militarmente, quando guiderai insieme
la massa degli Asiatici e la flotta intera? Io non credo che i Greci
arrivino a concepire una audacia sì grande; ma anche se ora mi
sbagliassi e quelli, spinti dalla stoltezza, venissero a battersi contro
di noi, imparerebbero che in guerra siamo i più forti al mondo. Nulla,
dunque, resti intentato: niente si genera per caso, di solito tutto
nasce per gli uomini dai tentativi". Dopo aver così reso
accettabile il punto di vista di Serse, Mardonio tacque. 10) Mentre gli altri Persiani restavano in silenzio e non osavano esprimere un
parere contrario a quello avanzato, Artabano figlio di Istaspe e zio di
Serse, prendendo coraggio dalla sua parentela, disse così: A) "Mio re, se non vengono enunciate idee opposte, non è possibile
scegliere la migliore e adottarla, anzi è inevitabile valersi
dell'unica espressa; invece, di fronte a varie proposte è possibile
farlo; è come per l'oro puro: non possiamo riconoscerlo in sé e per sé,
ma se lo saggiamo con altro oro, allora sì ravvisiamo il migliore. Io
anche a tuo padre Dario, mio fratello, consigliavo di non muovere guerra
agli Sciti, uomini che non abitano città in nessuna parte del loro
paese; ma lui, sperando di soggiogare gli Sciti nomadi, non mi diede
retta, volle partire e ritornò dopo aver perduto molti e bravi soldati.
Tu, signore, ti accingi a muovere guerra a uomini più valorosi ancora
degli Sciti, uomini che hanno fama di essere i più forti per mare e per
terra; è bene che io ti spieghi cosa c'è di pericoloso in questo. B) Tu dici che getterai un ponte sull'Ellesponto e lancerai un esercito
attraverso l'Europa, verso la Grecia. Può capitare che veniamo
sconfitti o per terra o per mare, o pure su tutta la linea. Di quelli là
in effetti, si dice che sono valorosi, e possiamo calcolarlo anche noi,
se gli Ateniesi, da soli, annientarono quel grande esercito che invase
l'Attica con Dati e Artafrene. Allora non ebbero successo su entrambi i
fronti; però, se ci attaccano con le navi e dopo averci battuto si
dirigono sull'Ellesponto e poi tagliano il ponte, questo sì, mio re, è
terribile. C) Sono ipotesi che faccio non per qualche mia personale prudenza mentale, ma
pensando al disastro che stava per rovinarci addosso, quando tuo padre
passò in Scizia dopo aver aggiogato il Bosforo Tracico e costruito un
ponte sul fiume Istro! In quell'occasione gli Sciti le provarono tutte
per convincere gli Ioni a infrangere il ponte (agli Ioni era stata
affidata la sorveglianza dei passaggi sull'Istro); e in quella occasione
se Istieo di Mileto avesse seguito il parere degli altri tiranni e non
si fosse opposto, era la fine per la potenza persiana. Lo so, è amaro
persino sentirlo raccontare, ma la potenza intera del re dipese da un
solo uomo. D) Tu, perciò, non decidere di correre un rischio del genere, quando non ce
n'è la minima necessità, dammi retta. Ora sciogli questa assemblea:
un'altra volta, quando ti pare, dopo aver ben riflettuto fra te e te,
ordina quel che ti sembra meglio. Io trovo che a riflettere attentamente
ci sia molto da guadagnare: a quel punto, se qualcosa va storto, la
decisione non perde la sua validità, semplicemente è stata sconfitta
dal destino: al contrario, chi decide malamente, se per caso la sorte
gli sorride, ha avuto un colpo di fortuna, sì, ma non di meno ha deciso
malamente. E) Tu vedi come gli animali più grandi il dio li colpisca col fulmine e non
gli permetta di pavoneggiarsi, mentre quelli di piccola taglia non lo
irritano per nulla. Tu vedi come scagli i suoi fulmini sempre sulle case
e sugli alberi più alti. Perché il dio ama umiliare tutto ciò che si
esalta. Ecco perché anche un grande esercito è annientato da un
esercito scarso: quando il dio, nella sua invidia, gli scatena contro il
terrore o il tuono, periscono tutti in maniera indegna di loro. Perché
il dio non concede ad altri che a se stesso di concepire pensieri
superbi. F) La precipitazione, in ogni cosa, è madre di errori, dei quali poi, di
solito, si viene duramente puniti. Nell'aspettare c'è convenienza: se
non appare subito evidente, col tempo lo si accerterà. G) A te, mio sovrano, questo consiglio. E tu, Mardonio, figlio di Gobria,
smetti di dire sciocchezze sui Greci, che non meritano che si parli male
di loro. Denigrando i Greci tu inciti il re a capeggiare la spedizione;
proprio questo mi pare lo scopo per cui dispieghi tutto il tuo zelo. Che
ciò non accada. La calunnia è una infamia: in essa sono in due a
commettere torti e uno solo a subirli. Chi calunnia è ingiusto perché
accusa un assente, chi gli dà retta è ingiusto perché si lascia
convincere prima di conoscere le cose con esattezza; chi non è presente
mentre si parla subisce l'ingiustizia dall'uno perché ne viene
calunniato e dall'altro perché viene giudicato da lui un malvagio. H) Ma se è davvero obbligatorio muovere guerra a quella gente, ebbene, che il
re personalmente rimanga in sede, in Persia, quanto a noi due mettiamo
in gioco entrambi la vita dei nostri figli; l'esercito guidalo tu, dopo
esserti scelto chi vuoi e preso quante truppe ti pare. E se le cose si
risolvono per il sovrano come dici tu, siano uccisi i miei figli, e
oltre a loro anch'io; ma se vanno a finire dove prevedo, subiscano i
tuoi figli questa sorte, e tu con loro, ammesso che tu faccia ritorno.
Se non vuoi accettare queste condizioni e condurrai comunque una
spedizione contro la Grecia, arriverà, te lo garantisco, a qualcuno di
quelli lasciati qui la notizia che Mardonio, responsabile di una grande
sciagura per i Persiani, è stato dilaniato dai cani e dagli uccelli in
qualche angolo della terra ateniese o spartana, se non anche già prima,
lungo il viaggio, dopo aver appreso chi siano coloro contro i quali vuoi
indurre il re a marciare". Così parlò Artabano. 11) Ma Serse, irritato, gli rispose: "Artabano, tu sei fratello di mio
padre, e questo ti risparmia la ricompensa che meriteresti per i tuoi
dissennati discorsi; ma, visto che sei vile e codardo, ti infliggo
questo disonore, di non partecipare alla mia spedizione contro la
Grecia, di rimanere qui assieme alle donne. Anche senza di te realizzerò
i miei piani. E io non sia più discendente di Dario, di Istaspe, di
Arsame, di Ariaramne, di Teispe, di Ciro, di Cambise, di Teispe e di
Achemene, se non mi vendicherò degli Ateniesi! So perfettamente che
anche se noi ce ne staremo in pace, loro no, non lo faranno, anzi
verranno sicuramente a muoverci guerra sul nostro suolo, a giudicare da
quanto già combinarono, loro, che diedero Sardi alle fiamme e invasero
l'Asia. Dunque nessuno dei due può tornare indietro, ormai è questione
di agire o di subire, finché tutto ciò che è nostro cada in mano ai
Greci o tutto ciò che è loro in mano ai Persiani: l'inimicizia non
consente via di mezzo. Noi siamo stati i primi a subire, è giusto ormai
che ci vendichiamo; se non altro perché io possa conoscere il
"terribile" di cui sarò vittima attaccando quella gente;
persino Pelope il Frigio, che era uno schiavo dei miei avi, li
sottomise, e li sottomise così bene che ancora oggi quegli uomini e
quel paese portano il nome del loro conquistatore". 12) Non si discusse oltre. Poi scese la notte e il parere di Artabano cominciò
a tormentare Serse; nell'affidare alla notte la riflessione, scopriva
che non era proprio il caso per lui di marciare contro la Grecia. Presa
questa nuova decisione, si addormentò. E nella notte, raccontano i
Persiani, ebbe la seguente visione; sognò che un uomo grande e bello
gli stava accanto e gli diceva: "Tu vuoi cambiare parere, Persiano,
e pensi di non portare guerra alla Grecia, dopo aver ordinato ai
Persiani di ammassare truppe. Ma sbagli a cambiare parere e non troverai
nessuno ad approvarti; su, prendi la strada che oggi hai deciso di
percorrere". 13) Detto ciò, così parve a Serse, l'uomo svanì nell'aria. Allo spuntar del
giorno non diede peso alcuno al sogno; riunì gli stessi Persiani che
anche prima aveva convocato e disse loro: "Persiani, perdonatemi se
muto di colpo opinione: non ho ancora raggiunto il massimo del mio senno
e del resto chi mi spinge verso quella decisione non si stacca da me
nemmeno per un istante. Udito il parere di Artabano, lì per lì la mia
giovane età prese fuoco tanto da indurmi a rovesciare contro una
persona più anziana parole più insolenti del lecito; ebbene ora mi
sono pentito e mi atterrò al suo consiglio. Insomma, non agitatevi, ho
cambiato idea e ho deciso di non marciare contro la Grecia". I
Persiani come ebbero udito queste parole, si prostrarono tutti contenti. 14) Ma, scesa la notte, ricomparve accanto a Serse dormiente lo stesso fantasma
e diceva: "Figlio di Dario, a quanto pare hai ritirato fra i
Persiani il progetto di invasione, e non tieni in alcun conto le mie
parole, come se non le avessi udite affatto? Tieni per fermo questo: se
non ti metti in marcia subito, ecco cosa te ne verrà: come in breve
tempo sei divenuto grande e potente, altrettanto presto sarai di nuovo
un poveruomo". 15) Serse, terrorizzato dalla visione, balzò dal letto e mandò un messo a
chiamare Artabano. Arrivato che fu, ecco cosa gli disse Serse: "Artabano,
io sul momento non ero in senno, quanto ti indirizzai parole folli per
via del tuo utile consiglio; poi però, poco dopo, cambiai idea,
riconobbi di dover agire come tu mi avevi suggerito. Ma pur volendolo
non sono in grado di farlo; infatti, da quando ho mutato opinione e
intenzione, in sogno mi si presenta un'apparizione, di continuo, che non
approva affatto il mio operato; anzi, ora ha proferito addirittura
minacce ed è svanita. Dunque, se è un dio a mandarmelo e a lui piace
davvero che ci sia una spedizione contro la Grecia, la stessa visione
apparirà anche a te, dandoti identico ordine. E questo potrebbe
accadere, penso, se tu prendi tutto il mio abbigliamento, lo indossi, ti
siedi sul mio trono e ti addormenti nel mio letto". 16) Questo gli disse Serse; e Artabano, la prima volta, non obbedì,
ritenendosi indegno di sedere sul trono reale; poi, vistosi costretto,
si attenne all'ordine ricevuto, dopo aver così dichiarato: A) "Mio re, io metto sullo stesso piano ragionare bene e dar retta di
buon grado a chi dà validi consigli. Tu hai entrambe le doti, ma
rischia di rovinarti la compagnia di uomini malvagi, così come dicono
che i soffi dei venti abbattendosi sul mare, la cosa più utile al mondo
per gli uomini, non gli permettono di elargire il suo naturale
beneficio. Io non fui tanto morso da angoscia perché mi sentivo
oltraggiare da te, quanto perché tu, davanti a due proposte per i
Persiani, di cui una accresceva la superbia, l'altra cercava di porvi
fine e denunciava come sia male insegnare all'anima a perseguire sempre
più di quel che si ha, di fronte a tali due opinioni tu sceglievi la più
disastrosa per te stesso e per i Persiani. B) Adesso, dunque, che hai adottato la migliore e ti appresti ad abbandonare
la spedizione contro la Grecia, sostieni che un sogno, inviato da un
dio, ti perseguita e non ti lascia sciogliere l'esercito. No, figlio
mio, non sono messaggi divini questi, te la spiegherò io, di molti anni
più vecchio di te, la natura dei sogni che capitano agli uomini: per lo
più si presentano in forma di visioni notturne i pensieri che ognuno
agita di giorno; e noi, nei giorni precedenti, avevamo per le mani, e
pressantemente, questa spedizione militare. C) Ora, se le cose non stanno come io le giudico, ma vi si cela un che di
divino, tu hai detto già tutto in poche parole: si mostri anche a me,
come a te, a darmi degli ordini. Però non dovrebbe apparirmi più
facilmente se indosso le tue vesti che se indosso le mie, né se riposo
nel tuo letto che nel mio, se davvero desidera, in qualche modo,
mostrarsi. In effetti l'apparizione del sogno, quale che sia la sua
natura, non giungerà a tanta dabbenaggine da credere, nel veder me, che
io sono te, deducendolo dal tuo abbigliamento. Ecco cosa piuttosto dovrà
essere chiarito, se non farà conto alcuno di me e non si degnerà di
apparirmi, che io porti i miei vestiti oppure i tuoi, e se visiterà te.
Perché certo, se persevera nel visitarti, allora anch'io potrei
definirla divina. Comunque, se hai deciso che vada così e che non c'è
da recedere e che io devo dormire nel tuo letto, d'accordo: eseguirò i
tuoi ordini, e che appaia anche a me la visione. Ma fino ad allora resto
della mia opinione". 17) Detto ciò Artabano, sperando di dimostrare a Serse l'infondatezza delle
sue parole, eseguì l'ordine: si mise gli abiti di Serse, sedette sul
trono reale e poi andò a coricarsi; e, mentre dormiva, la stessa
immagine già vista da Serse gli apparve accanto e gli disse: "E
così tu sei quello che cerca di dissuadere Serse, con la scusa di
essere preoccupato per lui, dal partire contro la Grecia? Ma né in
futuro né adesso resterai impunito, se tenti di stornare il destino;
quello che capiterà a Serse, se non obbedisce, è già stato chiarito a
lui in persona". 18) Ad Artabano parve che la visione gli rivolgesse queste minacce e si
apprestasse a bruciargli gli occhi con ferri roventi. Gettato un grande
urlo balzò in piedi e a Serse raccontò, mettendosi accanto a lui,
punto per punto, l'incubo avuto; e aggiunse: "Mio re, io, da uomo
che già aveva visto molte grandi potenze cadere a opera di più deboli,
non volevo permetterti di cedere in tutto alla tua giovane età; sapevo
bene come sia pernicioso aspirare al troppo, ricordavo l'esito della
spedizione di Ciro contro i Massageti, ricordavo anche la spedizione di
Cambise contro gli Etiopi, io, poi, che ho marciato con Dario contro gli
Sciti. Conscio di queste cose, ero convinto che tu, stando in pace,
saresti stato inviolabile da tutti. Ma poiché una qualche forza divina
ci spinge e, come pare, una rovina celeste incombe sui Greci, cambio
anch'io parere e intenzione; e tu rivela ai Persiani i prodigi inviati
dal dio, ordina loro di seguire le tue prime istruzioni, di prepararsi;
agisci in modo che nulla manchi di quanto dipende da te, se lo concede
il dio". Detto ciò, esaltati dalla visione, appena sorse il
giorno, Serse spiegò la situazione ai Persiani, e Artabano, che prima
era stato l'unico a mostrarsi contrario, si rivelò accanito fautore del
progetto. 19) In seguito, mentre si apprestava a partire, Serse ebbe nel sonno una terza
visione: i Magi, uditala, la interpretarono come indizio di una futura
sottomissione del mondo intero e di tutte le genti. La visione era
questa: Serse sognò di essere incoronato con una fronda di olivo; e
dall'olivo i rami ricoprivano tutta la terra, poi la corona poggiata
sulla sua testa scompariva. Quando i Magi l'ebbero interpretata così,
subito ognuno dei Persiani convenuti a corte partì per la propria
giurisdizione; e si impegnavano col massimo zelo, secondo gli ordini
ricevuti, ciascuno desiderando ottenere i premi fissati. Serse mise
assieme l'esercito in questo modo, frugando ogni angolo del continente. 20) Effettivamente per quattro interi anni dopo la riconquista dell'Egitto,
Serse preparò truppe e l'occorrente per esse; e sul finire del quinto
anno si mise in marcia con una massa imponente di uomini. Questa fu
l'operazione militare a nostra conoscenza di gran lunga più gigantesca,
tanto da far apparire nulla al confronto la spedizione di Dario contro
gli Sciti e quella degli Sciti, quando, piombati nella terra di Media
all'inseguimento dei Cimmeri, sottomisero e dominarono quasi tutta la
parte settentrionale dell'Asia, impresa di cui Dario più tardi cercò
di vendicarsi. E neanche le si può paragonare la spedizione degli
Atridi contro Ilio, o quella, avvenuta prima della guerra di Troia, dei
Misi e dei Teucri, i quali, passati in Europa all'altezza del Bosforo,
sottomisero tutti i Traci, scesero verso il Mar Ionio e si spinsero
verso sud fino al fiume Peneo. 21) Tali imprese, tutte, e altre ancora, non sono paragonabili a questa sola.
Quale popolo, infatti, Serse non guidò dall'Asia contro la Grecia?
Quale corso d'acqua in cui bevvero, se si escludono i grandi fiumi, non
si prosciugò? Gli uni equipaggiavano navi, qui l'ordine era di
allestire corpi di fanteria, là di cavalieri, ad altri si chiedevano
navi per il trasporto dei cavalli e insieme di prendere parte alla
spedizione; c'era chi doveva fornire navi lunghe per costruire i ponti,
e chi vettovaglie e vascelli. 22) D'altra parte, poiché la prima spedizione era incappata in un naufragio
nel periplo dell'Athos, da circa tre anni Serse si premuniva contro l'Athos.
Triremi erano all'àncora a Eleunte nel Chersoneso, e a partire da lì
uomini di varia provenienza tratti dall'esercito, scavavano, sotto le
fruste, dandosi i turni; e scavavano anche gli abitanti dell'Athos.
Bubare, figlio di Megabazo, e Artachea, figlio di Arteo, dirigevano i
lavori. L'Athos è un monte alto e famoso, che si protende in mare, e
abitato. Nel punto in cui la montagna termina nel continente ha
l'aspetto di una penisola, con un istmo di circa dodici stadi: dal mare
degli Acanti al Mare di fronte a Torone si stende una pianura, con
colline non alte. In questo istmo, dove termina l'Athos, sorge la città
greca di Sane; le città abitate al di qua di Sane, entro i limiti dell'Athos,
il Persiano si apprestava a renderle isolane da continentali che erano:
si tratta di Dio, Olofisso, Acrotoo, Tisso, Cleone. Queste le città che
occupano l'Athos. 23) Ed ecco come i barbari, distribuitasi l'area nazione per nazione,
procedevano nello scavo. Avevano tracciato una linea retta a partire da
Sane; quando la fossa diventava profonda, un primo gruppo scavava in
basso, un secondo passava il materiale di volta in volta estratto ad
altri che stavano sopra, su un gradino, costoro ad altri ancora e così
via, finché si arrivava agli operai in cima; questi lo portavano via e
lo disperdevano. A tutti gli scavatori, fuorché ai Fenici, le pareti
del fossato causavano doppia fatica; doveva capitargli una cosa del
genere, visto che facevano di uguale larghezza l'apertura superiore e il
fondo della fossa. Invece i Fenici diedero prova anche in questa
circostanza dell'astuzia che dimostrano in ogni campo: quando ebbero il
settore assegnato, scavarono la bocca del canale doppia di quanto il
canale stesso avrebbe comportato e procedendo nel lavoro continuavano a
restringerla: il loro taglio, arrivato in fondo, risultò largo come
quello degli altri. Vi è là un porto dove impiantarono un mercato e un
emporio; farina di grano in abbondanza arrivava loro dall'Asia. 24) A pensarci bene trovo che Serse ordinò lo scavo del canale per mania di
grandezza, volendo ostentare potenza e lasciare memoria di sé. In
effetti, benché avessero la possibilità, senza alcuna fatica, di
trascinare le navi attraverso l'istmo, impose l'apertura di un varco
sino al mare largo tanto da permettere il passaggio di due triremi
affiancate spinte a forza di remi. Agli stessi ai quali era stato
comandato di tagliare l'istmo, fu ordinato anche di unire con un ponte,
come sotto un giogo, le due rive del fiume Strimone. 25) Questo dunque andava facendo Serse, e preparava anche le funi di papiro e
di lino bianco per il ponte di barche: le richiese ai Fenici e agli
Egiziani; e diede ordine di ammassare vettovaglie per l'esercito,
affinché né i soldati né gli animali da tiro condotti contro la
Grecia avessero a soffrire la fame. Si informò sui luoghi e comandò di
trasportare i rifornimenti nei punti più opportuni, che li
convogliassero chi qua chi là, da ogni parte dell'Asia, su mercantili e
barconi. Il quantitativo maggiore lo destinarono alla cosiddetta
Leucatte di Tracia, il resto a Tirodiza nel paese dei Perinti, a Dorisco,
a Eione sullo Strimone, in Macedonia, secondo gli ordini. 26) Mentre costoro sudavano a eseguire i compiti assegnati, tutta la fanteria
radunata si mosse con Serse verso Sardi, partendo da Critalli, in
Cappadocia; lì infatti si era fissato il raduno di tutti i contingenti
che si apprestavano a seguire Serse via terra. Non so dire quale dei
luogotenenti ottenne i premi stabiliti dal re, per aver condotto
l'esercito meglio equipaggiato; in effetti non so nemmeno se si sia
venuti a un giudizio in merito. Superato il fiume Alis, percorsero la
Frigia; l'attraversarono e arrivarono a Celene, dove zampillano le
sorgenti del Meandro e di un altro fiume non inferiore al Meandro che si
chiama Catarrecte e che, scaturendo proprio dalla piazza centrale di
Celene, sfocia nel Meandro. Sempre a Celene si trova appeso un otre
fatto con la pelle del Sileno Marsia, che secondo una leggenda dei Frigi
fu scorticato da Apollo ed ebbe lì appesa la sua cute. 27) In questa città li attendeva un Lido, Pizio figlio di Atis; costui accolse
tutta la truppa del re e Serse stesso con ricchissimi doni ospitali e
proclamò di voler sovvenzionare la guerra. Poiché Pizio prometteva
denaro, Serse chiese ai Persiani presenti chi mai fosse al mondo quel
Pizio e quante ricchezze possedesse per fare una simile offerta. Ed essi
gli risposero: "Maestà, questo è l'uomo che a tuo padre Dario
regalò il platano e la vigna d'oro; e ancora adesso, a nostra
conoscenza, è l'uomo più ricco del mondo dopo di te". 28) Serse si stupì di queste ultime parole e chiese per la seconda volta,
direttamente a Pizio, quanto fosse ricco; e Pizio gli rispose: "Mio
re, non te lo nasconderò, non farò finta di non sapere l'entità del
mio patrimonio, e anzi, poiché la conosco bene, te la dichiarerò
esattamente. Appena informato che tu scendevi verso il mare dei Greci, e
desiderando donarti denaro per la guerra, ne feci un computo accurato, e
risultò, alla fine dei calcoli, che possedevo in argento 2000 talenti,
e che in oro mi mancavano settemila darici per raggiungere i quattro
milioni. E di questo denaro ti faccio dono: a me restano sostanze
sufficienti in schiavi e terreni". 29) Così disse; e Serse, contento delle sue parole, replicò: "Ospite
lido, da quando sono uscito dalla Persia, fino a oggi, non ho mai
incontrato un uomo che abbia voluto porgere doni ospitali al mio
esercito, né che, venuto da me spontaneamente, abbia voluto
spontaneamente versarmi denaro per la guerra: solo tu. Tu hai ospitato
le mie truppe in modo stupendo e mi offri grandi ricchezze. Perciò ecco
come ti contraccambio: ti nomino mio ospite, e i tuoi quattro milioni di
stateri te li completo io, regalandoti i settemila che mancano, affinché
i quattro milioni non ne restino carenti e ti risulti cifra tonda grazie
a me. Tieniti pure quello che ti sei guadagnato e sappi mantenerti quale
sei, perché agendo così non te ne pentirai né per il presente né per
il futuro". 30) Fece quanto aveva detto; poi seguitò ad avanzare. Toccando la città dei
Frigi detta Anava e un lago da cui si ricava sale, giunse a Colosse,
grande città della Frigia, nella quale il fiume Lico scompare
precipitando in una voragine, per riaffiorare poi un cinque stadi più
in là e sfociare anch'esso nel Meandro. Muovendo da Colosse in
direzione delle montagne dei Frigi e dei Lidi, l'esercito giunse alla
città di Cidrara, dove una stele ben salda, posta da Creso, segnala il
confine con una scritta. 31) Nel penetrare dalla Frigia in Lidia, la strada si divideva, a sinistra
verso la Caria e a destra verso Sardi. Per chi si dirige a destra è
assolutamente inevitabile attraversare il Meandro e passare accanto alla
città di Callatebo, dove artigiani fabbricano miele con tamarisco e
grano; procedendo lungo questo percorso, Serse incontrò un bosco di
platani, che per la sua bellezza volle ornare d'oro e che affidò alla
guardia di un Immortale; il giorno dopo raggiunse la capitale dei Lidi. 32) Arrivato a Sardi, per prima cosa da lì inviò araldi in Grecia a chiedere
terra e acqua e a intimare che preparassero banchetti per il re; inviò
questa richiesta di terra a tutte le città tranne Atene e Sparta. La
ragione per cui chiese terra e acqua per la seconda volta fu questa:
quanti in precedenza non avevano risposto alla richiesta di Dario,
riteneva senz'altro che ora, per paura, l'avrebbero concesse. Inviò i
suoi messi appunto volendo averne conferma. 33) Poi si preparava a raggiungere Abido. Nel frattempo aggiogavano
l'Ellesponto dall'Asia all'Europa. Nel Chersoneso d'Ellesponto, fra le
città di Sesto e di Madito, c'è un tratto di costa roccioso che si
protende in mare di fronte ad Abido, dove più tardi, non molto tempo
dopo, gli Ateniesi al comando dello stratego Santippo, figlio di
Arifrone, catturarono il persiano Artaucte, governatore di Sesto e lo
inchiodarono vivo a un palo: egli, tra l'altro, frequentemente faceva
portare a Eleunte nel tempio di Protesilao, delle donne per abbandonarsi
a empie pratiche. 34) Partendo dunque da Abido in direzione di questo tratto di costa,
costruivano i ponti secondo gli ordini, i Fenici con funi di lino
bianco, gli Egiziani con funi di papiro. Ci sono sette stadi da Abido
alla costa di fronte. E quando il braccio di mare era stato ormai
aggiogato, sopraggiunse una violenta tempesta, si abbatté su tutte
quelle opere e le disfece. 35) Serse, come lo seppe, adirato con l'Ellesponto, diede ordine di
infliggergli trecento colpi di frusta e di tuffare in acqua un paio di
ceppi. E ho pure sentito dire che assieme a costoro inviò dei
marchiatori a bollare l'Ellesponto. Ordinò poi di pronunciare, mentre
lo fustigavano, le seguenti barbare e insolenti parole: "Acqua
proterva, il tuo signore ti infligge questa pena, perché lo hai offeso
senza aver da lui ricevuta alcuna offesa. Re Serse ti varcherà che tu
lo voglia o no. A te nessun uomo offre sacrifici, ed è giusto: perché
sei un fiume melmoso e salmastro". Il mare ordinò di punirlo così,
e a chi sovrintendeva alla costruzione del ponte sull'Ellesponto fece
tagliare la testa. 36) Eseguivano gli ordini coloro ai quali spettava questo spiacevole compito, e
intanto altri ingegneri congiunsero le due rive. Le unirono così:
legarono assieme penteconteri e triremi, 360 dalla parte del Ponto
Eusino, 314 dall'altra, obliquamente rispetto al Ponto ma secondo la
corrente dello stretto, affinché questa mantenesse in tensione le funi;
dopodiché gettarono ancore enormi, sia verso il Ponto, per via dei
venti che soffiano dal largo, sia verso ovest e l'Egeo contro i venti di
Zefiro e Noto. In tre punti fra le penteconteri lasciarono un varco di
passaggio, perché volendo, con imbarcazioni leggere, si potesse tanto
navigare verso il Ponto che dal Ponto entrare nello stretto. Ciò fatto,
da terra tesero i cavi avvolgendoli intorno ad argani di legno senza più
separare l'impiego delle funi, ma destinando a ciascun ponte due cavi di
lino bianco e quattro di papiro. Identici erano lo spessore e la
bellezza delle funi, ma in proporzione quelle di lino erano più grevi:
pesavano un talento per cubito. Una volta congiunte le due rive,
segarono dei tronchi di legno in misura pari alla larghezza della
struttura portante e li posarono in fila sopra i cavi in tensione;
allineatili uno accanto all'altro, li fissarono, di nuovo, insieme.
Infine vi misero sopra fascine di legna, che distribuivano anch'esse,
per bene, e terra sopra le fascine: pressarono la terra e sui due lati
del ponte alzarono uno steccato, perché gli animali e i cavalli non si
spaventassero a vedere sotto di sé il mare. 37) Una volta terminati i lavori del ponte e dell'Athos e giunta la notizia che
le dighe alle imboccature del canale (erette per impedire alla corrente
di ostruire gli sbocchi) e il canale stesso erano stati ultimati, allora
trascorso l'inverno, con la primavera l'esercito partì da Sardi, ben
equipaggiato, per raggiungere Abido. Al momento della partenza il sole,
abbandonata la sua posizione nel cielo, scomparve benché non vi fossero
nuvole, anzi in pieno sereno, e da giorno che era si fece notte. Serse,
che vide e fu testimone del fenomeno, preoccupato domandò ai Magi che
cosa potesse presagire. Essi gli risposero che il dio mostrava ai Greci
l'eclissi delle loro città; il sole, spiegavano, era il nunzio del
futuro per i Greci, per i Persiani lo era la luna. Sentita la
spiegazione, Serse, soddisfatto, proseguiva nella marcia. 38) Mentre avviava l'esercito, il lido Pizio, terrorizzato dal fenomeno celeste
e reso ardito dai doni ricevuti, si presentò a Serse e gli disse:
"Signore, c'è una cosa di cui ti prego e che vorrei ottenere: è
per te un ben piccolo favore, ma per me conta molto". Serse, tutto
immaginandosi tranne la richiesta che poi gli fu fatta, assicurò Pizio
che lo avrebbe accontentato e lo esortava pertanto a esprimere il suo
desiderio. E Pizio, sentendolo parlare così, si fece coraggio e disse:
"Signore, io ho cinque figli e capita che tutti e cinque partano
con te per la Grecia. Mio sovrano, abbi pietà di me e della mia età,
dispensami uno dei figli dal servizio, il più vecchio, che possa
prendersi cura di me e dei beni. Gli altri quattro portali con te, e tu
possa fare ritorno dopo aver realizzato i tuoi progetti". 39) Serse si infuriò non poco e gli rispose così: "Vile, tu hai
l'impudenza, mentre io stesso parto per la guerra contro la Grecia e ci
porto i miei figli e i fratelli, parenti e amici, di ricordarmi un tuo
figlio, tu che sei un mio servo e dovresti seguirmi con tutta la casa
compresa tua moglie? Allora ascolta: l'animo ha sede nelle orecchie
dell'uomo e se ode buone parole ricolma il corpo di gioia, se ne ode di
cattive si gonfia di sdegno. Tu hai agito bene, poi hai preannunziato
altri propositi buoni: non riuscirai a vantarti di aver superato la
generosità di un re. Ora, invece, ti sei avviato sulla strada
dell'impudenza: non riceverai un castigo adeguato, ma uno inferiore a
quello che meriti. Il vincolo di ospitalità salva te e quattro dei tuoi
figli; sarai punito con la morte di uno solo di loro, quello a cui più
tieni". Appena pronunciata questa risposta, ordinò agli addetti a
tali incombenze di scovare il maggiore dei figli di Pizio e di tagliarne
il corpo in due, poi, di sistemarne una metà sulla destra e l'altra metà
sulla sinistra della strada; e che l'esercito passasse di là. 40) Essi eseguirono; poi l'esercito passò. Sfilarono per primi le salmerie,
uomini e animali, e subito dopo le truppe, un miscuglio di popoli d'ogni
specie, senza distinzioni; quando ben più che metà era transitata, fu
lasciato un intervallo, in modo da separarli dal re. In testa avanzarono
mille cavalieri scelti fra tutti i Persiani, seguiti da mille lancieri,
anche questi scelti fra tutti, che tenevano le lance abbassate verso
terra. Fu la volta, poi, di dieci cavalli sacri detti Nisei adornati nel
modo più bello. Si chiamano così perché c'è in Media una vasta
pianura, che ha nome Nisea, ed è questa pianura a produrre tali
magnifici cavalli. Dopo i dieci destrieri, nell'ordine procedevano un
carro sacro a Zeus, trainato da otto cavalli bianchi, e un auriga che ne
reggeva le briglie, ma a piedi, perché nessun essere umano può salire
su quel trono. Subito dietro veniva Serse in persona, su un carro di
cavalli Nisei; l'auriga camminava accanto al carro, si chiamava
Patiranfe ed era figlio del persiano Otane. 41)Serse partì da Sardi con tale apparato; dal carro si trasferiva poi su di
una armamassa ogni volta che ne aveva voglia. Alle sue spalle marciavano
dei lancieri, i mille più prestigiosi e nobili di Persia, reggendo le
lance come d'uso; poi un reparto di altri mille cavalieri scelti
persiani; dietro di essi diecimila uomini selezionati fra i rimanenti
Persiani che costituivano la fanteria. Mille di loro invece di puntali
di ferro avevano melegrane d'oro all'estremità inferiore delle aste e
attorniavano gli altri, mentre i novemila all'interno avevano melegrane
d'argento; portavano melegrane d'oro anche i guerrieri che tenevano la
lancia abbassata verso terra, e mele d'oro quelli immediatamente al
seguito di Serse. Ai diecimila fanti erano accodati diecimila cavalieri.
Dietro i cavalieri c'era un altro intervallo di due stadi, poi veniva la
massa rimanente, alla rinfusa. 42) L'esercito viaggiava dalla Lidia verso il fiume Caico e la Misia; a partire
dal Caico (avendo a sinistra il monte Cane) percorse il territorio di
Atarneo in direzione della città di Carene; da Carene attraversò la
piana di Tebe, sfilando accanto alla città di Atramittio e alla
pelasgica Antandro. Giunto all'Ida, si diresse a sinistra verso la terra
di Ilio. All'altezza del monte Ida, tuoni e fulmini si abbatterono su di
loro e annientarono lì sul posto un buon numero di uomini. 43) Quando l'esercito ebbe raggiunto lo Scamandro, che fu il primo a vedersi
prosciugare e a non bastare all'approvvigionamento degli uomini e degli
animali, dal momento in cui l'esercito, partito da Sardi, si era messo
in marcia, giunto a questo fiume, Serse salì alla Pergamo di Priamo,
che tanto desiderava vedere. La visitò, si informò su ogni particolare
e sacrificò mille buoi in onore di Atena Iliaca; i Magi offrirono
libagioni agli eroi. Dopo queste offerte, la notte, una sensazione di
sgomento si diffuse nell'accampamento. Al mattino l'esercito mosse da lì
lasciandosi a sinistra le città di Reteo, Ofrinio e Dardano, che
confina con Abido, a destra i Teucri Gergiti. 44) Quando furono ad Abido, Serse volle vedere l'esercito nel suo insieme.
Proprio a tale scopo gli avevano allestito su una collina un trono di
marmo bianco (lo avevano costruito i cittadini di Abido in seguito a un
ordine del re); quando fu là seduto, Serse osservò dall'alto sulla
riva le truppe di terra e le navi. Mentre si godeva lo spettacolo gli
venne desiderio di assistere a una gara navale; fu fatta, la vinsero i
Fenici di Sidone. E lui si sentì pieno di soddisfazione per la gara e
per la sua armata. 45) Nel vedere l'intero Ellesponto coperto dalle navi e tutte le rive e le
piane di Abido formicolanti di uomini, subito Serse si ritenne felice,
ma poi pianse. 46) Se ne accorse Artabano, suo zio, lo stesso che già prima si era espresso
con franchezza sconsigliando a Serse la spedizione contro la Grecia;
egli, avendo notato le lacrime di Serse, gli disse: "Mio re, che
reazioni diverse hai avuto, ora e poco fa: dopo esserti ritenuto beato,
adesso piangi". E Serse rispose: "Ho provato un senso di pietà
a pensare quanto sia breve la vita di un uomo, se nessuno di tutti
costoro, che sono così numerosi, vivrà ancora fra cento anni".
Replicò Artabano: "Cose ben più tristi di questa soffriamo nel
corso dell'esistenza. Non c'è uomo, né fra di loro né in tutto il
mondo, che nell'arco di una vita così breve sia tanto felice da non
anteporre, non dico una volta soltanto, ma spesso, la morte alla vita.
Le disgrazie che ci colpiscono e le malattie che ci affliggono ci fanno
ritenere lunga l'esistenza, mentre essa è breve. E così, la morte,
essendo la vita un cumulo di affanni, è divenuta per l'uomo un rifugio
ben preferibile; e il dio, dopo averci fatto assaporare la dolcezza
della vita, si rivela invidioso". 47) Replicò a sua volta Serse: "Artabano, l'esistenza umana è proprio
come la giudichi tu, ma smettiamo di parlarne: via le sventure dai
nostri pensieri! Adesso tante belle cose abbiamo per le mani. Dimmi un
po': se non ti fosse apparsa, chiara, la visione del sogno, saresti
sempre della vecchia opinione, non mi lasceresti partire per la Grecia,
oppure avresti cambiato idea? Su, rispondimi sinceramente". E
Artabano così rispose: "Signore, la visione apparsa nel sogno
possa andare a finire come entrambi desideriamo. Ma mi soverchia il
terrore ancora adesso e non sono padrone di me: penso a tante cose e in
particolare trovo che ti sono molto ostili due elementi
importantissimi". 48) Al che Serse chiese: "Amico mio, che dici? Cos'è che mi sarebbe
ostile? Forse critichi la scarsità della nostra fanteria? Ritieni che
l'esercito greco sarà più numeroso del nostro, o la nostra flotta più
esigua della loro, oppure entrambe le cose? Perché se credi che i
nostri effettivi siano un po' scarsi, ebbene, potremmo raccogliere
all'istante un'altra armata!". 49) Ma Artabano gli rispose: "Mio re, nessuno, se ha un po' di cervello,
potrebbe biasimare questo esercito o il numero delle navi: e se tu ne
raccogliessi di più i due elementi di cui ti dicevo si farebbero ancora
più ostili. Essi sono la terra e il mare. Non c'è porto, io credo, in
nessun angolo di mare così ampio da poter accogliere questa flotta e
garantirti la salvezza delle navi, se scoppia una tempesta; e noi non
avremmo bisogno di uno solo, ma di tanti porti lungo tutto il continente
che vai a costeggiare. Perciò, giacché mancano approdi adeguati, sappi
che sono gli eventi a dominare gli uomini e non gli uomini gli eventi. E
visto che ormai ho parlato di uno, vado ora a dire anche dell'altro
elemento. Sta' a sentire come la terra ti si fa nemica: anche ammesso
che tu non incontri alcun ostacolo, la terra ti sarà tanto più avversa
quanto più in essa ti inoltri; e ogni giorno sarai tratto in inganno
dall'avanzata, perché di successi gli uomini non sono mai sazi. Quindi
io dico che, anche se nessuno ti affronterà, la terra, facendosi sempre
più vasta, nel passare del tempo produrrà fame. L'uomo migliore non
sarà chi ha paura nel decidere, pensando che dovrà patire di tutto, e
riserva l'audacia all'agire?". 50) E Serse: "Artabano, tu rifletti ragionevolmente su ogni singolo
particolare, ma non devi temere tutto e non devi valutare ogni cosa allo
stesso modo. Se tu di ogni nuova evenienza volessi esaminare allo stesso
modo tutti i dettagli, mai e poi mai combineresti qualcosa; è meglio
invece affrontare ogni situazione con coraggio e patire una metà di
insuccessi piuttosto che, nel preventivo timore di tutto, non subire mai
niente. Se tu battendoti contro ogni proposta non mostrerai certezza,
sei destinato all'insuccesso almeno quanto chi la pensa al contrario di
te: le possibilità sono le stesse. Tu mi chiedi come possa un uomo
avere certezze? Non può affatto, credo. Per lo più accade che i
successi tocchino a chi abbia volontà d'azione e si neghino e quelli
che riflettono troppo e sono indecisi. Tu vedi quale culmine di potenza
ha raggiunto lo stato persiano: non lo avresti mai visto crescere tanto
se i re che mi hanno preceduto avessero pensato come te, o anche solo
se, pur pensandola diversamente, avessero avuto consiglieri di tal
fatta. È così: per portare tanto in alto la Persia si sono gettati fra
i pericoli; le grandi imprese di solito si compiono a prezzo di grandi
pericoli. E noi, che vogliamo eguagliarli, eccoci qui, in marcia, nella
stagione più bella dell'anno: conquisteremo l'Europa intera e faremo
ritorno, senza aver in alcun luogo patito la fame e sofferto alcun altro
disastro. Intanto noi viaggiamo con vettovaglie in abbondanza, inoltre
dovunque andremo, terra o nazione, avremo i viveri del posto. Siamo in
guerra contro popoli di agricoltori, non di nomadi". 51) Dopo questo discorso Artabano disse: "Mio re, poiché non lasci spazio
a timore alcuno, almeno accetta un mio consiglio; sono molti gli
elementi in gioco e quindi è necessario dilungarsi. Ciro figlio di
Cambise costrinse tutta la Ionia, fuorché gli Ateniesi, a versare
tributi ai Persiani. Io ti consiglio di non condurli a nessun costo
contro i loro padri; anche senza di loro siamo in grado di sbaragliare i
nemici. Essi, se ci seguono, sono destinati o a diventare molto
ingiusti, rendendo schiava la loro madre patria, oppure molto giusti,
concorrendo a tenerla libera. Nel primo caso non ci fanno guadagnare
alcunché, nel secondo sono in grado di nuocere non poco al tuo
esercito. Pensa anche in cuor tuo all'esattezza dell'antico proverbio:
l'esito finale non si scorge mai tutto nell'inizio". 52) A queste parole Serse replicò: "Artabano, di tutti i tuoi pareri
espressi il più sbagliato è questo; tu temi che gli Ioni passino al
nemico; ma per valutarli noi possediamo un elemento notevolissimo, di
cui siete testimoni tu e gli altri che presero parte con Dario alla
spedizione contro gli Sciti, quando dagli Ioni dipese l'annientamento o
la salvezza dell'intera armata persiana; allora essi rivelarono senso di
giustizia e lealtà, non ci causarono il minimo danno. Inoltre, a parte
questo, non gli conviene meditare qualche stranezza, dato che hanno
lasciato nel nostro paese figli, mogli e patrimoni. Perciò non avere
questa paura, fatti animo; e veglia sul mio palazzo e il mio potere,
poiché a te solo, fra tutti, io affido il mio scettro". 53) Detto ciò e rimandato Artabano a Susa, Serse per la seconda volta convocò
i più ragguardevoli fra i Persiani; e quando furono presenti disse
loro: "Persiani, vi ho qui riuniti perché da voi desidero questo,
che siate uomini coraggiosi e non disonoriate le precedenti imprese dei
Persiani, che sono grandi e prestigiose; ognuno individualmente e tutti
assieme impegniamoci a fondo: il nostro obiettivo, ora, è un bene
comune a tutti. Ed ecco perché vi esorto ad affrontare la guerra con
energia: noi siamo in marcia, così mi dicono, contro uomini valorosi,
sconfitti i quali nessun altro esercito al mondo può più ostacolarci.
Adesso passiamo lo stretto, ma prima rivolgiamo preghiere agli dèi che
proteggono la terra di Persia". 54) Durante quel giorno si prepararono per l'attraversamento. Il giorno dopo
attesero il sole che volevano vedere sorgere, bruciando sui ponti
profumi di ogni sorta e stendendo ramoscelli di mirto sul cammino.
Quando il sole spuntò, Serse, versando in mare libagioni da una coppa
d'oro, pregò il sole che nessuna sventura gli toccasse tale da indurlo
a rinunciare alla conquista dell'Europa prima di averne raggiunto gli
estremi confini. Dopo l'invocazione gettò nell'Ellesponto la coppa, un
cratere d'oro, una spada persiana, del tipo che chiamano acinace. Non
saprei dire con sicurezza se gettò in mare questi oggetti come offerta
al sole, oppure se era pentito di aver fatto fustigare l'Ellesponto e
offriva al mare tali doni in ammenda. 55) Quando ebbe finito, compirono la traversata, la fanteria e tutta la
cavalleria sopra il ponte dalla parte dell'Eusino, gli animali da soma e
i servi sopra l'altro ponte, quello verso l'Egeo. In testa marciavano i
diecimila Persiani, tutti con una corona sul capo; dietro di loro le
truppe, una massa indistinta di popoli di ogni genere. Questo il primo
giorno. Il successivo passarono per primi i cavalieri e quelli con le
lance rivolte in basso, anch'essi con una corona sul capo; poi i cavalli
sacri e il sacro carro e, di seguito, Serse in persona, i lancieri e i
mille cavalieri, e infine il resto dell'esercito. Contemporaneamente le
navi salpavano verso la costa di fronte. Ma ho anche sentito dire che il
re passò dopo di tutti, per ultimo. 56) Posato il piede in Europa, Serse osservò le sue truppe che attraversavano
lo stretto a suon di frustate. L'esercito impiegò sette giorni e sette
notti per completare il passaggio, senza un attimo di sosta. Si racconta
che quando ormai Serse aveva varcato l'Ellesponto, un uomo del posto
esclamò: "O Zeus, perché assumi l'aspetto di un Persiano e ti fai
chiamare Serse invece che Zeus e vuoi devastare la Grecia conducendole
contro il mondo intero? Potevi farlo anche senza tutto questo". 57) Completato il tragitto, agli uomini ormai in procinto di mettersi in marcia
apparve un grande prodigio, al quale Serse non badò affatto, benché
fosse facilmente interpretabile: una cavalla diede alla luce una lepre.
Il significato evidente era che Serse si accingeva a guidare contro la
Grecia una spedizione imponente e fastosa, ma sarebbe tornato indietro,
di dov'era partito, di corsa, se voleva salvare la pelle. Un altro
prodigio si era verificato mentre stava a Sardi: una mula aveva
partorito un piccolo con doppio apparato genitale, maschile e femminile:
il maschile più in alto. 58) Incurante di entrambi i fenomeni, Serse continuava ad avanzare, e con lui
le truppe di terra; intanto la flotta, uscita dall'Ellesponto,
costeggiava la riva in direzione opposta rispetto alla fanteria. Infatti
la flotta navigava verso ovest puntando sul capo Sarpedonio, dove
secondo gli ordini, una volta arrivata, doveva fermarsi in attesa;
l'esercito di terra marciava attraverso il Chersoneso in direzione
dell'aurora e del sorgere del sole, lasciandosi a destra il sepolcro di
Elle Atamantide, a sinistra la città di Cardia, e passando invece per
la città che si chiama Agora. Di là girò attorno al golfo di Melas e
superò il fiume Melas, le cui acque non bastarono alle truppe e che
rimase asciutto; oltrepassato questo fiume, che dà il nome anche al
golfo, si diresse a occidente, rasentò la città eolica di Eno e il
lago Stentoride, finché giunse a Dorisco. 59) Dorisco è una regione della Tracia che comprende una spiaggia e una vasta
pianura, solcata dal grande fiume Ebro. Vi sorge una fortificazione
reale (è questa che si chiama Dorisco), dove Dario aveva stanziato una
guarnigione persiana fin dai tempi della spedizione contro gli Sciti.
Parve dunque a Serse che la località fosse adatta a disporre gli
schieramenti e a calcolare gli effettivi; e così fece. Per ordine di
Serse i navarchi condussero tutte le navi arrivate a Dorisco sulla
spiaggia attigua alla fortezza, dove si trovano le città Sale, dei
Samotraci, e Zona, nonché, a chiudere il tratto di costa, il celebre
promontorio Serreo: tale località in tempi antichi apparteneva ai
Ciconi. Approdati su questa spiaggia tirarono in secca le navi e le
fecero asciugare. A Dorisco nel frattempo Serse provvedeva a contare i
suoi uomini. 60) Di quanti soldati disponesse ciascun contingente non sono in grado di dirlo
con esattezza (e nessuno lo dice), ma l'esercito di terra nel suo
complesso risultò composto di 1.700.000 uomini. Ed ecco come furono
contati. Radunati in un solo punto diecimila soldati e fattili serrare
assieme il più possibile, tracciarono un cerchio intorno a loro;
allontanati i diecimila, lungo questo cerchio alzarono un muretto, alto
fino all'ombelico di un uomo; costruito il muretto, facevano entrare
nello spazio recintato altri armati, finché in questo modo non li
ebbero contati tutti. Finito il computo, li divisero in schiere per
nazione. 61) Ecco quali popoli presero parte alla spedizione. C'erano i Persiani, così
equipaggiati: un copricapo floscio, detto tiara, sulla testa, colorati
chitoni con maniche intorno al corpo e corazze di piastre di ferro,
simili nell'aspetto a squame di pesce; brache intorno alle gambe; invece
di scudi portavano gerre di vimini e cuoio, sotto pendevano le faretre;
avevano corte lance, grandi archi e frecce di canna; inoltre pugnali che
pendevano dalla cintura lungo la coscia destra. Li comandava Otane,
padre di Amestri, la moglie di Serse. Dai Greci anticamente erano detti
Cefeni mentre loro si denominavano Artei, e così li chiamavano le genti
vicine. Ma da quando Perseo, il figlio di Danae e di Zeus, giunse presso
Cefeo figlio di Belo, ne sposò la figlia Andromeda, ed ebbe un figlio
che chiamò Perse e lasciò lì nel paese, visto che Cefeo era privo di
discendenti maschi, da questo Perse presero nome i Persiani. 62) I Medi marciavano equipaggiati allo stesso modo. In effetti tale
abbigliamento è medo, non persiano. I Medi erano agli ordini di Tigrane,
Achemenide. Anticamente tutti li chiamavano Ari, ma dopo l'arrivo presso
questi Ari di Medea Colchidese, proveniente da Atene, anch'essi
cambiarono nome; così i Medi raccontano di se stessi. I Cissi
dell'esercito vestivano come i Persiani in tutto e per tutto, ma invece
delle tiare portavano mitre; alla testa dei Cissi c'era Afane, figlio di
Otane. Gli Ircani erano equipaggiati come i Persiani e obbedivano a
Megapano, più tardi governatore di Babilonia. 63) Gli Assiri della spedizione portavano elmi di bronzo: un intreccio
metallico di fattura barbara, difficile da descrivere; erano dotati di
scudi, lance e pugnali simili a quelli egiziani, in più mazze di legno
con borchie di ferro e corazze di lino. Essi erano chiamati Siri dai
Greci, ma dai barbari ebbero il nome di Assiri. (Fra di loro c'erano dei
Caldei). Li comandava Otaspe figlio di Artachea. 64) I Battriani militavano portando sulla testa copricapi molto simili a quelli
dei Medi, ma archi di canna di loro fabbricazione e corte picche. I Saci,
che sono Sciti, avevano in testa turbanti aguzzi che si ergevano dritti
e rigidi e vestivano brache; avevano archi del loro paese, pugnali e
inoltre asce del tipo sagari. Erano Sciti Amorgi, ma li chiamavano Saci:
in effetti i Persiani chiamano Saci tutti gli Sciti. A capo dei
Battriani e dei Saci stava Istaspe, figlio di Dario e di Atossa, la
figlia di Ciro. 65) Gli Indiani, con indosso vesti fatte di fibre vegetali, avevano archi di
canna e frecce pure di canna con la punta di ferro; così erano
equipaggiati gli Indiani; nell'esercito erano agli ordini di Farnazatre,
figlio di Artabate. 66) Gli Ari erano armati di archi come quelli dei Medi, per il resto, invece,
erano equipaggiati come i Battriani. Comandava gli Ari Sisamne figlio di
Idarne. I Parti, i Corasmi, i Sogdi, i Gandari e i Dadici partecipavano
con la stessa dotazione dei Battriani. Alla loro testa c'erano Artabazo
figlio di Farnace (Parti e Corasmi), Azane figlio di Arteo (Sogdi) e
Artifio figlio di Artabano (Gandari e Dadici). 67) I Caspi marciavano vestiti di pelli animali e muniti di archi di canna di
loro fabbricazione, di frecce di canna e di spade. Così equipaggiati
erano agli ordini di Ariomardo, fratello di Artifio. I Sarangi
spiccavano per le vesti colorate e avevano calzari che arrivavano al
ginocchio, archi e lance di Media. Li comandava Ferendate figlio di
Megabazo. I Patti, col corpo coperto di pellicce, portavano archi del
loro paese e pugnali. Erano agli ordini di Artaunte, figlio di Itamitre. 68) Gli Uti, i Mici e i Paricani erano abbigliati come i Patti. I loro
comandanti erano Arsamene figlio di Dario (Uti e Mici) e Siromitre
figlio di Eobazo (Paricani). 69) Gli Arabi erano cinti da ampie sopravvesti, e armati di lunghi archi a
curvatura inversa sulla spalla destra. Gli Etiopi, vestiti di pelli di
leopardo e di leone, avevano archi fabbricati con rami di palma, lunghi
non meno di quattro cubiti, e piccole frecce di canna, sulla cui
estremità non c'era ferro ma pietra affilata, la stessa pietra in cui
incidono anche i sigilli; inoltre erano armati di aste sormontate da un
aguzzo corno di gazzella, a mo' di punta, e anche di mazze con borchie
di ferro. In battaglia scendevano col corpo spalmato per metà di gesso
e per metà di rosso minio. Gli Arabi e gli Etiopi d'oltre Egitto erano
agli ordini di Arsame, figlio di Dario e di Artistone, figlia di Ciro,
la moglie che Dario amò più di tutte e della quale fece fabbricare una
statua d'oro lavorato. 70) Arsame dunque comandava gli Arabi e gli Etiopi abitanti oltre l'Egitto.
Invece gli Etiopi d'Oriente (gli uni e gli altri erano presenti
nell'esercito) erano schierati assieme agli Indiani; dagli altri Etiopi
non differiscono affatto nell'aspetto, ma solo per lingua e
capigliatura: gli Etiopi d'Oriente hanno le chiome lisce, mentre quelli
di Libia sono gli uomini più crespi che esistano al mondo. Questi
Etiopi d'Asia erano equipaggiati quasi come gli Indiani, ma portavano
sul ca po pelli della fronte dei cavalli, con orecchie e criniera; la
criniera fungeva da cimiero, mentre le orecchie del cavallo stavano
ritte e rigide. Per difesa, invece di scudi, usavano pelli di gru. 71) I Libici militavano con vesti di cuoio, usando giavellotti dalla punta
temprata. Li guidava Massage, figlio di Oarizo. 72) I Paflagoni marciavano con elmi di vimini intrecciati sul capo, armati di
piccoli scudi e lance non lunghe, inoltre di giavellotti e pugnali; ai
piedi avevano calzari del loro paese alti fino a mezza gamba. I Liguri,
i Matieni, i Mariandini e i Siri viaggiavano con la medesima dotazione
dei Paflagoni; questi Siri sono chiamati Cappadoci dai Persiani.
Paflagoni e Matieni li comandava Doto figlio di Megasidro, Mariandini,
Liguri e Siri Gobria, figlio di Dario e di Artistone. 73) I Frigi portavano un abbigliamento quasi uguale a quello dei Paflagoni, con
poche differenze. I Frigi, come raccontano i Macedoni, si chiamavano
Brigi all'epoca in cui, stanziati in Europa, coabitavano coi Macedoni;
trasferitisi in Asia, col paese cambiarono anche il nome, in quello di
Frigi. Gli Armeni erano equipaggiati come i Frigi, essendo loro coloni.
Entrambi questi popoli obbedivano ad Artocme, marito di una figlia di
Dario. 74) I Lidi disponevano di un armamento molto simile a quello greco. Anticamente
i Lidi si chiamavano Meoni, ma poi cambiarono denominazione, derivando
la nuova da Lido figlio di Ati. I Misi portavano elmi di loro
fabbricazione in capo e piccoli scudi e si servivano di giavellotti
dalla punta temprata. Sono coloni dei Lidi e vengono detti Olimpieni dal
nome del monte Olimpo. Lidi e Misi erano agli ordini di Artafrene,
figlio di Artafrene, quello che era penetrato a Maratona assieme a Dati. 75) I Traci militavano portando pellicce di volpe sulla testa, chitoni intorno
al corpo, ed erano avvolti in ampie sopravvesti variegate; avevano
calzari di pelle di cerbiatto ai pie di e intorno alle gambe, poi
giavellotti, pelte e pugnali. Costoro, quando passarono in Asia, furono
detti Bitini, mentre prima, a sentir loro, si chiamavano Strimoni, dato
che abitavano sulle rive dello Strimone. Sostengono di essere stati
cacciati dalle loro sedi dai Teucri e dai Misi. Alla testa dei Traci di
Asia c'era Bassace, figlio di Artabano. 76) Essi (forse I Pisidi) avevano piccoli scudi di pelle di bue non conciata e
due picche di fabbricazione licia ciascuno; sulla testa elmi bronzei, ai
quali erano applicate orecchie e corna bovine di bronzo; e c'era anche
un cimiero. Fasce di porpora gli avvolgevano le gambe. Nel loro paese
sorge un oracolo di Ares. 77) I Cabali Meoni, detti Lasoni, portavano lo stesso abbigliamento dei Cilici,
che descriverò quando la mia rassegna sarà giunta al contingente
cilicio. I Milii avevano corte lance e vesti fermate con fibbie; alcuni
di loro erano armati di arco licio e avevano sulla testa caschi fatti di
pelli conciate. Li comandava Badre figlio di Istane. 78) I Moschi avevano elmi di legno in testa, scudi, e lance piccole ma munite
di grosse punte. I Tibareni, i Macroni e i Mossineci militavano
equipaggiati come i Moschi. Insieme erano schierati agli ordini del
figlio di Dario, Ariomardo e del figlio di Smerdi e nipote di Ciro Parmi
(Moschi e Tibareni); e di Artaucte, figlio di Cherasmi (Macroni e
Mossineci), che era governatore di Sesto sull'Ellesponto. 79) I Mari avevano sul capo elmi di vimini intrecciati fabbricati da loro, ed
erano muniti di piccoli scudi di pelle e giavellotti. I Colchi portavano
elmi di legno sulla testa, piccoli scudi di pelle bovina non conciata e
corte lance e inoltre coltelli. Mari e Colchi obbedivano a Farandate
figlio di Teaspi. Gli Alarodi e i Saspiri militavano armati come i
Colchi. Li guidava Maristio figlio di Siromitre. 80) I popoli insulari al seguito, provenienti dal Mare Eritreo, dalle isole
sulle quali il re stanzia i cosiddetti "deportati", avevano
vesti e armi molto simili a quelle dei Medi. A guidarli era Mardonte
figlio di Bageo, che cadde l'anno seguente, come comandante, nella
battaglia di Micale. 81) Questi popoli partecipavano alla spedizione per via di terra e costituivano
la fanteria. I comandanti di questo esercito erano i personaggi sopra
menzionati: essi avevano ordinato e contato i soldati e avevano nominato
i chiliarchi e miriarchi; i miriarchi poi avevano scelto gli ufficiali
dei gruppi di cento e di dieci soldati. C'erano poi altri ufficiali
subalterni dei corpi e dei popoli. 82) I comandanti erano dunque quelli nominati. Ma su di loro e sulla fanteria
tutta l'autorità l'avevano Mardonio figlio di Gobria, Tritantecme,
figlio di quell'Artabano che aveva proposto di rinunciare alla guerra
contro la Grecia, Smerdomene, figlio di Otane (questi ultimi due
entrambi figli di fratelli di Dario, e cugini di Serse), Masiste, figlio
di Dario e di Atossa, Gergite figlio di Ariazo e Megabisso figlio di
Zopiro. 83) Costoro erano gli strateghi dell'intera fanteria, esclusi i Diecimila. I
Diecimila soldati persiani scelti erano agli ordini di Idarne figlio di
Idarne. Questi Persiani si chiamavano Immortali per la seguente ragione:
se uno di loro veniva a mancare al numero, colpito da morte o da
malattia, ne veniva scelto al suo posto un altro, sicché non erano mai
né più né meno di diecimila. Il maggior lusso lo esibivano i
Persiani, che erano anche i più forti. Il loro abbigliamento era quello
descritto, ma inoltre si distinguevano per il molto, moltissimo oro che
avevano addosso. Conducevano con sé carrozze e in esse concubine e
numerosi domestici, ben equipaggiati. I viveri, separati da quelli degli
altri soldati, glieli portavano cammelli e bestie da soma. 84) Tutti questi popoli vanno a cavallo, non tutti però fornivano cavalleria;
solo i seguenti. C'erano i Persiani, equipaggiati esattamente come i
loro fanti, tranne che alcuni di loro avevano in testa elmi di bronzo e
di ferro battuto. 85) Ci sono dei nomadi, chiamati Sagarti, persiani di stirpe e di lingua, il
cui abbigliamento è una via di mezzo fra quello dei Persiani e quello
dei Patti; essi fornivano ottomila cavalieri. Non sono soliti portare
armi né di bronzo né di ferro, all'infuori di pugnali; però
maneggiano corde fatte di lacci intrecciati, e a esse si affidano
scendendo in guerra. Ecco come combatte questa gente: quando si
scontrano coi nemici, lanciano queste corde, che terminano con un nodo
scorsoio: il malcapitato, uomo o cavallo, lo tirano a sé: e li uccidono
impigliati così, nei lacci. 86) Questo è il loro modo di combattere; ed erano inseriti nel contingente
persiano. I cavalieri Medi erano equipaggiati come i fanti; e lo stesso
i Cissi. Gli Indiani avevano la stessa dotazione dei fanti e guidavano
destrieri e carri; ai carri erano aggiogati cavalli e asini selvatici. I
Battriani erano armati come i loro fanti. Ugualmente i Caspi. Anche i
Libici non differivano dai rispettivi fanti e anch'essi conducevano
tutti dei carri. A loro volta i Caspi e i Paricani erano equipaggiati
come i soldati a piedi. Gli Arabi pure, e tutti montavano cammelli che
per velocità non erano inferiori a cavalli. 87) Solo questi popoli formavano la cavalleria, i cui effettivi assommavano a
ottantamila unità, senza contare i cammelli e i carri. Gli altri
cavalieri erano ordinati per squadroni, gli Arabi venivano per ultimi:
li avevano dislocati in fondo, perché gli equini, che non sopportano i
cammelli, non si spaventassero. 88) La cavalleria era agli ordini di Armamitre e Titeo, figli di Dati. Il terzo
responsabile del comando, Farnuco, era stato lasciato a Sardi ammalato;
infatti, quando stavano partendo da Sardi ebbe un incidente
indesiderato: era in sella quando un cane sgusciò fra le zampe del suo
cavallo, il quale, non avendolo visto prima, si spaventò e,
impennatosi, sbalzò a terra Farnuco; Farnuco, in seguito alla caduta,
vomitò sangue e il male gli degenerò in consunzione. I servi
inflissero subito al cavallo il trattamento da lui ordinato: lo
condussero nel punto dove aveva disarcionato il padrone e gli mozzarono
le zampe ai garretti. Così Farnuco fu esonerato dal comando. 89) Il numero delle triremi era di 1207; ed ecco chi le fornì: trecento i
Fenici, con i Siri della Palestina, così equipaggiati: a difesa della
testa portavano elmi di fattura molto simile alla greca, indosso corazze
di lino; erano armati di scudi privi di orlo e di giavellotti.
Anticamente questi Fenici, come essi stessi raccontano, erano stanziati
sul mare Eritreo, dal quale, attraversata la Siria, partirono per
stabilirsi sulle nostre coste, in una parte della Siria, fino
all'Egitto, che si chiama tutta Palestina. Gli Egiziani fornivano
duecento navi; portavano sul capo elmi a maglie di ferro, scudi concavi
dagli ampi orli, lance adatte a combattimenti sul mare, grosse asce. La
maggior parte di loro era munita di corazza e armata di coltellacci. 90) Così erano equipaggiati. I Ciprioti fornirono 150 navi ed erano abbigliati
come segue: i loro re avevano il capo avvolto in una mitria, gli altri
portavano chitoni; per il resto vestivano come i Greci. A Cipro ecco
quante popolazioni vi sono: alcuni vengono da Salamina e Atene, altri
dall'Arcadia, altri da Citno, dalla Fenicia, dall'Etiopia, a quanto
raccontano i Ciprioti stessi. 91) I Cilici fornirono cento navi. Essi portavano sul capo elmi del loro paese,
avevano scudi leggeri fatti di pelle di bue non conciata e indossavano
chitoni di lana; erano muniti di due giavellotti ciascuno e di una
spada, molto simile alle lame egiziane; essi un tempo si chiamavano
Ipachei, poi presero il loro nome da Cilico figlio del fenicio Agenore.
I Panfili diedero trenta navi ed erano armati alla greca. Questi Panfili
discendevano dagli uomini che di ritorno da Troia si dispersero assieme
ad Anfiloco e Calcante. 92) I Lici fornirono cinquanta navi; indossavano corazze e schinieri, avevano
archi di corno e frecce di canna senza piume e giavellotti; inoltre
pelli di capra appese alle spalle, e sulla testa berretti ornati da un
diadema di penne. Usavano pugnali e scimitarre; i Lici, originari di
Creta, si chiamavano Termili, ma presero poi nome da Lico, figlio
dell'ateniese Pandione. 93) I Dori d'Asia fornirono trenta navi, erano originari del Peloponneso e
muniti di armamento greco. I Cari misero a disposizione settanta navi;
erano equipaggiati per il resto come i Greci, ma avevano scimitarre e
pugnali. Come essi si chiamassero precedentemente, l'ho detto già nel
mio primo libro. 94) Cento navi appartenevano agli Ioni, abbigliati come Greci. Gli Ioni, per
tutto il tempo che abitarono nel Peloponneso la regione oggi detta Acaia,
prima che Danao e Xuto giungessero nel Peloponneso (secondo i racconti
dei Greci), si chiamavano Pelasgi Egialei; poi Ioni, da Ione figlio di
Xuto. 95) Gli isolani fornirono diciassette navi, ed erano armati alla greca.
Anch'essi, già popolo pelasgico, più tardi furono detti Ioni per la
stessa ragione degli Ioni della Dodecapoli venuti da Atene. Gli Eoli
diedero sessanta navi: erano vestiti come Greci; un tempo, raccontano i
Greci, si chiamavano Pelasgi. Gli abitanti dell'Ellesponto, meno i
cittadini di Abido (che ricevettero dal re l'ordine di restare dov'erano
per sorvegliare i ponti) e tutti gli altri del Ponto che prendevano
parte alla spedizione fornirono cento navi; erano equipaggiati come i
Greci. E questi erano coloni degli Ioni e dei Dori. 96) Su tutte le navi erano imbarcati Persiani Medi e Saci. Le navi che in
assoluto tenevano meglio il mare le fornirono i Fenici, e, tra i Fenici,
quelli di Sidone. Tutti costoro e tutti quelli inquadrati nell'esercito
di terra avevano comandanti locali; ma io non li nomino, giacché nulla
mi obbliga a farlo ai fini della mia ricerca. In effetti non di ogni
popolo i capi erano degni di venir ricordati, e in ogni popolo vi erano
tanti capi quante erano le città. E poi seguivano la spedizione non da
generali, ma alla stregua degli altri servi arruolati, giacché gli
strateghi dotati di pieni poteri e i comandanti dei singoli reparti
nazionali, quanti erano persiani, li ho già menzionati. 97) La flotta era agli ordini dei seguenti ammiragli: Ariabigne, figlio di
Dario, Pressaspe, figlio di Aspatine, Megabazo, figlio di Megabate, e
Achemene, figlio di Dario. Ariabigne, figlio di Dario e della figlia di
Gobria, comandava i contingenti ionico e cario, Achemene, che era
fratello di Serse da parte di padre e di madre, quello egiziano, gli
altri due il resto dell'armata. Le trieconteri, le penteconteri, il
naviglio e i battelli leggeri per il trasporto dei cavalli, convenuti
per la rassegna, risultarono tremila. 98) Sulle navi, dopo gli ammiragli, questi erano gli uomini più illustri:
Tetramnesto figlio di Aniso, da Sidone; Matten figlio di Siromo, da
Tiro; Merbalo figlio di Acbalo da Arado; Siennesi figlio di Oromedonte,
dalla Cilicia; Cibernisco figlio di Sica, dalla Licia; Gorgo figlio di
Chersi e Timonatte figlio di Timagora, da Cipro; Istieo figlio di Timni,
Pigrete figlio di Isseldomo e Damasitimo figlio di Candaule, dalla
Caria. 99) Degli altri tassiarchi non faccio menzione, non essendo necessario, ma di
Artemisia sì: per lei, che, donna, partì per la guerra contro la
Grecia, provo ammirato stupore: dopo la morte del marito reggeva sulle
sue spalle il potere, giacché aveva un figlio troppo giovane, e
partecipava alla spedizione per la sua determinazione e il suo coraggio
virile, senza che nulla ve la costringesse. Si chiamava Artemisia ed era
figlia di Ligdami, di stirpe alicarnassea per parte di padre, cretese
per parte di madre. Il suo dominio abbracciava Alicarnasso, Coo, Nisiro
e i Calidni; fornì cinque navi. E fornì le più pregevoli di tutta
quanta la flotta, dopo quelle di Sidone, s'intende, e allo stesso modo
fra tutti gli alleati diede al re i consigli migliori. Rendo noto che la
popolazione delle città su cui ho dichiarato che comandava era di
stirpe dorica: gli Alicarnassei sono originari di Trezene, gli altri di
Epidauro. E per la flotta basti quanto ho detto. 100) A Serse, poi, quando le truppe furono contate e schierate, venne desiderio
di passarle in rassegna e osservarle personalmente. E poco dopo lo fece:
transitando su di un cocchio accanto a ogni popolo, prendeva
informazioni che gli scrivani registravano, finché passò da un capo
all'altro sia della cavalleria sia della fanteria. Finito che ebbe, e
messe in mare le navi, allora Serse scese dal cocchio e salì a bordo di
un vascello di Sidone; sedette sotto una tenda dorata e sfilò accanto
alle prue delle navi, chiedendo informazioni di ciascuna, come aveva
fatto per l'esercito di terra, e facendole trascrivere. I navarchi
avevano condotto le navi a quattro pletri dalla spiaggia e le tenevano
all'ancora; avevano fatto volgere le prore verso la riva, in linea, e
armare gli equipaggi in assetto di guerra. Serse osservava navigando
nello specchio di mare fra le prue e la spiaggia. 101) Passate in rassegna anche le navi, e sceso di nuovo a terra, Serse cercò
di Demarato figlio di Aristone, che lo seguiva nella spedizione contro
la Grecia, lo chiamò e gli disse: "Demarato, ora mi è gradito
chiederti quanto desidero sapere; tu sei greco, e, come apprendo da te e
dagli altri Greci venuti a parlare con me, di una città che non è né
la più piccola né la meno forte. Pertanto spiegami un po' questo: i
Greci opporranno resistenza levandosi in armi contro di me? In effetti,
a mio parere, neppure se tutti i Greci e tutti i rimanenti abitanti
dell'occidente si coalizzassero, sarebbero in grado di resistere al mio
attacco, a meno che non agissero con autentica coesione. Voglio dunque
sentire la tua opinione, qualunque sia, su di loro". Serse gli pose
questa domanda e Demarato a sua volta gli chiese: "Devo rispondere
sinceramente o in modo da farti piacere?". Serse gli ordinò di
dire la verità, rassicurandolo che non avrebbe minimamente perso, per
questo, il suo favore. 102) Udito ciò, Demarato disse: "Sovrano, visto che mi ordini di
rispondere con assoluta franchezza, parlando in modo che tu non possa più
tardi scoprirmi mendace, sappi che ai Greci è sempre compagna la povertà,
ma a essa si aggiunge la virtù, resa più salda dall'ingegno e da una
legge severa; grazie alla sua virtù la Grecia si difende dalla povertà
e dall'asservimento. La mia lode va dunque a tutti i Greci che abitano
laggiù, nelle regioni doriche, però ora non mi riferirò a tutti loro,
ma solo agli Spartani; primo: è impossibile che accettino mai i tuoi
discorsi, che comportano schiavitù della Grecia; secondo: ti
affronteranno in battaglia anche se tutti gli altri Greci passeranno
dalla tua parte. Il loro numero? Non chiedere quanti siano per osare
agire così; che siano mille sul campo di battaglia, o di più o di
meno, altrettanti combatteranno contro di te". 103) Al che Serse scoppiò a ridere ed esclamò: "Demarato, cosa blateri!
Si batteranno in mille contro un esercito così grande? Spiegami un po':
dichiari di essere stato loro re; quindi tu saresti disposto ad
affrontare subito dieci uomini? Anzi, se la vostra comunità è tale
quale la descrivi, a te che sei il loro re, spetta di battersi contro un
numero doppio di uomini, conforme alle vostre leggi. E sì, se ciascuno
di loro vale dieci soldati del mio esercito, allora tu, deduco, ne vali
venti; così sì mi tornerebbe il discorso che mi hai fatto. Però se
voi, tali e di tanta stazza quanto tu e i Greci che frequentano la mia
corte, se voi vi vantate così, bada che le tue parole non risultino una
inutile spacconata. Ma ragioniamo un po' secondo logica: mille,
diecimila o cinquantamila uomini, tutti liberi e uguali, senza avere un
unico capo, come riuscirebbero a opporsi a un esercito sterminato come
il mio? Perché noi siamo più di mille per ciascuno di loro, se loro
sono cinquemila. Se obbedissero a un'unica persona, alla nostra maniera,
potrebbero avere paura di lui e diventare migliori di quanto siano per
loro propria natura, e avanzare, costretti dalla frusta, anche essendo
meno del nemico. Ma, lasciati liberi, non farebbero nulla di questo. Io,
per me, credo che difficilmente i Greci, anche se fossero in numero a
noi pari, potrebbero battersi contro i soli Persiani; ma poi, via, solo
fra di noi c'è un po' di quello che tu dici, un po', non molto. Sì,
fra i miei lancieri persiani ne esistono di disposti a battersi contro
tre Greci assieme; tu non ne hai mai fatto la prova e parli a
vanvera". 104) Al che Demarato replicò: "Sovrano, già lo sapevo che dicendo la
verità non ti avrei dato una risposta gradita; ma poiché mi hai
costretto a parlare con la massima sincerità, ti ho detto come stanno
le cose per gli Spartiati. Eppure sai bene quale affetto mi leghi a
essi, che mi hanno privato dell'onore e delle dignità di mio padre e mi
hanno reso un esule, un senza patria; e sai che fu tuo padre ad
accogliermi, a darmi i mezzi per vivere e una casa. Non è plausibile
che un uomo assennato respinga la benevolenza che gli mostrano, è
naturale anzi il contrario, che l'accetti di buon cuore. Io non ti
garantisco di essere in grado di affrontare né dieci uomini né due;
dipendesse da me, non mi batterei nemmeno contro uno solo. Ma se vi
fossi costretto o mi spingesse un grande cimento, fra tutti preferirei
senz'altro combattere contro uno di questi uomini che pensano di valere
ciascuno tre Greci. Così sono gli Spartani: individualmente non sono
inferiori a nessuno, presi assieme sono i più forti di tutti. Sono
liberi, sì, ma non completamente: hanno un padrone, la legge, che
temono assai più di quanto i tuoi uomini temano te; e obbediscono ai
suoi ordini, e gli ordini sono sempre gli stessi: non fuggire dal campo
di battaglia, neppure di fronte a un numero soverchiante di nemici;
restare al proprio posto e vincere, oppure morire. Se ti pare che queste
mie siano tutte chiacchiere, d'ora in poi voglio tacere. Adesso ho
parlato perché mi ci hai costretto. Comunque, sovrano, tutto accada
secondo i tuoi desideri". 105) Così rispose Demarato; Serse volse le sue parole in riso e non si arrabbiò
per nulla: serenamente lo congedò. Dopo il colloquio avuto con lui,
Serse nominò governatore di Dorisco, dove si trovavano, Mascame figlio
di Megadoste, al posto del governatore insediatovi da Dario, e spinse
l'esercito attraverso la Tracia, contro la Grecia. 106) Mascame, l'uomo che lasciò lì, aveva qualità tali per cui era l'unico al
quale Serse inviasse dei doni, stimandolo il migliore di tutti i
governatori mai nominati da lui o da Dario; glieli spediva ogni anno, e
così fece anche Artaserse, figlio di Serse, nei confronti dei
discendenti di Mascame. In effetti, già prima di questa spedizione,
governatori erano stati insediati in Tracia e un po' dovunque nella
regione dell'Ellesponto. Tutti quelli di Tracia e dell'Ellesponto,
tranne il responsabile di Dorisco, furono poi scacciati dai Greci in
epoca successiva a questa spedizione. Quello di Dorisco, Mascame,
nessuno mai riuscì a mandarlo via, benché molti ci avessero provato.
Per questo gli arrivano doni dai re di volta in volta sul trono di
Persia. 107) Di quelli scacciati dai Greci non ce n'era uno che Serse stimasse uomo di
valore, tranne Boge di Eione. Non smise mai di elogiarlo e trattò con
grandi onori i figli suoi che vivevano in Persia, perché Boge si era
comportato in modo davvero degno di lode: assediato dagli Ateniesi e da
Cimone figlio di Milziade, pur potendo venire a patti, andarsene via e
tornare in Asia, non volle farlo, perché il re non lo credesse scampato
per vigliaccheria e resistette fino all'ultimo. Quando ormai non c'era
più cibo entro la cerchia delle mura, preparato un gran rogo, uccise
figli, moglie, concubine e servitori e poi li gettò nel fuoco; quindi
disseminò giù dalle mura nello Strimone tutto l'oro e l'argento che
c'erano in città. Ciò fatto, si lanciò tra le fiamme. E così,
giustamente, è esaltato ancora oggi dai Persiani. 108) Da Dorisco Serse marciava contro la Grecia e costringeva a unirsi al suo
esercito tutte le genti che incontrava sul cammino. Come ho
precedentemente chiarito, tutte le terre fino alla Tessaglia erano già
state sottomesse e obbligate a pagare tributi al re grazie alle
conquiste di Megabazo e più tardi di Mardonio. Partiti da Dorisco,
toccarono per prime le roccaforti dei Samotraci, l'ultima delle quali
verso occidente è una città che si chiama Mesambria. Confina con essa
una città dei Tasi, Strime; fra le due scorre il fiume Liso, che in
quella circostanza non bastò a rifornire d'acqua l'esercito di Serse e
rimase asciutto. Questa regione anticamente si chiamava Gallaica, oggi
è detta Briantica; per altro, per dire le cose con vera giustizia,
anch'essa appartiene ai Ciconi. 109) Attraversato il letto ormai secco del fiume Liso, si lasciò dietro le città
greche di Maronia, Dicea e Abdera. Superò queste città e, accanto a
esse, i seguenti rinomati laghi: l'Ismaride, fra Maronia e Strime, e il
Bistonide, presso Dicea, nel quale sfociano due fiumi, il Trauo e il
Compsato; all'altezza di Abdera Serse non oltrepassò alcun lago famoso,
ma il fiume Nesto, che scorre verso il mare. Procedendo oltre queste
regioni, toccò le città continentali dei Tasi; nel territorio di una
di esse si trova un lago ricco di pesci e alquanto salmastro, il cui
perimetro misura circa trenta stadi. Le bestie da soma che sole vi si
abbeverarono bastarono a prosciugarlo; la città in questione si chiama
Pistiro. 110) Serse avanzò lasciandosi a sinistra queste città costiere popolate da
Greci. Ecco i popoli traci di cui attraversò il territorio: i Peti, i
Ciconi, i Bistoni, i Sapei, i Dersei, gli Edoni e i Satri. Di queste
genti quanti vivevano sulla costa lo seguirono sulle navi, quelli
residenti nell'interno e da me già elencati, tutti, eccetto i Satri,
furono costretti ad aggregarsi all'esercito di terra. 111) I Satri, per quanto ne sappiamo, non si sottomisero mai a nessuno, e fino
ai giorni miei continuano a essere gli unici indipendenti fra i Traci:
in effetti abitano alte montagne coperte di foreste di ogni sorta e di
neve e sono fortissimi in guerra. Sono essi a possedere l'oracolo di
Dioniso; e questo oracolo sorge sulle più alte montagne. Fra i Satri
hanno funzione di profeti i Bessi, ma l'indovino che pronuncia i
responsi è una donna, proprio come a Delfi, e in modo per nulla più
intricato. 112) Superata la suddetta regione, Serse raggiunse le roccaforti dei Pieri, che
si chiamano l'una Fagre e l'altra Pergamo. Passò proprio accanto a
queste città lasciandosi a destra il monte Pangeo, che è vasto ed
elevato e in cui si trovano miniere d'oro e d'argento sfruttate da Pieri,
da Odomanti e soprattutto da Satri. 113) Lasciatosi alle spalle il paese dei Peoni, dei Doberi e dei Peopli, che
risiedono oltre il Pangeo verso nord, Serse proseguì in direzione ovest
fino al fiume Strimone e alla città di Eione, retta allora da quel Boge
di cui ho parlato poco sopra, a quell'epoca ancora vivo. La regione
intorno al monte Pangeo si chiama Fillide e si estende verso ovest fino
al fiume Angite, affluente dello Strimone, e verso sud fino allo
Strimone stesso, dove i Magi trassero auspici offrendo in sacrificio
candidi cavalli. 114) Compiuto nel fiume questo rito e molti altri ancora, proseguirono in
località Nove Vie degli Edoni, passando sui ponti (avevano trovato lo
Strimone già attrezzato). Apprendendo che il luogo si chiamava Nove
Vie, vi seppellirono vivi altrettanti ragazzi e ragazze del luogo. È
costume persiano questo di seppellire persone vive, giacché so che
anche Amestri, la moglie di Serse, ormai in tarda età, si propiziò il
dio che si dice sia sottoterra, facendo seppellire quattordici fanciulli
persiani. 115) Dallo Strimone in avanti, verso occidente, comincia una spiaggia, dove
l'esercito in marcia superò la città greca di Argilo che vi sorge; la
costa e la regione soprastante si chiamano Bisaltia. Di là l'esercito,
lasciandosi a sinistra il golfo del tempio di Posidone, procedette
attraverso la pianura detta Silea, superò la città greca di Stagira, e
giunse ad Acanto, annoverando ormai tra le sue file ciascuno di questi
popoli e di quelli stanziati intorno al monte Pangeo, come pure di
quelli più sopra elencati: le genti stanziate sulla costa vennero
arruolate nella flotta, le genti dell'interno assegnate alle truppe di
terra. Il percorso lungo il quale Serse spinse il suo esercito i Traci
non lo lavorano né lo seminano: ne fanno ancora oggi oggetto di
autentica venerazione. 116) Appena giunse ad Acanto, Serse ne proclamò suoi ospiti gli abitanti, regalò
loro una veste di foggia meda, e li copriva di elogi, vedendoli pieni di
entusiasmo per la guerra e sentendo del canale. 117) Mentre Serse soggiornava ad Acanto, venne a morire di malattia l'uomo che
sovrintendeva ai lavori di scavo, Artachea, persona assai stimata da
Serse e di stirpe Achemenide: era il più alto di statura fra i Persiani
(cinque cubiti reali meno quattro dita) e dotato della voce più tonante
del mondo. Sicché Serse, profondamente addolorato, gli tributò
splendidi funerali e una magnifica sepoltura: tutto l'esercito contribuì
a erigere il tumulo. Per ordine di un oracolo gli Acanti compirono
sacrifici in onore di Artachea come a un eroe, invocandone il nome. 118) Il re Serse, provò davvero molta tristezza per la morte di Artachea. I
Greci che dovevano accogliere l'esercito e offrire il pasto a Serse si
ridussero così male da essere costretti a lasciare le loro case; tanto
è vero che ai cittadini di Taso che avevano accolto e ospitato
l'esercito di Serse a nome delle loro città sul continente, Antipatro
figlio di Orgeo, prescelto a tale scopo in quanto cittadino più di ogni
altro illustre, dimostrò di avere speso per il banchetto quattrocento
talenti d'argento. 119) E una cifra molto vicina denunciarono anche i cittadini designati nelle
altre città. In effetti il pasto, in quanto ordinato con ampio
preavviso e tenuto in gran considerazione, veniva così preparato.
Intanto i cittadini, appena informati dagli araldi che diffondevano
l'avviso, si dividevano in città il frumento e tutti preparavano farina
d'orzo e di grano, per parecchi mesi; poi ingrassavano animali, i più
belli e pregiati che trovavano, e nutrivano uccelli da cortile o da
palude in gabbie e laghetti, per ricevere ospitalmente le truppe;
inoltre fabbricavano in oro e argento coppe, crateri e tutti gli altri
oggetti che si pongono sulla tavola. Questo si faceva per il re e i suoi
commensali, per il resto dell'esercito l'ordine riguardava solo le
vivande. Ogni volta che arrivava l'esercito, c'era lì pronta e drizzata
una tenda, sotto la quale si fermava Serse personalmente, mentre il
resto della truppa se ne stava all'aperto. Appena veniva l'ora del
pasto, gli ospitanti si accollavano la fatica, gli altri invece si
rimpinzavano; trascorrevano lì la notte, e il giorno dopo se ne
andavano, non prima di aver asportato la tenda e depredato tutte le
suppellettili: portavano via tutto, non lasciavano nulla. 120) Allora risuonò felice la battuta di un uomo di Abdera, Megacreonte; egli
invitò i suoi concittadini a recarsi ai templi tutti assieme, uomini e
donne, a piazzarsi là come supplici e a pregare gli dèi che anche per
il futuro stornassero da loro la metà delle sciagure incombenti; quanto
ai mali passati ringraziassero solennemente gli dèi, del fatto che il
re Serse non era abituato a consumare due pasti al giorno; perché se ai
cittadini di Abdera avessero ingiunto di preparare anche un pasto di
mezzogiorno pari alla cena, o non avrebbero atteso l'arrivo di Serse,
oppure, rimasti lì, si sarebbero ridotti nella miseria più nera. 121) Essi comunque, benché gli pesasse parecchio, eseguirono l'ordine. Da
Acanto Serse lasciò che le navi si allontanassero da lui, dopo aver
dato ordine ai comandanti della flotta di attenderlo a Terme (una città
sul golfo Termaico, che da essa prende nome): aveva saputo che da questa
parte il percorso era più breve. In effetti da Dorisco ad Acanto le
truppe avevano marciato nel seguente schieramento: Serse, diviso tutto
l'esercito di terra in tre parti, aveva stabilito che una, agli ordini
di Mardonio e Masiste, costeggiasse la riva assieme alla flotta,
un'altra, guidata da Tritantecme e Gergite, doveva avanzare mantenendosi
nell'interno; la terza, invece, con la quale viaggiava lo stesso Serse,
procedere fra le altre due, avendo per comandanti Smerdomene e
Megabisso. 122) Quando la flotta congedata da Serse ebbe percorso il canale aperto nell'Athos,
che immetteva nel golfo su cui sorgono le città di Assa, Piloro, Singo
e Sarte, da lì, raccolte truppe anche in queste città, navigò senza
più impacci dritta verso il golfo di Terme. Doppiando il capo Ampelo
nel paese di Torone toccò le seguenti città greche (dalle quali prese
navi e soldati): Torone, Galepso, Sermila, Meciberna e Olinto. 123) Questa regione si chiama Sitonia; la flotta di Serse tagliò dal capo
Ampelo al promontorio Canastro, il più sporgente in mare di tutto il
territorio di Pallene; poi ricevette navi e truppe da Potidea, Afiti,
Neapoli, Ege, Terambo, Scione, Mende e Sane; queste appunto sono le città
che sorgono nella regione detta oggi Pallene e un tempo Flegra.
Costeggiando anche questa regione, la flotta si diresse alla meta
prefissata, imbarcando uomini ancora dalle città vicine alla Pallenia e
confinanti col golfo Termaico, i cui nomi sono: Lipasso, Combrea, Lise,
Gigono, Campsa, Smila ed Enea; il loro paese si chiamava e si chiama
ancora Crossea. Dopo Enea, ultima delle città che ho elencato, la
flotta procedette verso il golfo Termaico e la Migdonia; la navigazione
proseguì fino alla città indicata, Terme, e fino a Sindo e Calestre
sul fiume Assio, che segna il confine fra la Migdonia e la Bottiea. La
fascia costiera della Bottiea, assai stretta, appartiene alle città di
Icne e di Pella. 124) La flotta dunque stazionò lì, nei pressi dell'Assio, di Terme e delle
città poste nel mezzo, aspettando il re. Serse con l'esercito di terra
marciava da Acanto tagliando verso l'interno, intenzionato a raggiungere
Terme. Viaggiò attraverso la Peonia e la Crestonia fino al fiume
Echidoro, che, provenendo dal paese dei Crestonei, scorre attraverso la
Migdonia e sbocca presso la palude sul fiume Assio. 125) Mentre marciava in questa zona, dei leoni gli assalirono i cammelli che
trasportavano le vettovaglie: i leoni calavano di notte, lasciando le
loro tane, e non assalivano nessun altro, né animale né essere umano:
solo dei cammelli facevano strage. E mi chiedo stupito che cosa
spingesse i leoni a risparmiare gli altri e ad attaccare i cammelli,
animali che non avevano mai visto né conosciuto. 126) In queste regioni vi sono sia leoni in gran numero sia buoi selvatici, le
cui lunghissime corna sono quelle che si importano in Grecia. Linea di
confine per i leoni sono il fiume Nesto, che attraversa Abdera, e l'Acheloo
che bagna l'Acarnania; infatti né in alcuna parte dell'Europa a oriente
del Nesto né a ovest dell'Acheloo, nel resto del continente, si può
vedere un leone; ma nel territorio compreso fra i due fiumi ce ne sono. 127) Appena giunto a Terme, Serse vi si attendò; ecco quanta parte della zona
costiera l'esercito colà accampato occupava: a partire dalle città di
Terme e di Migdonia fino ai fiumi Lidio e Aliacmone, che segnano il
confine fra il paese di Bottiea e la Macedonia, mescolando le loro acque
in un unico corso. I barbari erano accampati dunque in questa regione;
dei fiumi suddetti l'unico che non bastò a rifornire d'acqua l'esercito
e che rimase asciutto fu l'Echidoro, che proviene dal paese dei
Crestonei. 128) Serse, scorgendo da Terme i monti della Tessaglia, l'Olimpo e l'Ossa, che
sono altissimi, saputo che in mezzo a essi c'è una stretta gola, dove
scorre il Peneo, e sentendo dire che di lì passava la strada per la
Tessaglia, provò desiderio di andare a vedere con una nave la foce del
Peneo; ciò perché si apprestava a marciare lungo la strada più
interna tra le genti macedoni stanziate di sopra, verso i Perrebi,
accanto alla città di Gonno: questo riteneva che fosse il percorso più
sicuro. Poiché provava quel desiderio, volle soddisfarlo. Salì su di
una nave di Sidone, su cui si imbarcava ogni volta che voleva fare
qualcosa del genere, diede anche agli altri il segnale di levare
l'ancora e lasciò l'esercito di terra dov'era. Arrivato a destinazione
e osservata la foce del Peneo, Serse fu preso da un grande stupore:
chiamò le guide del viaggio e chiese loro se era possibile deviare il
fiume e farlo sfociare in mare in un altro punto.
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