|
MEGABAZO CONQUISTA LA TRACIASeconda parte 69) Questo
dunque aveva fatto Clistene di Sicione; Clistene di Atene a sua volta
(era figlio di una figlia del Sicionico e portava lo stesso nome) imitò
il suo omonimo; secondo me anche lui per astio, contro gli Ioni, affinché
le tribù ateniesi non si chiamassero come quelle ioniche. Non ap pena
ebbe attirato dalla sua il popolo ateniese, fino ad allora assolutamente
tenuto da parte, mutò i nomi delle tribù e ne aumentò il numero. Creò
dieci capi di tribù in luogo dei quattro precedenti e sempre in gruppi
di dieci assegnò i demi alle tribù. Col popolo dalla sua era assai più
forte dei suoi avversari politici. 70) A sua volta
Isagora, vedendosi battuto, rispose con la seguente mossa: chiamò in
suo aiuto lo spartano Cleomene, a lui legato da vincoli di ospitalità
fin dall'epoca dell'assedio dei Pisistratidi. E si accusava pure
Cleomene di stretti rapporti con la moglie di Isagora. Per prima cosa
Cleomene, inviando ad Atene un araldo, cercò di far bandire Clistene
assieme a molti altri Ateniesi, definiti da lui "impuri".
Agiva così seguendo le istruzioni di Isagora. In effetti gli Alcmeonidi
e i loro compagni di fazione erano accusati di un delitto a cui Isagora
e così pure i suoi amici erano estranei. Ecco come gli Ateniesi
"impuri" meritarono tale appellativo. 71) Vi era ad
Atene Cilone, vincitore dei Giochi Olimpici; costui alzò la cresta e
puntò al potere di tiranno; associatosi una banda di coetanei tentò di
impadronirsi dell'acropoli, ma non riuscendo nell'impresa andò a
sedersi come supplice di fronte alla statua della dea. I pritani dei
naucrari, che allora governavano Atene, li persuasero a lasciare il
tempio garantendo loro salva la vita. E invece furono uccisi e del
delitto furono incolpati gli Alcmeonidi. Tutto questo era accaduto prima
della età di Pisistrato. 72) Quando
Cleomene tentò col suo messaggio di far cacciare Clistene e gli impuri,
Clistene si allontanò in segreto; non di meno più tardi Cleomene si
presentò ad Atene con un contingente non numeroso e, appena giunto,
mise al bando come sacrileghe settecento famiglie ateniesi indicategli
da Isagora. Fatto ciò, tentò come seconda iniziativa di sciogliere il
Consiglio e di mettere le cariche nelle mani di trecento seguaci di
Isagora. Ma poiché il Consiglio si ribellò rifiutandosi di obbedirgli,
Cleomene, Isagora e i suoi occuparono l'acropoli. Gli altri Ateniesi di
comune accordo li assediarono per due giorni; il terzo giorno
stipularono una tregua in base alla quale quelli di loro che erano
Spartani potevano ritirarsi dal paese. Si compiva così per Cleomene la
profezia: quando era salito sull'acropoli per occuparla, si era avviato
verso i penetrali del tempio, come per rivolgersi alla dea; ma la
sacerdotessa, balzata dal seggio prima che lui ne varcasse la soglia,
gli aveva gridato: "Straniero di Sparta! Torna indietro, non
entrare nel tempio! Qua dentro ai Dori non è lecito entrare". E
Cleomene le aveva risposto: "Donna, io non sono Doro, ma
Acheo!". Incurante dell'avvertimento del dio tentò l'impresa; e fu
espulso, in quella circostanza, con gli Spartani. Gli altri, gli
Ateniesi li misero in carcere per mandarli a morte; fra loro c'era anche
Timesiteo di Delfi, del quale potrei elencare le eccezionali prodezze di
forza e di coraggio. 73) Costoro
dunque morirono in catene. Gli Ateniesi in seguito richiamarono Clistene
e le settecento famiglie esiliate da Cleomene; e inviarono ambasciatori
a Sardi, perché desideravano allearsi ai Persiani. Erano infatti
convinti che Cleomene e gli Spartani sarebbero scesi in campo contro di
loro. Quando gli incaricati, giunti a Sardi, ebbero riferito il
messaggio, Artafrene di Istaspe, governatore di Sardi, chiese loro chi
fossero e dove mai abitassero per chiedere di diventare alleati dei
Persiani; udita la risposta, si sbrigò in due parole: se gli Ateniesi
concedevano terra e acqua a re Dario, egli avrebbe stipulata l'alleanza,
in caso contrario li invitava a tornarsene a casa. I messi,
autonomamente, si dichiararono favorevoli, perché volevano stringere
l'alleanza. Ma una volta tornati a casa furono duramente accusati. 74) Cleomene,
convinto di essere stato offeso a parole e nei fatti dagli Ateniesi,
arruolava truppe da tutto il Peloponneso, senza specificarne il perché:
era intenzionato a vendicarsi del popolo ateniese e voleva insediare
Isagora, che assieme a lui aveva lasciato l'acropoli, nel ruolo di
tiranno. Cleomene con una spedizione massiccia invase il territorio di
Eleusi, mentre, secondo il piano convenuto, i Beoti conquistavano Enoe e
Isie, i demi più periferici dell'Attica, e i Calcidesi dall'altro lato
attaccavano i territori dell'Attica e li devastavano. Gli Ateniesi,
benché assaliti su due fronti, decisero di pensare più tardi a Beoti e
Calcidesi e impugnarono le armi contro i Peloponnesiaci che occupavano
Eleusi. 75) Già gli
eserciti si apprestavano a scontrarsi, quando i Corinzi, resisi conto
per primi che non stavano agendo con giustizia, cambiarono idea e si
ritirarono; lo stesso fece poi Demarato figlio di Aristone, anche lui re
degli Spartiati, collega di Cleomene nel guidare l'esercito da Sparta e
mai prima di allora in disaccordo con lui. Dopo questo episodio di
discordia a Sparta si stabilì per legge che i re non potessero
accompagnare tutti e due l'esercito in caso di spedizione (in effetti
fino ad allora lo seguivano assieme): e venendo dispensato dal comando
uno dei re, doveva rimanere in città anche uno dei Tindaridi, mentre
prima anch'essi, entrambi, dopo essere stati invocati, accompagnavano
assieme l'esercito. 76) Allora ad
Eleusi gli alleati rimasti, vedendo che i re spartani non erano
d'accordo e che i Corinzi avevano abbandonato lo schieramento, si
ritirarono anch'essi, tornandosene a casa. Questa era la quarta volta
che i Dori entravano in Attica, due volte l'avevano assalita con
intenzioni ostili, altre due per il bene del popolo ateniese: la prima
volta quando avevano anche fondato Megara (questa spedizione potrebbe
correttamente prendere nome dal re di Atene Codro), la seconda e la
terza quando si erano mossi da Sparta per scacciare i Pisistratidi, e la
quarta allora, quando Cleomene invase il territorio di Eleusi alla testa
dei Peloponnesiaci; ecco come in quella quarta occasione i Dori
attaccarono Atene. 77) Visto che
questo corpo di spedizione si era dissolto in maniera tanto ingloriosa,
allora gli Ateniesi, desiderosi di vendicarsi, marciarono in primo luogo
contro i Calcidesi. I Beoti vennero in soccorso dei Calcidesi sull'Euripo.
Quando gli Ateniesi li videro accorrere in aiuto, decisero di battersi
prima coi Beoti che coi Calcidesi. Vennero a conflitto con i Beoti e li
soverchiarono ampiamente, ne uccisero molti davvero e ne catturarono
vivi settecento. Nello stesso giorno gli Ateniesi, passati in Eubea, si
scontrarono anche con i Calcidesi: sconfissero anche loro e lasciarono
sul posto quattromila cleruchi a spartirsi le terre degli ippoboti;
ippoboti si chiamavano i Calcidesi del ceto benestante. Quanti furono
catturati a Calcide li tennero in carcere assieme ai prigionieri beoti,
in ceppi e catene; col tempo li liberarono per un riscatto di due mine a
testa. I ceppi con cui li avevano incatenati li appesero sull'acropoli;
e c'erano ancora ai miei tempi, appesi alle mura bruciacchiate tutto
intorno dall'esercito medo, di fronte al sacrario che sorge sul lato
occidentale. E consacrarono la decima parte dei riscatti fabbricando una
quadriga di bronzo; essa è posta subito a sinistra di chi entra nei
propilei dell'acropoli e reca la seguente iscrizione:...”Pria con impresa di guerra domatele, i figli di Atene, Della Beozia e
di Calcide incatenaro le genti. Quindi, fiaccatone in tenebre e ferree
ritorte l’orgoglio, Queste cavalle alla Dea, dopo il riscatto, sacrar”...
(Dopo aver domato le genti dei Beoti e dei Calcidesi in azione di
guerra, i figli degli Ateniesi ne spensero l'arroganza con tetre catene
di ferro; come decima offrirono a Pallade queste cavalle). 78) Gli Ateniesi
dunque crescevano in potenza; e non sotto un solo rispetto ma da ogni
punto di vista risulta chiaro che l'uguaglianza di diritti è cosa
preziosa, se davvero gli Ateniesi, quando erano in mano ai tiranni, non
furono mai superiori in guerra alle popolazioni circostanti, mentre poi,
sbarazzatisi di loro, divennero di gran lunga i primi. Risulta quindi
chiaro che, da oppressi, si comportavano vilmente di proposito, pensando
che agivano per un padrone, mentre, una volta liberi, ciascuno per se
stesso desiderava adoperarsi fino in fondo. 79) Così
andavano le cose ad Atene. I Tebani, più tardi, ansiosi di vendetta
contro gli Ateniesi, inviarono dei delegati per consultare il dio. La
Pizia escluse che potessero ottenere vendetta da soli e li esortò a
riportare le sue parole là dove risuonano molte voci e a domandare
aiuto a chi era loro più vicino. Al ritorno, gli inviati convocarono
una assemblea e riferirono il responso. Una volta udito il rapporto e
saputo dal discorso dei messi che dovevano rivolgersi a chi era loro più
vicino, i Tebani dissero: "Ma intorno a noi non abitano i Tanagrei,
i Coronei e i Tespiesi? Sono gente che da sempre combatte volentieri
assieme a noi e ci aiuta a sostenere il peso delle guerre. Che bisogno
c'è di ricorrere a loro? Guardiamo piuttosto se è proprio questo il
significato dell'oracolo!". 80) Mentre così
riflettevano a un tratto uno ebbe un'idea e disse: "Io credo di
capire quello che vuole dirci l'oracolo. Tebe ed Egina, a quanto si
racconta, erano figlie di Asopo. Se sono sorelle, credo che il dio ci
ordini di affiancarci nella vendetta gli Egineti". E poiché non
sembrava manifestarsi opinione migliore di questa, subito inviarono
ambasciatori agli Egineti, sollecitandoli in base all'oracolo, perché
erano i più vicini, a venire in loro aiuto. Ed essi di fronte a tale
invito risposero che avrebbero mandato in soccorso gli Eacidi. 81) I Tebani
tentarono l'impresa con l'ausilio degli Eacidi e furono duramente
sconfitti dagli Ateniesi; allora mandarono di nuovo ambasciatori e
restituirono gli Eacidi chiedendo invece uomini. Gli Egineti, superbi
per la propria grande prosperità e memori di un antico odio verso gli
Ateniesi, allora, come volevano i Tebani, portarono contro Atene una
guerra che neppure si erano preoccupati di dichiarare. Mentre gli
Ateniesi premevano sui Beoti, essi raggiunsero l'Attica con navi lunghe:
saccheggiarono Falero da una parte e molti altri demi costieri
dall'altra e così facendo arrecarono ingenti danni agli Ateniesi. 82) Ecco come
era nato a suo tempo l'odio che gli Egineti nutrivano per gli Ateniesi.
La terra non dava alcun frutto agli abitanti di Epidauro; essi su tale
carestia consultarono l'oracolo di Delfi e la Pizia ordinò loro di
innalzare statue a Damia e ad Auxesia: erette le statue, la situazione
sarebbe migliorata. Allora gli Epidauri chiesero se dovevano farle di
bronzo, le statue, o di marmo; né in un modo né nell'altro, replicò
la Pizia, ma dovevano fabbricarle con legno di olivo domestico. Gli
Epidauri allora chiesero agli Ateniesi il permesso di tagliare degli
olivi, ritenendo quelli ateniesi i più sacri. Si dice anche che a
quell'epoca non ci fossero olivi in nessun'altra parte del mondo se non
ad Atene. Gli Ateniesi acconsentirono a patto che ogni anno gli Epidauri
tributassero sacrifici ad Atena Poliade e a Eretteo. Gli Epidauri
acconsentirono e ottennero quanto chiedevano: fabbricarono le statue con
gli olivi ateniesi e le eressero. La terra dava frutti ed essi
mantenevano la promessa fatta agli Ateniesi. 83) In quel
periodo ancora, come prima, gli Egineti obbedivano agli Epidauri; fra
l'altro andavano a Epidauro per dirimere le loro cause giudiziarie
interne. Ma in seguito si costruirono delle navi e con avventata
condotta si staccarono da Epidauro: essendo ormai ostili compivano
razzie ai loro danni, dato che erano padroni del mare: in particolare
gli sottrassero le statue di Damia e di Auxesia; se le portarono via e
le eressero nell'interno del proprio paese, in una località detta Ea,
distante circa una ventina di stadi dalla città. Le collocarono lì e
per propiziarsene il favore le onoravano con sacrifici e cori femminili
mordaci: a ciascuna delle dee erano stati assegnati dieci coreghi; i
cori non rivolgevano ingiurie contro gli uomini, bensì contro le donne
del luogo. Anche a Epidauro si svolgevano le stesse cerimonie, ma in più
si svolgevano anche riti segreti. 84) Poiché le
statue erano state rubate, gli Epidauri smisero di mantenere la promessa
fatta agli Ateniesi. Gli Ateniesi inviarono messaggeri a manifestare la
loro indignazione verso gli Epidauri, i quali però dimostrarono a fil
di logica di non essere in torto nell'agire così: fin tanto che avevano
avuto le statue nel proprio paese, avevano serbato fede ai patti, ma
visto che ne erano stati privati, non toccava più a loro tributare
sacrifici e invitavano, dunque, gli Ateniesi a rivolgersi in merito agli
Egineti che avevano presso di sé le statue. Allora gli Ateniesi
inviarono messi a Egina per esigerne la restituzione; ma gli Egineti
risposero di non aver nulla da discutere con gli Ateniesi. 85) Gli Ateniesi
per parte loro raccontano che dopo la richiesta di restituzione
inviarono per conto dello stato dei cittadini su di una sola trireme, i
quali, giunti a Egina, tentarono di svellere dai piedistalli le statue
in questione, in quanto fatte con legno del loro paese, per portarsele
via. Non riuscendo a vincerne la resistenza in questo modo, le legarono
con delle funi e cominciarono a tirare; e mentre tiravano si sentì un
rumore di tuono e ci fu un terremoto; gli uomini della trireme che
tiravano le corde per colpa di questi prodigi uscirono di senno e per
questo si uccisero fra loro come dei nemici; alla fine l'unico
superstite se ne tornò a Falero. 86) Fin qui il
racconto degli Ateniesi. Gli Egineti, invece, sostengono che gli
Ateniesi non approdarono con una sola trireme (da una o poche più di
una avrebbero potuto difendersi facilmente, anche se per caso di navi
non ne avessero avute), ma che assalirono con una flotta il loro paese;
e dichiarano di non aver opposto resistenza evitando uno scontro navale.
Non sanno però spiegare esattamente se cedettero riconoscendo la
propria inferiorità in quel campo, oppure con l'intenzione di agire
come poi agirono. Visto che nessuno li affrontava in battaglia, gli
Ateniesi sbarcarono e si diressero verso le statue: non riuscendo a
scalzarle dai basamenti, le legarono con delle corde e tirarono,
tirarono, finché le statue non risposero entrambe nello stesso modo (ma
dicono cose che un altro può credere, forse, non io), e cioè caddero
in ginocchio davanti agli Ateniesi; in tale posizione esse rimangono da
allora. Così dunque si sarebbero comportati gli Ateniesi; dal canto
loro gli Egineti, informati dell'imminente spedizione ateniese, tenevano
allerta gli Argivi. Insomma, gli Ateniesi non erano ancora arrivati a
Egina, che lì già c'erano le truppe alleate di Argo; esse, sbarcate di
nascosto sull'isola da Epidauro, piombarono inaspettatamente sugli
Ateniesi tagliandogli la ritirata verso le navi; a questo punto scoppiò
il tuono e ci fu il terremoto. 87) Raccontano
Argivi ed Egineti, e qui gli Ateniesi sono d'accordo, che un solo
superstite poté fare ritorno in Attica; gli Argivi però lo pretendono
scampato al massacro che essi fecero delle truppe nemiche, invece gli
Ateniesi a una strage di natura divina; tuttavia neppure quest'uno
sopravvisse e la sua morte avvenne così. Tornato ad Atene riferì la
tremenda notizia; quando le mogli degli uomini partiti per Egina la
conobbero, non tollerando che solo lui fra tutti si fosse salvato, lo
circondarono: colpendolo con le fibbie del vestito ciascuna gli chiedeva
dove fosse il proprio marito. E così fu ucciso; agli Ateniesi il gesto
delle donne parve più spaventoso ancora della disfatta. Non sapendo in
quale altra maniera punirle, decisero di imporre l'adozione dell'abito
di foggia ionica. Prima di allora infatti le donne di Atene portavano
vesti doriche, molto simili a quelle di Corinto; venne introdotto dunque
il chitone di lino perché non adoperassero fibbie. 88) A dire il
vero questo costume non è ionico, d'origine, ma cario, mentre l'antico
abbigliamento femminile greco era effettivamente quello che oggi diciamo
dorico. Di fronte a tali avvenimenti Argivi ed Egineti stabilirono per
legge che le fibbie da loro fossero lunghe una volta e mezza più di
quanto era in uso all'epoca e che nel tempio delle due dee le donne
consacrassero soprattutto fibbie; non vi si doveva portare alcun
prodotto attico, nemmeno un vaso, anzi da allora in poi sarebbe stata
regola bere in ciotoline di fabbricazione locale. Ebbene, le donne di
Egina e di Argo da quel momento fino ai miei tempi per dispetto agli
Ateniesi portavano fibbie più grandi di prima. L'origine dell'odio
ateniese per gli Egineti risale a quanto ho raccontato. 89) Allora
appunto, di fronte alla richiesta di soccorso dei Tebani, gli Egineti,
memori dei fatti delle statue, aiutarono volentieri i Beoti. Gli Egineti
saccheggiavano regolarmente le regioni costiere dell'Attica; agli
Ateniesi in procinto di muovere contro di loro venne da Delfi una
profezia: se avessero aspettato trenta anni a partire dall'ingiustizia
commessa dagli Egineti, e avessero scatenato la guerra contro Egina al
trentunesimo, dopo aver dedicato un santuario a Eaco, tutto sarebbe
andato secondo i loro desideri. Se invece li avessero attaccati subito,
avrebbero molto subíto nel frattempo, e arrecato anche molti danni, e
infine avrebbero avuto la meglio. Quando l'oracolo venne riportato agli
Ateniesi e l'ebbero udito, assegnarono a Eaco l'area sacra ancora oggi
esistente nell'agorà, ma non vollero sentir parlare dei trenta anni
necessari di attesa, visti gli oltraggi ricevuti da parte degli Egineti. 90) Mentre si
preparavano alla vendetta, venne a ostacolarli una iniziativa degli
Spartani. Gli Spartani, venuti a conoscenza delle macchinazioni degli
Alcmeonidi nei confronti della Pizia e degli intrighi della Pizia ai
danni loro e dei Pisistratidi, ritennero doppiamente grave, sia di aver
scacciato da Atene persone alle quali erano legati da vincoli di
ospitalità, sia che ciononostante gli Ateniesi non gli mostrassero
alcuna riconoscenza. Oltre a ciò a spingerli erano gli oracoli che
prefiguravano ai loro danni molti oltraggi da parte degli Ateniesi; di
queste profezie prima erano all'oscuro, ma allora, dopo che Cleomene le
aveva portate a Sparta, le conobbero nei particolari. Cleomene si era
impadronito di tali oracoli sull'acropoli di Atene; ne erano in possesso
i Pisistratidi, ma quando furono scacciati li lasciarono nel tempio: li
avevano abbandonati lì e se li prese Cleomene. 91) Una volta
avute in mano le profezie e vedendo gli Ateniesi in fase di crescita e
niente affatto disposti all'obbedienza, gli Spartani compresero che la
gente di Atene, da libera, avrebbe acquisito un peso pari al loro,
mentre sotto una tirannide sarebbe stata debole e docile; compreso ciò
mandarono a chiamare Ippia figlio di Pisistrato dal Sigeo d'Ellesponto,
(dove si erano rifugiati i Pisistratidi). Quando Ippia, convocato, fu
presente, gli Spartiati fecero venire anche rappresentanti degli altri
alleati e dichiararono: "Alleati, noi ammettiamo di non aver agito
correttamente. Fuorviati da oracoli ambigui, gettammo fuori della loro
patria uomini a noi legati da strettissimi vincoli di ospitalità e
disposti a mantenere Atene sotto di noi; dopodiché affidammo la città
a un popolo privo di gratitudine, che, dopo aver risollevato libero la
testa per merito nostro, inflisse umiliazioni a noi e al nostro re e ci
cacciò via malamente; e ora altamente convinto di sé si ingrandisce,
come ben sanno i popoli confinanti, Beoti e Calcidesi, e presto anche
qualcun'altro si accorgerà dell'errore. Ma giacché ad agire così
abbiamo sbagliato, ora cercheremo di trovare un rimedio assieme a voi;
per questo appunto abbiamo convocato qui Ippia e voialtri, dalle vostre
città, per installarlo di nuovo in Atene di comune accordo e con forze
comuni, per restituirgli ciò che gli abbiamo tolto". 92) Così
parlarono gli Spartani, ma la massa degli alleati non approvò il loro
discorso. Gli altri tacevano, Socle di Corinto invece disse: A) "Non c'è
dubbio, il cielo starà giù sottoterra e la terra per aria, sopra il
cielo, gli uomini andranno a vivere nel mare e i pesci verranno dove
prima c'erano gli uomini, giacché voi, Spartani, abolendo le
uguaglianze di diritti, vi apprestate a instaurare nelle città governi
tirannici, i regimi più ingiusti e sanguinari che esistano in assoluto.
Se davvero ritenete una bella cosa che le città siano così governate,
allora cominciate voi a metterlo al potere a casa vostra, un tiranno, e
poi cercate di imporlo agli altri. Ora invece voi, che non avete
esperienza di tiranni e anzi vigilate con molto rigore che mai non ne
spuntino a Sparta, vi comportate molto male nei confronti dei vostri
alleati; se ne aveste avuta esperienza, come noi, avreste in proposito
opinioni ben più savie di questa da avanzare! B) Ecco per
esempio qual era il regime politico a Corinto: una oligarchia; e a
governare la città erano i cosiddetti Bacchiadi, che contraevano
matrimoni solo al proprio interno. Anfione, uno di loro, aveva una
figlia storpia, di nome Labda; poiché nessun Bacchiade voleva sposarla,
se la prese Eezione, figlio di Echecrate, nativo del demo di Petra,
peraltro Lapita di origine, discendente di Ceneo. Eezione non riusciva
ad avere figli né da questa donna né da un'altra; partì, quindi, per
Delfi per avere lumi sulla sua capacità di procreare. Mentre entrava
nel tempio, la Pizia lo salutò direttamente con queste parole:...”Eezione, nessuno t’onora, benchè molto degno. Labda ha nel seno un
macigno che nasce e poi rotola e cade, Sui dominanti Signori, e il
catigo sarà di Corinto”... (Eezione, nessuno ti rende onore,
benché tu ne sia assai degno. Labda è incinta e partorirà un macigno;
cadrà su chi ha il potere e punirà Corinto). La profezia resa a
Eezione giunse in qualche modo alle orecchie dei Bacchiadi; essi non
erano riusciti a interpretare il precedente responso relativo a Corinto,
che veniva a coincidere con quello di Eezione e diceva:...”Gravida
un’aquila è sopra le rocce: sarà d’un leone la madre: Forte,
crudivoro; e a molti costui scioglierà le ginocchia, Ben riflettete su
questo, o Corinzi che presso Corinto
Ricca di colli abitate, e la bella fontana Pirene!”....
(Un'aquila è gravida sulle pietre, e darà alla luce un leone feroce
carnivoro: a molti fiaccherà le ginocchia. Pensateci bene, Corinzi, che
abitate intorno alla bella Pirene e alla ripida Corinto). C) Il responso
precedentemente dato ai Bacchiadi era oscuro, ma quando appresero quello
ricevuto da Eezione, subito capirono anche il primo, che gli si
accordava. Ma poi, benché avessero compreso pure questo, se ne stettero
quieti, con l'intenzione di eliminare il figlio che doveva nascere a
Eezione. Appena sua moglie ebbe partorito, mandarono dieci di loro nel
demo in cui viveva Eezione per uccidere il neonato. Giunti a Petra,
costoro si presentarono nella dimora di Eezione e chiesero del bambino.
Labda, ignorando le ragioni della loro venuta e credendo che lo
volessero vedere per amicizia verso il padre, lo andò a prendere e lo
diede in braccio a uno di loro. Essi strada facendo avevano deciso che
il primo ad avere in mano il bambino doveva scaraventarlo per terra. Ma
quando la donna lo portò e lo diede a loro, per sorte divina il neonato
sorrise all'uomo che l'aveva ricevuto; e questi ci pensò e gli pianse
il cuore all'idea di ucciderlo: mosso a compassione, lo porse al secondo
e il secondo al terzo; e così il bambino passò fra le braccia di tutti
e dieci senza che nessuno si decidesse ad ammazzarlo. Restituirono
l'infante alla madre e uscirono; fermatisi sulla soglia, cominciarono ad
accusarsi a vicenda, rimproverando soprattutto al primo che l'aveva
avuto in mano di non aver agito come convenuto, finché, trascorso del
tempo, non decisero di entrare di nuovo e di assassinarlo tutti assieme. D) Ma era ormai
destino che dal figlio di Eezione germogliassero sciagure per Corinto.
Infatti Labda, stando proprio accanto alla porta, udì i loro discorsi;
nel terrore che, cambiata idea, prendessero un'altra volta il bambino e
lo uccidessero, lo andò a nascondere in quello che le parve il luogo più
impensabile, in una cassa, sapendo che se fossero tornati indietro per
cercarlo avrebbero frugato dappertutto. E così fu. Entrarono e
perquisirono, ma, visto che il bambino era sparito, decisero di
andarsene e di riferire a chi li aveva mandati di essersi attenuti
fedelmente agli ordini. Così raccontarono al loro ritorno. E) Poi il
figlio di Eezione crebbe: per essere scampato a questo pericolo, fu
chiamato Cipselo, dal nome della cassetta. Ormai adulto, Cipselo,
consultando a Delfi l'oracolo, ricevette un responso indiscutibilmente
propizio, fidando nel quale attaccò Corinto e se ne impadronì. Il
testo dell'oracolo diceva:...”Cipselo d’Eezione, re della gloriosa Corinto,
Ei con i figli; ma più nol saranno poi i nati dai figli”....
(Beato quest'uomo che scende nella mia dimora, Cipselo di Eezione, re
della gloriosa Corinto, lui e i suoi figli, non però i figli dei
figli). Questa era stata la profezia; e, divenuto tiranno, ecco che uomo
fu Cipselo: esiliò molti Corinzi, a molti sottrasse i beni, a molti di
più ancora la vita. F) Dopo trenta
anni di regno compì felicemente il corso della sua esistenza e gli
successe al potere il figlio Periandro. Periandro all'inizio era più
mite del padre, ma, dopo essere entrato in rapporto, per mezzo di
ambascerie, con il tiranno di Mileto Trasibulo, divenne ancora più
sanguinario di Cipselo. Infatti aveva inviato a Trasibulo un araldo per
chiedergli quale era il metodo di governo più sicuro da adottare per
reggere la città nel modo migliore. Trasibulo condusse l'incaricato di
Periandro fuori della città ed entrò in un campo coltivato: camminando
in mezzo alle messi, lo interrogava e reinterrogava sul motivo della sua
venuta da Corinto e nel contempo recideva tutte le spighe che vedeva più
alte delle altre, le recideva e le gettava per terra, finché così
facendo non ebbe distrutto la parte più bella e rigogliosa delle messi.
Traversato il campo, congedò l'araldo senza avergli dato alcun
consiglio. Al ritorno a Corinto del suo incaricato, Periandro era
impaziente di udire la risposta; l'araldo invece gli riferì che
Trasibulo non gli aveva suggerito nulla; e aggiunse di stupirsi che lo
avesse mandato da un uomo simile, un demente, uno che si autodanneggiava:
e raccontava quanto aveva visto fare da Trasibulo. G) Ma Periandro
comprese la faccenda; sicuro che Trasibulo gli consigliava di eliminare
i cittadini più eminenti, a questo punto mostrò ai Corinzi l'intera
sua malvagità. Gli assassinii e le persecuzioni non eseguiti da Cipselo,
Periandro li condusse a termine; in un solo giorno Periandro spogliò
dei loro abiti tutte le donne di Corinto in onore di sua moglie Melissa.
Aveva infatti inviato dei messi presso i Tesprozi, sul fiume Acheronte
per consultare l'oracolo dei morti circa un deposito lasciato da un
ospite; e Melissa era apparsa dichiarando di non voler indicare né
specificare il luogo in cui esso giaceva, perché era nuda e aveva
freddo. Dalle vesti seppellite con lei non traeva alcun giovamento perché
non erano state bruciate; per testimoniare la verità delle sue parole
aggiunse che Periandro aveva introdotto i suoi pani in un forno freddo.
Non appena queste parole furono riportate e riferite a Periandro (e la
prova gli risultava credibile, visto che s'era unito a Melissa ormai
cadavere), immediatamente dopo l'ambasceria, diffuse un proclama: tutte
le donne di Corinto dovevano radunarsi al tempio di Era. Esse vi
andarono con gli abiti più eleganti, come si va a una festa, lui invece
vi aveva appostato i suoi armigeri e le costrinse tutte a spogliarsi,
senza distinzioni, padrone e serve; ammassò le vesti in una fossa e le
bruciò invocando Melissa. Fatto ciò, mandò una seconda volta a
consultare l'oracolo e l'ombra di Melissa gli indicò dove aveva messo
il deposito dell'ospite. Eccovi qua un esempio di tirannide, Spartani,
ecco di che azioni è capace. E una improvvisa meraviglia ci ha preso,
noi Corinzi, e grande, nel vedere che mandavate a chiamare Ippia, e
adesso ci meravigliamo ancora di più per le vostre parole; e vi
scongiuriamo, chiamando a testimoni gli dèi della Grecia, di non
instaurare tirannidi nelle città. Non vi fermerete? Cercherete lo
stesso, contro giustizia, di riportare Ippia ad Atene? Sappiate che i
Corinzi non sono affatto d'accordo con voi". 93) Così parlò
Socle, ambasciatore di Corinto. Ippia, invocando le stesse divinità
nominate da Socle, gli rispose che senza dubbio i Corinzi più di tutti
gli altri avrebbero rimpianto i Pisistratidi quando fossero venuti i
giorni in cui era destino patire a causa di Atene. Ippia gli rispose così
da uomo che conosceva gli oracoli con maggiore esattezza fra tutti. I
rimanenti alleati erano rimasti zitti fino ad allora, ma, dopo aver
udito Socle parlare liberamente, ruppero il silenzio aderendo tutti
all'opinione espressa dal Corinzio. E scongiurarono gli Spartani di non
rivoluzionare nulla nelle città della Grecia. 94) In tal modo
l'iniziativa fu bloccata. A Ippia, mentre partiva, il Macedone Aminta
offrì Antemunte; i Tessali gli avevano offerto Iolco; ma Ippia le
rifiutò entrambe e se ne tornò indietro al Sigeo, che Pisistrato aveva
strappato con le armi ai Mitilenesi. Pisistrato dopo essersene
impadronito, vi aveva insediato come tiranno Egesistrato, suo figlio
bastardo, nato da una donna di Argo, il quale non riusciva a conservare
pacificamente quanto aveva ricevuto da Pisistrato. Mitilenesi e
Ateniesi, muovendo dalla città di Achilleo, gli facevano spesso guerra,
i primi perché rivendicavano la regione, gli Ateniesi non certo perché
riconoscessero tale diritto; anzi dimostravano a fil di logica che gli
Eoli non avevano diritti sulla regione di Ilio più di loro e di tutti
quegli altri Greci che avevano aiutato Menelao a vendicare il rapimento
di Elena. 95) Durante
questi conflitti era successo un po' di tutto nelle battaglie: una volta
il poeta Alceo nel bel mezzo di una mischia in cui gli Ateniesi stavano
prevalendo si mise in salvo con la fuga; gli Ateniesi si impadronirono
delle sue armi e le appesero nel tempio di Atena al Sigeo. Su questa
vicenda Alceo compose una poesia e la inviò a Mitilene per annunciare
la sua disavventura all'amico Melanippo. Ateniesi e Mitilenesi li
riconciliò Periandro di Mitilene, a cui si erano rivolti per un
arbitrato; li mise d'accordo in questo modo, che ognuno governasse ciò
che possedeva. 96) E così il
Sigeo era passato sotto gli Ateniesi. Ippia, tornato da Sparta in Asia,
tentò ogni mossa, calunniando gli Ateniesi agli occhi di Artafrene e
facendo di tutto perché Atene cadesse in potere suo e di Dario. Così
manovrava Ippia; gli Ateniesi, saputolo, inviarono messaggeri a Sardi
per impedire ai Persiani di lasciarsi convincere dagli esuli ateniesi.
Ma Artafrene li invitò a riammettere Ippia in patria, se volevano
evitare i guai. Gli Ateniesi non accolsero questi discorsi, quando gli
furono riferiti; e non accogliendoli avevano in pratica deciso di essere
apertamente ostili ai Persiani. 97) Mentre
facevano queste considerazioni ed erano ormai in cattiva luce agli occhi
dei Persiani, giunse ad Atene Aristagora di Mileto, mandato via da
Sparta dal Lacedemone Cleomene; Atene in effetti fra le rimanenti città
era la più potente. Presentatosi davanti al popolo, Aristagora ripeté
lo stesso discorso pronunciato a Sparta sulle ricchezze dell'Asia e
sulla guerra contro la Persia, come cioè fosse facile sconfiggerli dato
che non usavano né scudo né lancia. Ripeté tutto questo e aggiunse
che i Milesi erano coloni di Atene e quindi logicamente si attendevano
una difesa dagli Ateniesi, tanto potenti. Non tralasciò promessa, da
uomo stretto nella morsa della necessità, finché non li convinse.
Evidentemente è più facile abbindolarne molti che uno solo, se
Aristagora non fu capace di ingannare lo spartano Cleomene, un solo
individuo, e ci riuscì invece con trentamila Ateniesi. Gli Ateniesi,
persuasi, decretarono di mandare venti navi in soccorso degli Ioni,
nominandone comandante Melantio, un cittadino eminente da ogni punto di
vista. Queste navi furono origine di sventura per i Greci e per i
barbari. 98) Aristagora
le precedette: giunto a Mileto, escogitò un piano che agli Ioni non
avrebbe portato alcun vantaggio (non era neppure questo il suo scopo, in
fondo: agiva per molestare re Dario): mandò un uomo in Frigia presso i
Peoni del fiume Strimone fatti a suo tempo prigionieri da Megabazo, che
abitavano per conto loro una località e un villaggio della Frigia;
l'inviato, giunto presso i Peoni, pronunciò il seguente discorso:
"Peoni, mi ha mandato Aristagora, il tiranno di Mileto, per
promettervi la salvezza, se volete dargli retta. In questo momento la
Ionia intera si è ribellata al re e voi avete la possibilità di
tornarvene sani e salvi nel vostro paese. Fino al mare il viaggio
dipende da voi, da lì in avanti ce ne occuperemo noi". Udite
queste parole, i Peoni le salutarono con entusiasmo, presero su donne e
bambini e corsero verso il mare; ma ci fu anche chi rimase lì per
paura. I Peoni raggiunsero il mare e dalla costa passarono a Chio. Erano
già a Chio quando si gettò sulle loro tracce, all'inseguimento, un
forte contingente di cavalieri persiani. Non avendoli acciuffati,
ingiunsero ai Peoni in Chio di tornare indietro. I Peoni non accolsero
l'ordine, anzi i Chii li trasferirono dalla loro isola a Lesbo, e i
Lesbi li portarono a Dorisco. Da lì per via di terra raggiunsero la
Peonia. 99) Aristagora,
dopo l'arrivo delle venti navi ateniesi, accompagnate da cinque triremi
di Eretriesi che prendevano parte alla spedizione per fare un favore non
agli Ateniesi, ma ai Milesi stessi, ai quali pagavano un debito di
riconoscenza (precedentemente i Milesi avevano sostenuto sino in fondo
Eretria in una guerra contro i Calcidesi, allorché i Calcidesi avevano
fruito dell'aiuto dei Sami contro Ateniesi e Milesi), dopo insomma il
loro arrivo e una volta presenti anche gli altri alleati, Aristagora
organizzò una spedizione contro Sardi. Lui non vi prese parte, ma
rimase a Mileto nominando altri strateghi alla testa dei Milesi, suo
fratello Caropino e, fra gli altri cittadini, Ermofanto. 100) Giunti a
Efeso con questo contingente, gli Ioni lasciarono le navi a Coresso, nel
territorio di Efeso e marciarono verso l'interno con truppe ingenti,
prendendo come guide degli Efesini. Marciarono lungo il fiume Caistro,
poi da lì valicarono il Tmolo: raggiunsero Sardi, la presero senza
incontrare alcuna resistenza e l'occuparono tutta esclusa l'acropoli;
l'acropoli la difese personalmente Artafrene con un robusto contingente
di soldati. 101) Non poterono
però saccheggiare la città conquistata; andò così: le case di Sardi
erano in maggioranza di canne e anche le case in mattoni avevano il
tetto di canne. Come un soldato diede fuoco a una di esse, subito
l'incendio si propagò di casa in casa e divampò per tutta la città.
Mentre la città bruciava i Lidi e tutti i Persiani che vi si trovavano,
tagliati fuori da ogni parte, poiché il fuoco ardeva nelle zone
periferiche e non avevano vie d'uscita dalla città, si affollarono
nella piazza e sulle rive del fiume Pattolo, che scorre nel mezzo della
piazza trascinando giù dal Tmolo delle pagliuzze d'oro e poi confluisce
nel fiume Ermo, il quale sfocia in mare. Ammassandosi sulla piazza e sul
fiume Pattolo, Lidi e Persiani furono costretti a difendersi. Gli Ioni,
vedendo che parte dei nemici resisteva e altri accorrevano in gran
numero, si ritirarono timorosi verso il monte detto Tmolo e da lì, col
favore della notte, si allontanarono in direzione delle navi. 102) Sardi fu
devastata dalle fiamme; bruciò anche il tempio della dea locale Cibebe,
più tardi preso a pretesto dai Persiani per dar fuoco ai santuari dei
Greci. Allora i Persiani delle satrapie al di qua dell'Alis, venuti a
sapere l'accaduto, si radunarono e vennero in soccorso dei Lidi. Non
trovarono più gli Ioni a Sardi e si gettarono sulle loro tracce; li
raggiunsero a Efeso. Gli Ioni si schierarono di fronte a loro, ma nello
scontro furono nettamente battuti. I Persiani ne uccisero molti: fra i
caduti illustri ci fu Evalcide, comandante degli Eretriesi, vincitore di
molte corone negli agoni e molto elogiato da Simonide di Ceo. I
superstiti della battaglia si dispersero nelle città. 103) Quella volta
combatterono così. In seguito gli Ateniesi abbandonarono completamente
gli Ioni; ai molti appelli rivolti da Aristagora per mezzo di messaggeri
risposero negando il proprio appoggio. Anche se privi dell'alleanza di
Atene, gli Ioni preparavano la guerra contro il re (tali erano le cose
che avevano fatto contro Dario). Si spinsero fino all'Ellesponto e si
assicurarono il controllo di Bisanzio e di tutte le altre città della
regione; usciti dall'Ellesponto si guadagnarono l'alleanza della maggior
parte della Caria; anche Cauno, che prima aveva rifiutato di aiutarli,
dopo l'incendio di Sardi passò dalla loro parte. 104) I Ciprioti
spontaneamente aderirono tutti tranne gli abitanti di Amatunte. Anche i
Ciprioti infatti erano insorti contro i Medi ed ecco come. Fratello
minore di Gorgo, re della città di Salamina, era Onesilo, figlio di
Chersi, nipote di Siromo e pronipote di Eveltonte. Già prima costui
aveva più volte incitato Gorgo a staccarsi dal re, ma appena seppe
della rivolta degli Ioni, moltiplicò pesantemente le sue pressioni. Non
riuscendo a persuadere Gorgo, Onesilo e i suoi sostenitori attesero che
uscisse dalla rocca di Salamina e lo chiusero fuori delle porte. Gorgo,
defraudato della sua città, riparò presso i Medi. Onesilo governava
Salamina e cercava di persuadere tutti i Ciprioti a insorgere insieme
con lui. Le altre città riuscì a convincerle, Amatunte, che non voleva
obbedirgli, la cinse di assedio. 105) Onesilo
assediava Amatunte; re Dario, quando ricevette la notizia che Sardi era
stata presa e data alle fiamme da Ioni e Ateniesi, e che il capo della
congrega, il tessitore di ogni trama era Aristagora di Mileto, appena
informato, si racconta, trascurò del tutto gli Ioni (era sicuro che
l'avrebbero pagata cara quella ribellione) e domandò invece chi fossero
gli Ateniesi; ottenuta risposta, chiese un arco, lo prese in mano, vi
incoccò una freccia, la puntò verso il cielo e scagliandola in aria
esclamò: "O Zeus, ch'io possa vendicarmi degli Ateniesi!".
Pronunciate tali parole, ordinò a uno dei suoi servitori di ripetergli
per tre volte durante ogni banchetto: "Padrone, ricordati di
Atene". 106) Impartito
quest'ordine, chiamò davanti a sé Istieo di Mileto, che tratteneva
ormai da molto tempo, e gli disse: "Istieo, vengo a sapere che il
tuo governatore, l'uomo a cui tu hai affidato Mileto, ha tramato guai ai
miei danni: ha guidato contro di me soldati dall'altro continente, e
assieme a loro gli Ioni, che mi pagheranno ciò che hanno fatto; ha
persuaso dunque gli Ioni ad aggregarsi a quei soldati e mi ha strappato
Sardi. Ora dimmi un po': ti pare una cosa ben fatta? E come si è potuta
verificare se non c'eri dietro tu? Bada di non doverne rendere conto un
giorno". Al che Istieo rispose: "Mio sovrano, che parole hai
proferito! Io avrei ispirato azioni tali da cui ti potevano derivare
danni, grandi o piccoli? Ma di cosa andavo in caccia per comportarmi così?
Di che cosa ho bisogno? Io ho tutto quello che hai tu, godo il
privilegio di ascoltare tutti i tuoi progetti. Se il mio governatore si
comporta come hai detto, sappi che l'iniziativa è tutta sua. Per me, io
non credo affatto a questa notizia, che i Milesi e il mio sostituto
tramino ai tuoi danni. Ma se veramente agiscono così e quanto hai
saputo è vero, allora ecco lo vedi, mio re, cosa hai ottenuto a
strapparmi dal mare. Lontani dai miei occhi gli Ioni hanno realizzato,
mi pare, un loro vecchio desiderio; se io fossi stato in Ionia nessuna
città si sarebbe mossa. Ora almeno lasciami andare al più presto nella
Ionia, per rimettere tutto a posto laggiù e per consegnare nelle tue
mani il governatore di Mileto, il responsabile di queste macchinazioni.
Sistemata ogni cosa secondo la tua volontà, te lo giuro sugli dèi
della casa reale, non mi toglierò il chitone da me indossato al momento
del mio arrivo in Ionia, prima di averti reso tributaria la Sardegna, la
più grande delle isole". 107) Parlando così
Istieo lo ingannava, ma Dario si lasciò convincere e lo fece partire,
con l'ordine di tornare da lui a Susa non appena realizzato quanto aveva
promesso. 108) Nel periodo
in cui la notizia su Sardi giungeva al re, in cui Dario, compiuto il
gesto dell'arco, aveva il colloquio con Istieo e Istieo, col permesso di
Dario, era in viaggio verso il mare, in tutto quest'arco di tempo ecco
cosa accadde. A Onesilo di Salamina, impegnato nell'assedio di Amatunte,
giunse notizia dell'imminente arrivo a Cipro del persiano Artibio, per
mare, alla testa di un'ingente armata persiana. Una volta saputolo,
Onesilo inviò araldi in Ionia a chiedere soccorsi. Gli Ioni non
impiegarono molto a decidersi e si presentarono con una flotta cospicua.
Gli Ioni erano nelle acque di Cipro quando i Persiani, tragittati dalla
Cilicia, marciarono contro Salamina. Intanto con la flotta i Fenici
circumnavigavano il promontorio detto le Chiavi di Cipro. 109) Mentre
succedeva questo, i tiranni di Cipro radunarono gli strateghi degli Ioni
e dissero loro: "Ioni, noialtri Ciprioti vi lasciamo scegliere i
nemici da attaccare [Persiani o Fenici]; se volete disporvi in ordine di
battaglia sulla terraferma e misurarvi coi Persiani, sarebbe ora per voi
di scendere dalle navi e di schierare la fanteria e per noi di
imbarcarci sulla vostra flotta e di batterci contro i Fenici. Se
preferite confrontarvi coi Fenici, dovete, comunque scegliate,
impegnarvi al limite delle vostre forze per mantenere libere la Ionia e
Cipro". A ciò gli Ioni risposero: "Noi siamo stati mandati
qui dall'assemblea generale degli Ioni a presidiare il mare, non per
consegnare le navi ai Ciprioti e affrontare i Persiani in terraferma.
Noi dunque nel posto che ci è stato affidato, lì cercheremo di essere
valorosi. Quanto a voi, memori delle sofferenze patite quando eravate
servi dei Medi, dovete dimostrare il vostro coraggio". 110) Così
risposero gli Ioni. Poi, quando i Persiani furono nella piana di
Salamina, i re di Cipro schierarono gli altri Ciprioti di fronte agli
altri soldati, ma scelsero e contrapposero ai Persiani il fior fiore dei
Salamini e dei Solii. Di fronte ad Artibio, il generale dei Persiani, si
piazzò di proposito Onesilo. 111) Artibio
montava un cavallo addestrato a impennarsi di fronte a un oplita.
Onesilo lo sapeva e avendo uno scudiero di stirpe Caria, molto esperto
in campo militare e particolarmente coraggioso, gli disse: "Io so
che il cavallo di Artibio si impenna, e con le zampe e il muso attacca
chi gli si pari davanti. Tu dunque pensaci un attimo e poi dimmi subito
chi vuoi tener d'occhio e colpire, se il cavallo o Artibio stesso".
A tale proposta l'armigero rispose: "Mio re, sono pronto a fare
entrambe le cose assieme oppure una sola, e in ogni caso qualunque
compito mi affidi. Ma devo dirti però cosa mi sembra più adeguato alla
tua condizione. Secondo me è bene che un re e comandante dell'esercito
se la veda con un re e comandante dell'esercito: se abbatti un generale,
è una grande impresa, se al contrario lui abbatte te (il che non sia
mai), perfino la morte è solo una mezza disgrazia, se avviene per mano
di un uomo che conta. A noi servitori si addice lottare con altri
servitori o con un cavallo. Tu non temerne i trucchi: ti assicuro che
non si drizzerà più sulle zampe davanti a nessuno". 112) Così disse.
E subito dopo gli eserciti si scontrarono, per terra e per mare. Con le
navi quel giorno gli Ioni si distinsero per bravura e travolsero i
Fenici; i migliori fra loro furono i Sami. Sulla terraferma le truppe,
ingaggiata battaglia, si affrontarono corpo a corpo. Ed ecco come si
svolse il duello fra i due comandanti. Quando Artibio sul suo cavallo
assalì Onesilo, questi, come d'accordo con lo scudiero, indirizzò i
suoi colpi su Artibio che gli veniva addosso. Appena il cavallo alzò
gli zoccoli contro lo scudo di Onesilo, il Cario con un colpo di falce
mozzò le zampe del cavallo. 113) Artibio, il
comandante dei Persiani, crollò a terra sul posto assieme al cavallo.
Mentre anche gli altri erano impegnati nella mischia, Stesenore, tiranno
di Curio, passò al nemico con il suo non piccolo contingente di soldati
(questi Curiei sono, si dice, coloni di Argo). Subito dopo il tradimento
dei Curiei, il reparto dei carri da guerra di Salamina li imitò. In
seguito a queste defezioni i Persiani si trovarono in vantaggio sui
Ciprioti. Quando l'esercito fu travolto, fra i molti altri a cadere ci
furono Onesilo figlio di Chersio, istigatore della ribellione cipriota,
e il re dei Solii Aristocipro, figlio di quel Filocipro che Solone di
Atene, giunto nell'isola, aveva elogiato nei suoi versi ben più degli
altri tiranni. 114) A Onesilo,
perché li aveva assediati, gli Amatusi tagliarono la testa, la
portarono nella loro città e l'appesero sopra le porte. Era ancora
appesa quando nel cranio ormai vuoto si introdusse uno sciame di api e
lo riempì di favi. Dopo tale fenomeno consultarono l'oracolo su quella
testa e il responso li invitò a staccarla di lassù, a darle sepoltura
e a compiere annuali sacrifici in onore di Onesilo eroe: in questo modo
la situazione si sarebbe volta al meglio. 115) Gli Amatusi
così fecero, e continuano ancora oggi a offrir sacrifici. Gli Ioni che
a Cipro si erano battuti sul mare, quando seppero che l'iniziativa di
Onesilo era stata stroncata e che le città di Cipro erano sotto assedio
tutte, tranne Salamina (riconsegnata però dai suoi abitanti nelle mani
di Gorgo, il re precedente) gli Ioni, come lo seppero, fecero
immediatamente rotta verso la Ionia. A Cipro la città che resistette più
a lungo all'assedio fu Soli: i Persiani la presero dopo quattro mesi
scavando sotto le mura tutto intorno. 116) Insomma i
Ciprioti, dopo un anno di libertà, furono nuovamente asserviti. Daurise,
genero di Dario, e Imea e Otane (anche loro capi persiani e generi di
Dario), che si erano gettati sulle tracce degli Ioni della spedizione
contro Sardi e li avevano ricacciati sulle navi, dopo averli vinti in
battaglia, si distribuirono le città e le saccheggiarono. 117) Daurise si
diresse contro le città dell'Ellesponto: prese Dardano, conquistò
Abido, Percote, Lampsaco e Peso (al ritmo di una al giorno); poi, mentre
si spingeva da Peso a Pario, gli giunse la notizia che i Cari, mossi
dagli stessi sentimenti degli Ioni, si erano ribellati ai Persiani. Si
allontanò quindi dall'Ellesponto e spinse il suo esercito contro la
Caria. 118) Ma in
qualche modo i Cari ne furono avvertiti prima dell'arrivo di Daurise.
Appena informati, i Cari si riunirono alle cosiddette Colonne Bianche
sul fiume Marsia; il Marsia scorre dal paese di Idriade e confluisce poi
nel Meandro. Al raduno dei Cari furono espressi molti e vari pareri; il
migliore, a mio giudizio, fu quello di Pissodoro figlio di Mausolo, di
Cindia, genero del re di Cilicia Siennesi. Suggeriva ai Cari di
attraversare il Meandro e combattere con il fiume alle spalle; così,
impossibilitati a ritirarsi, costretti a restare sul posto, avrebbero
accresciuto il loro innato valore. Ma questa opinione non prevalse,
preferirono anzi che ad avere il Meandro alle spalle fossero i Persiani
e non loro, immagino perché i Persiani, eventualmente messi in fuga e
sbaragliati, rovinassero nel fiume senza trovare ritorno. 119) Poi i
Persiani arrivarono e passarono il Meandro: sulle rive del fiume Marsia
avvenne lo scontro fra Cari e Persiani: combatterono una dura battaglia,
che si protrasse a lungo, finché i Cari non furono sopraffatti dalla
superiorità numerica nemica. Caddero più o meno duemila Persiani, ma
circa diecimila Cari. I superstiti, di lì ripararono a Labraunda nel
santuario di Zeus Stratio, un vasto e sacro bosco di platani (i Cari
sono i soli, a mia conoscenza, a sacrificare in onore di Zeus Stratio).
Rinserratisi colà, si consultarono su come salvarsi, se avrebbero fatto
meglio ad arrendersi ai Persiani oppure ad abbandonare l'Asia del tutto. 120) Mentre
discutevano il problema, arrivarono truppe di soccorso da Mileto e dai
suoi alleati; allora i Cari lasciarono da parte ogni discussione e si
apprestarono a ricominciare da capo la lotta. Attaccarono i Persiani in
arrivo e nello scontro furono sconfitti più duramente della volta
prima; caddero molti uomini da entrambe le parti, ma rilevanti furono in
particolare le perdite dei Milesi. 121) Più tardi i
Cari guarirono la ferita e si rifecero sul campo: infatti, informati che
i Persiani erano in marcia per assalire le loro città, tesero un
agguato sulla strada di Pedasa; i Persiani vi caddero di notte e furono
massacrati assieme ai loro comandanti, Daurise, Amorge e Sisimace; e con
essi c'era anche Mirso figlio di Gige. Artefice dell'imboscata fu
Eraclide, figlio di Ibanoli, di Milasa. 122) Così,
dunque, furono annientati questi Persiani. Imea, che pure lui aveva
inseguito gli Ioni della spedizione contro Sardi, si volse contro la
Propontide e prese Chio in Misia. Espugnata Chio, come seppe che Daurise
aveva abbandonato l'Ellesponto ed era in marcia verso la Caria, lasciò
la Propontide e guidò le sue truppe nell'Ellesponto: sottomise tutti
gli Eoli insediati nella regione di Ilio, nonché gli abitanti di
Gergite, cioè i superstiti degli antichi Teucri. Mentre soggiogava
queste popolazioni, Imea morì nella Troade, per una malattia. 123) E questa fu
la fine di Imea; quanto ad Artafrene, il governatore di Sardi, e a Otane,
il terzo generale, ricevettero l'ordine di marciare contro la Ionia e la
vicina Eolide. In Ionia si impadronirono di Clazomene, in Eolide di Cuma. 124) Durante
l'occupazione di queste città, Aristagora di Mileto (non era infatti,
come dimostrò, un campione di coraggio e dopo aver gettato la Ionia nel
caos e rimestato grandi progetti, meditava una fuga clamorosa),
osservando gli avvenimenti e per giunta sembrandogli palesemente
impossibile avere la meglio su re Dario, per tutto ciò, insomma, convocò
i suoi seguaci e tenne consiglio: affermò che era meglio per loro avere
pronto un luogo dove rifugiarsi, nel caso fossero stati costretti ad
abbandonare Mileto; se condurli a fondare una colonia in Sardegna
lontano da lì, oppure a Mircino degli Edoni, che Istieo aveva ottenuto
in dono da Dario e fortificato, ecco cosa domandava Aristagora. 125)Ecateo figlio
di Egesandro, scrittore, gli suggerì, nel caso fosse stato scacciato da
Mileto, di non partire per nessuna di quelle due località, ma di
costruire una fortezza sull'isola di Lero e di starsene in pace.
Muovendo da quell'isola, più tardi, sarebbe tornato a Mileto. 126) Così
proponeva Ecateo; ma Aristagora personalmente preferiva di gran lunga
ritirarsi a Mircino. Affidò Mileto a Pitagora, un cittadino eminente;
poi, accettando con sé chiunque lo desiderasse, fece rotta verso la
Tracia, dove occupò la regione verso la quale si era diretto. Partendo
da lì, perirono per mano dei Traci lui e il suo esercito, all'assedio
di una città, dalla quale i Traci volevano uscire in seguito a una
tregua.
|
|
.....