MEGABAZO CONQUISTA LA TRACIA


Prima parte


                                  

1)I Persiani lasciati da Dario in Europa agli ordini di Megabazo sottomisero innanzitutto, fra le popolazioni dell'Ellesponto, i Perinti, che non volevano essere servi di Dario e che in precedenza avevano subíto una dura lezione anche da parte dei Peoni. Infatti un oracolo divino aveva esortato i Peoni dello Strimone a muovere guerra ai Perinti e ad attaccarli, se i Perinti schierati di fronte a loro li avessero chiamati gridandone il nome; in caso contrario non dovevano attaccarli. E così appunto si regolavano i Peoni. Mentri i Perinti erano schierati di fronte a loro nei sobborghi della città, per sfida ebbe luogo un triplice duello: opposero un uomo a un uomo, un cavallo a un cavallo, un cane a un cane. Quando i Perinti, ormai vincitori in due degli scontri, cominciavano a intonare il peana tutti contenti, i Peoni pensarono che quello appunto intendeva il responso e si dissero l'un l'altro, immagino: "Forse ora l'oracolo si avvera, ora tocca a noi!". Insomma i Peoni si scagliarono contro i Perinti che cantavano il peana e li sconfissero duramente lasciando pochi superstiti.

2) Ecco cos'era capitato una volta a opera dei Peoni; allora invece, dato che i Perinti si battevano da valorosi per la libertà, i Persiani e Megabazo li sopraffecero solo grazie alla superiorità numerica. Megabazo, dopo la conquista della regione di Perinto, spinse il suo esercito attraverso la Tracia, assoggettando al sovrano tutte le città e le genti che vi si trovavano. Questo appunto gli era stato ordinato da Dario, di sottomettere la Tracia.

3) Il popolo dei Traci è il più numeroso del mondo, almeno dopo gli Indiani. Se avessero un sovrano unico o la pensassero allo stesso modo, sarebbero a mio parere invincibili, il popolo più potente in assoluto. Ma questo in realtà non c'è caso o maniera che mai si verifichi, e perciò sono deboli. Hanno molti nomi, diversi da regione a regione, ma tutti hanno usanze assai simili, da ogni punto di vista, tranne i Geti, i Trausi e quelli che sono stanziati a nord di Crestona.

4) Di costoro, come si comportino i Geti, che si ritengono immortali, già l'ho detto; i Trausi dal canto loro, mentre per tutto il resto seguono i costumi degli altri Traci, riguardo a chi nasce e a chi muore si regolano così: seduti intorno al neonato i parenti piangono e lamentano i mali che, essendo nato, dovrà subire ed elencano tutte le possibili sofferenze umane; chi è morto, invece, lo seppelliscono scherzando e in piena allegria, specificando da quanti mali si è ormai liberato e come si trovi ormai in uno stato di totale beatitudine.

5) E veniamo alle abitudini di chi abita a nord di Crestona. Hanno tutti molte mogli; quando uno muore, scoppia una grande contesa fra le varie consorti (con vivissimo interessamento degli amici) su quale fosse stata amata di più dal marito. La moglie prescelta e ritenuta degna di tale onore, fra gli elogi di uomini e donne, viene sgozzata sulla tomba per mano del suo parente più prossimo e, una volta sgozzata, riceve sepoltura accanto al marito. Le altre si affliggono molto: in effetti gliene deriva un biasimo altissimo.

6) Fra gli altri Traci vige la seguente consuetudine: vendono i figli maschi perché se ne vadano via. Le ragazze non le sorvegliano, anzi lasciano che facciano l'amore con chi vogliono; ma sulle mogli vigilano con rigore. Le mogli le comprano a caro prezzo dai genitori. Avere tatuaggi è considerato segno di nobiltà, non averne è ignobile; chi non lavora è magnifico, chi lavora la terra spregevole. L'ideale è vivere di guerra e di rapina.

7) Queste sono le loro abitudini più significative. Gli unici dèi che venerano sono Ares, Dioniso e Artemide; a differenza degli altri Traci, i re venerano soprattutto, fra le divinità, Ermes e giurano solo su di lui; e da Ermes affermano di discendere.

8) Ecco come si svolgono i funerali dei Traci benestanti. Per tre giorni espongono il cadavere, poi, dopo un compianto preliminare, sacrificati animali di varie specie, banchettano; poi seppelliscono il morto, cremandolo o inumandolo; innalzato quindi un tumulo, istituiscono gare di ogni tipo, nelle quali i massimi premi sono stabiliti, logicamente, per i combattimenti individuali. Questi sono i funerali fra i Traci.

9) Più oltre, a nord di questo paese, nessuno sa dire con certezza quali genti abitino; ma già le regioni al di là dell'Istro si presentano desertiche e sconfinate. I soli uomini, di cui ho notizie indirette, che risiedono al di là dell'Istro si chiamano Siginni e vestono abiti di foggia meda. I loro cavalli hanno un folto pelo in tutto il corpo, con crini lunghi fino a cinque dita; sono piccoli, hanno il muso corto e non sono adatti a portare uomini in groppa; però, aggiogati ai carri, sono molto veloci; per questo i locali fanno un grande uso di carriaggi. I confini di questi Siginni si estendono fino ai Veneti dell'Adriatico. Dicono di essere coloni medi; come siano divenuti coloni dei Medi non riesco a immaginarlo, ma tutto è possibile in un lungo arco di tempo. Siginni di fatto è il termine che presso i Liguri stanziati sopra Marsiglia designa i commercianti; i Ciprioti chiamano così le lance.

10) A sentire i Traci, il territorio al di là dell'Istro è infestato da api; per via delle api non sarebbe possibile avanzare oltre. Ma dicendo così a me pare che affermino cose poco verosimili: questi insetti mostrano di non tollerare il freddo, e io ritengo che le regioni poste sotto l'Orsa siano disabitate proprio a causa del gelo. Ecco dunque quanto si racconta sul paese di cui Megabazo stava sottomettendo ai Persiani le zone costiere.

11) Come fu a Sardi, dopo aver attraversato l'Ellesponto, Dario si ricordò del servigio resogli da Istieo di Mileto e dei consigli ricevuti da Coe di Mitilene; li convocò a Sardi e concesse loro diritto di scelta. Istieo, in quanto già tiranno di Mileto, non desiderava altra tirannide, chiese invece il territorio di Mircino degli Edoni, dove intendeva fondare una città. Questo scelse Istieo; Coe invece, che non era tiranno ma un semplice privato, chiese la tirannide di Mitilene.

12) Entrambi furono accontentati e partirono per le località prescelte. A Dario, poi, capitò di assistere a una scena che lo spinse a dar ordine a Megabazo di assoggettare i Peoni e di trasferirli dall'Asia in Europa. C'erano due Peoni, Pigrete e Mastia, i quali, dopo il passaggio di Dario in Asia, erano venuti a Sardi indotti dal desiderio di diventare signori dei Peoni; e si portavano dietro una sorella di alta statura e di piacevole aspetto. Attesero che Dario andasse ad assidersi per rendere giustizia nel sobborgo della capitale lidia ed ecco cosa fecero: vestirono la sorella più splendidamente che poterono e la mandarono a prendere acqua con un vaso sulla testa mentre intanto tirava con un braccio un cavallo e filava del lino. La donna passando accanto a Dario ne attirò l'attenzione: le azioni della donna infatti non erano da Persiani, né da Lidi, né di alcun altro popolo dell'Asia. Poiché quella donna lo incuriosiva, Dario ordinò a qualcuna delle sue guardie di andare a osservare che avrebbe fatto la donna del cavallo. Le guardie la pedinarono, e lei, giunta al fiume, fece abbeverare il cavallo; poi, abbeveratolo, riempì d'acqua il vaso e tornò indietro, lungo lo stesso percorso di prima, reggendo l'orcio sulla testa, tirando col braccio il cavallo e girando il fuso.

13) Dario, stupito del resoconto degli osservatori e di ciò che lui stesso aveva visto, ordinò di condurre la donna al suo cospetto. Al suo arrivo erano presenti anche i due fratelli, i quali non lontano da lì spiavano gli avvenimenti. Appena Dario chiese di dove fosse la donna, i giovani dichiararono di essere Peoni e che lei era una loro sorella. Dario replicò domandando chi fossero mai i Peoni, in quale parte del mondo vivessero, e che cosa erano venuti a fare, loro due, a Sardi. Essi risposero di essere venuti per affidarsi nelle sue mani, che la Peonia era una regione abitata intorno alle rive dello Strimone, che lo Strimone si trova non lontano dall'Ellesponto e che i Peoni erano coloni dei Teucri di Troia. Gli spiegavano ogni cosa per bene, e Dario si informò allora se in quel paese tutte le donne fossero altrettanto operose. Ed essi si affrettarono a confermare che le cose stavano così e per questo erano state fatte.

14) Allora Dario scrisse una lettera a Megabazo, che aveva lasciato in Tracia a comandare le truppe, ordinandogli di sradicare i Peoni dalle loro sedi e di condurli da lui, loro con i figli e le mogli. Subito un cavaliere si precipitò a portare il messaggio fino all'Ellesponto, lo passò e consegnò la lettera a Megabazo; Megabazo, quando l'ebbe letta, prese con sé delle guide tracie e marciò contro la Peonia.

15) I Peoni, saputo che i Persiani avanzavano contro di loro, raccolsero le truppe e uscirono in campo verso il mare, pensando a un attacco sferrato dai Persiani da quel lato. I Peoni erano pronti a rintuzzare l'aggressione dell'esercito di Megabazo, ma i Persiani, informati che i Peoni avevano ammassato le loro forze e presidiavano la via d'accesso costiera, avvalendosi di guide deviarono su un percorso più interno e, prima che i Peoni se ne accorgessero, calarono sulle loro città, ormai prive di uomini validi; piombati su di esse, le conquistarono agevolmente dato che erano vuote. I Peoni, una volta appreso che le città erano state occupate, si dispersero subito, se ne tornarono ciascuno a casa propria e si consegnarono ai Persiani. Così dunque fra le popolazioni della Peonia, i Siriopeoni, i Peopli e quelli stanziati fino al lago Prasiade furono strappati dalle loro sedi e deportati in Asia.

16) Invece quelli stanziati intorno al monte Pangeo (e i Doberi, gli Agriani e gli Odomanti) e al lago stesso di Prasiade non caddero assolutamente nelle mani di Megabazo. Comunque tentò di sottomettere anche quelli della palude, che sono sistemati come segue: in mezzo al lago si innalzano piattaforme di legno fissate sopra lunghi pali; l'unica e angusta via d'accesso dalla terra ferma è un ponte. I pali destinati a sorreggere le piattaforme li piantarono anticamente tutti i cittadini assieme; dopo di allora li erigono in base a questa regola: portandoli dal monte detto Orbelo, chi si sposa pianta tre pali per ciascuna moglie; va detto che ogni uomo prende più mogli. Abitano in questo modo: ognuno sul tavolato dispone di una capanna, dove vive, e di una botola che immette sul lago attraverso le tavole. I bambini in tenera età li legano per un piede con una corda per paura che rotolino di sotto. Come mangime ai cavalli e alle bestie da soma danno del pesce; ce n'è una tale quantità che, quando sollevano la porta-botola e con una funicella calano giù nel lago un cestino, tirandolo su, dopo poco tempo, lo issano colmo di pesci. Ce ne sono di due specie, che chiamano papraci e tiloni.

17) I Peoni asserviti vennero deportati in Asia; intanto Megabazo, dopo aver trionfato sui Peoni, mandava come ambasciatori in Macedonia sette Persiani, i più ragguardevoli nell'esercito dopo di lui. Essi furono inviati presso Aminta a chiedere terra e acqua per il re Dario. La via più breve per la Macedonia parte senz'altro dal lago di Prasiade: subito dopo il lago viene la miniera dalla quale, in tempi posteriori ai presenti avvenimenti, Alessandro ricavava un talento d'argento al giorno; dopo la miniera e valicato il monte detto Disoro, si è in Macedonia.

18) I Persiani inviati da Aminta, appena giunti, si presentarono al cospetto del sovrano e gli chiesero terra e acqua per re Dario. E lui non solo le concesse, ma li invitò come ospiti; allestì un pranzo magnifico e ricevette i Persiani con grande amicizia. Al termine del pasto, fra una bevuta e l'altra, i Persiani dissero: "Ospite macedone, da noi in Persia, quando si imbandisce un grande banchetto, c'è la consuetudine di ammettere a sedere fra i convitati le concubine e le legittime consorti; tu dunque, visto che ci hai accolti di buon animo, ci ospiti con lusso e consegni al re Dario terra e acqua, adeguati alle nostre usanze". Al che Aminta rispose: "Persiani, da noi invece non si usa così, anzi uomini e donne stanno ben separati; ma poiché lo desiderate voi, che siete i signori, otterrete anche questo". Detto ciò, Aminta mandò a chiamare le donne; le quali, chiamate, si presentarono e si sedettero in fila di fronte ai Persiani. Allora i Persiani, vedendo donne belle si rivolsero ad Aminta e dichiararono il suo operato un non senso: era meglio, dicevano, che le donne non fossero venute, se poi, una volta lì, si sedevano di fronte a loro e non accanto, una vera e propria tortura per gli occhi. Messo alle strette, Aminta ordinò alle donne di sedersi accanto ai Persiani. Esse obbedirono, e i Persiani, pieni di vino com'erano, toccavano loro i seni, e qualcuno cercava persino di baciarle.

19) Aminta, a tale spettacolo, rimaneva impassibile, anche se ne soffriva; tanta paura aveva dei Persiani! Ma suo figlio Alessandro, che era lì e vedeva, giovane e inesperto di guai com'era, non riuscì più a padroneggiarsi e, al limite della sopportazione, disse ad Aminta: "Padre, arrenditi alla tua età, vattene, smetti di bere e di gozzovigliare; resterò io qua a offrire agli ospiti tutto il necessario". Aminta comprese, a tali parole, che Alessandro si accingeva a compiere qualche colpo di testa e gli rispose: "Figlio mio, tu bruci di rabbia e mi pare di capire dal tuo discorso che vuoi allontanarmi per commettere qualche pazzia; ma io ti prego di lasciare in pace questi uomini, per non rovinarci tutti; sopporta la vista di quanto accade. Quanto al tuo consiglio di ritirarmi, ti darò retta".

20) Ma non appena Aminta, dopo questa preghiera, se ne fu andato, Alessandro si rivolse ai Persiani: "Ospiti, disse, di queste donne potete disporre come vi pare, e fare l'amore con loro, con tutte o quante volete. Ce lo indicherete voi; adesso però è quasi ora per voi di andarvi a coricare e vi vedo già beatamente ubriachi; lasciate dunque, se non vi dispiace, che queste donne vadano a lavarsi; dopo torneranno da voi; accoglietele". Detto ciò, Alessandro (i Persiani approvarono) rimandò le donne nel gineceo, da dove erano venute, e personalmente vestì con abiti femminili degli uomini glabri, in numero pari alle donne, li armò di pugnali e li fece entrare; accompagnandoli dentro dichiarò ai Persiani: "Persiani, mi sembra che l'ospitalità sia perfetta; a vostra disposizione c'è tutto, tutto ciò che avevamo e in più quanto siamo stati capaci di trovare e di offrirvi, e in particolare, cosa straordinaria in assoluto, vi elargiamo generosamente le nostre madri e sorelle, perché sappiate che vi sono resi da noi gli onori di cui siete degni e possiate riferire al vostro sovrano che un Greco, governatore della Macedonia vi ha accolto come si deve a tavola e a letto". Detto ciò Alessandro sistema accanto a ogni Persiano un Macedone, travestito da donna: quando i Persiani tentarono di toccarli, li uccisero.

21) Di tale morte morirono dunque costoro, e poi anche il loro seguito; infatti avevano con sé carri e servitori e bagaglio in quantità, di ogni tipo. Uomini e cose, sparì tutto insieme. Non molto tempo dopo, i Persiani avviarono una grande ricerca di questi uomini e Alessandro li bloccò con l'astuzia, consegnando molto denaro e la propria sorella, che si chiamava Gigea. Alessandro mise le cose a tacere concedendo ciò a Bubare, un Persiano, il capo di quanti indagavano sugli scomparsi.

22) Così insomma fu soffocata nel silenzio la morte di quei Persiani. Che questi discendenti di Perdicca siano Greci, come dal canto loro vanno dichiarando, io per me dunque lo so; che sono Greci lo dimostrerò anche più avanti nei miei racconti; d'altronde che la cosa stia così lo riconobbero anche, fra i Greci, i sovrintendenti agli agoni di Olimpia. Infatti Alessandro aveva deciso di gareggiare e proprio a tale scopo era sceso in campo. I Greci a lui ostili cercarono di impedirglielo con la scusa che le gare non erano per atleti barbari, ma per greci. Ma Alessandro, avendo dimostrato la sua origine argiva, fu giudicato greco e gareggiò nella corsa dello stadio, dove fu primo a pari merito.

23) Così più o meno andarono le cose. Megabazo giunse sull'Ellesponto portando con sé i Peoni; una volta passato sull'altra sponda, si diresse verso Sardi. Istieo di Mileto già stava fortificando la località ricevuta in dono da Dario come ricompensa per la custodia del ponte (tale località, che si chiama Mircino, si trova nei pressi del fiume Strimone); Megabazo, appreso ciò che Istieo andava facendo, non appena giunse a Sardi con i Peoni, subito andò a dire a Dario: "Mio re, che cosa hai combinato a concedere a un Greco temibile e astuto di fondare in Tracia una città? Eppure sai bene che lì abbonda il legname per costruire navi e ci sono rematori a iosa e miniere d'argento; che tutt'attorno risiede una grande massa di Greci e una altrettanto grande massa di barbari, i quali, una volta avuto un capo, eseguiranno ciò che lui comanderà di giorno e di notte. Tu dunque impediscigli di continuare ad agire così, per non trovarti impelagato in una guerra in casa tua. Convocalo qui con buone maniere e fallo smettere; e quando potrai disporre di lui, vedi che non possa tornare più fra i Greci".

24) Con questo discorso Megabazo convinse Dario facilmente, da persona che aveva chiara idea del futuro. Più tardi, per bocca di un messaggero inviato a Mircino, Dario si espresse così: "Istieo, il re Dario ti dice: riflettendo io trovo che non ci sia uomo al mondo che abbia a cuore più di te la mia persona e i miei affari; e questo lo so per averlo appreso dai fatti e non dalle parole. Ora dunque, poiché ho in mente grandi progetti, vieni da me assolutamente, perché io te li comunichi". Istieo, fiducioso in tali parole e allettato dalla prospettiva di diventare consigliere del re, venne a Sardi. Quando giunse, Dario gli disse: "Istieo, t'ho mandato a chiamare per questa ragione. Subito dopo il mio ritorno dalla Scizia, da quando ci siamo visti l'ultima volta, non ho cercato altro, in così breve tempo, che vederti e discutere con te, perché so perfettamente che un amico intelligente e fedele è il bene più prezioso che esista; e sono due qualità che ho riconosciuto in te, lo posso testimoniare per averle esperimentate personalmente. E dato che hai fatto benissimo a venire, ecco cosa ti propongo. Lascia perdere Mileto e la città che hai appena fondato in Tracia e seguimi a Susa, dividi con me la mia vita, al mio fianco, commensale e consigliere".

25) Detto questo, Dario nominò Artafrene, suo fratello per parte di padre, governatore di Sardi; e si mosse verso Susa, conducendo con sé Istieo e avendo designato Otane a capo dell'esercito della fascia costiera. Il padre di Otane Sisamne, uno dei giudici reali, era stato mandato a morte dal re Cambise per aver emesso per denaro una sentenza ingiusta; Cambise lo aveva fatto scorticare interamente e la sua pelle, scuoiata e tagliata a strisce, fu distesa sul trono su cui sedeva per amministrare la giustizia. Dopodiché Cambise in luogo di Sisamne, da lui fatto uccidere e scorticare, aveva nominato giudice il figlio di Sisamne, con l'invito a ricordarsi su quale trono sedeva per amministrare la giustizia.

26) Dunque Otane, insediato a suo tempo su tale trono e succeduto allora a Megabazo nel comando dell'esercito, conquistò Bisanzio e Calcedonia, si impadronì di Antandro nella regione della Troade, occupò Lamponio e, con navi ricevute da Lesbo, prese Lemno e Imbro, in quell'epoca entrambe abitate ancora da Pelasgi.

27) I Lemni si batterono bene e solo col tempo furono sopraffatti, mentre ancora si difendevano; ai superstiti i Persiani imposero come governatore Licareto, fratello del Meandrio che fu re di Samo. Licareto morì mentre era al potere in Lemno... eccone la causa: riduceva in schiavitù e rovinava un po' tutti, chi con l'accusa di non aver preso parte alla spedizione contro la Scizia, chi con l'accusa di aver molestato l'esercito di Dario durante la ritirata dalla Scizia.

28) Tanto aveva realizzato costui nella sua veste di comandante; in seguito, per un breve periodo, ci fu una pausa nelle disgrazie, poi, per la seconda volta nuovi guai per gli Ioni cominciarono a originarsi da Nasso e da Mileto. Nasso da una parte primeggiava fra le isole per la sua prosperità, dall'altra, in quegli stessi anni, Mileto era al massimo del suo splendore e, di più, era la vera perla della Ionia, anche se solo un paio di generazioni prima era stata travagliata da una sedizione interna, finché i Pari non vi ebbero ricostituito l'ordine. Per la rappacificazione delle parti, infatti, i Milesi avevano scelto appunto loro fra tutti i Greci.

29) Ecco come i Pari le riconciliarono: non appena i loro uomini, i migliori, giunsero a Mileto e ne constatarono le disastrose condizioni economiche, dissero di voler compiere un giro nella regione. Così fecero, visitando l'intero territorio di Mileto, e ogni volta che in quella terra devastata scorgevano un campo ben lavorato, annotavano il nome del padrone del podere. Percorsero l'intera regione trovandone pochi, poi, una volta rientrati in città, convocarono l'assemblea e affidarono il governo dello stato alle persone i cui campi avevano trovato ben lavorati: dichiararono che a loro parere essi si sarebbero occupati della cosa pubblica con la stessa cura impiegata per gli affari privati. E imposero agli altri cittadini di Mileto, prima in continua ribellione, di obbedire a costoro.

30) Così insomma i Pari avevano riconciliato i Milesi. Ecco poi come allora da queste città cominciarono a sorgere guai per la Ionia. Fuggirono da Nasso, perseguitati dal popolo, uomini del ceto benestante, fuggirono e si recarono a Mileto. Per l'appunto reggeva Mileto Aristagora, figlio di Molpagora, genero e cugino di Istieo figlio di Lisagora, quello che Dario tratteneva a Susa. Istieo era tiranno di Mileto e si trovava a Susa proprio nel periodo in cui giungevano a Mileto i Nassi, già antichi ospiti di Istieo. I Nassi, una volta arrivati a Mileto, chiesero ad Aristagora se in qualche modo poteva fornire loro delle truppe con cui rientrare in patria. E Aristagora, considerando che se fossero rientrati in patria grazie a lui, avrebbe comandato su Nasso, facendosi forte dei vincoli di ospitalità di Istieo rivolse loro il seguente discorso: "Io personalmente non sono in grado di garantirvi una forza tale da farvi rientrare contro la volontà dei Nassi che tengono la città. Mi dicono infatti che i Nassi dispongono di un corpo di 8000 uomini e di molte navi lunghe; ma escogiterò qualcosa con tutta la mia buona volontà. Ecco come io ragiono. Si dà il caso che Artafrene sia un mio amico; Artafrene, lo sapete bene, è figlio di Istaspe e fratello di re Dario, e comanda su tutti gli abitanti della fascia costiera asiatica, disponendo di un esercito numeroso e di molte navi. Lo ritengo l'uomo adatto per realizzare quanto desideriamo". Udito ciò, i Nassi incaricarono Aristagora di agire come meglio poteva; lo invitarono a promettere doni e il vettovagliamento dell'esercito, a cui avrebbero provveduto essi stessi, perché nutrivano molte speranze che i Nassi avrebbero obbedito ai loro ordini appena essi fossero comparsi nelle acque di Nasso; speravano lo stesso degli altri isolani: in effetti di tutte queste isole (Cicladi) nessuna era ancora sotto Dario.

31) Aristagora si recò a Sardi e disse ad Artafrene che Nasso era un'isola non grande, quanto a estensione, però bella e fertile, e vicina alla Ionia, piena di ricchezze e di schiavi. "Tu dunque muovi guerra a questo paese, rinsedia in Nasso gli esuli fuoriusciti. Se lo fai, ho pronto per te molto denaro oltre le somme necessarie per l'esercito (che giustamente tocca a noi, che vi guidiamo, di pagare); tu aggiungerai ai domìni del re varie isole, Nasso stessa e quelle dipendenti da Nasso, Paro e Andro e altre, le così chiamate Cicladi. Muovendo da quelle basi metterai facilmente le mani sull'Eubea, un'isola vasta e prospera, non inferiore a Cipro e sicuramente più facile a prendersi. Ti basteranno cento navi per conquistarle tutte". E Artafrene gli rispose così: "Tu ti fai per la casa reale promotore di imprese eccellenti e sei anche buon consigliere in tutto, tranne che per il numero delle navi. Invece di cento ne avrai pronte duecento all'inizio della primavera. Ma per questo occorre l'approvazione personale del re".

32) Ascoltata la risposta, Aristagora, tutto soddisfatto, se ne tornò a Mileto; Artafrene a sua volta, mandò a riferire a Susa le parole di Aristagora; ricevuta la approvazione personale di Dario, equipaggiò duecento triremi, allestì un contingente assai numeroso di Persiani e di vari altri alleati e vi pose a capo Megabate, un Persiano della famiglia Achemenide, cugino suo e di Dario. Con la figlia di Megabate, se è vero ciò che si racconta, si fidanzò, in tempi posteriori, lo spartano Pausania, figlio di Cleombroto, bramoso di diventare tiranno della Grecia. Affidato il comando a Megabate, Artafrene spedì l'esercito a raggiungere Aristagora.

33) Megabate prese con sé da Mileto Aristagora, il contingente della Ionia e i Nassi e navigò apparentemente in direzione dell'Ellesponto; quando giunse a Chio andò a fermare le navi a Caucasa, intenzionato a passare da lì a Nasso approfittando del vento di nord. Ma poiché evidentemente non era destino che i Nassi perissero per opera di questa spedizione, capitò il seguente fatto. Megabate faceva il giro dei corpi di guardia delle navi e per combinazione sulla nave di Mindo nessuno era di sentinella. Megabate considerò grave la cosa e ordinò alle sue guardie di scovargli il comandante di quella unità, che si chiamava Scilace, e di legarlo attraverso a un foro del più basso ordine di remi nella nave, infilandolo con il corpo dentro e la testa fuori. Mentre Scilace era così imprigionato, qualcuno andò a informare Aristagora che Megabate aveva ignominiosamente fatto legare il suo ospite di Mindo; allora Aristagora si presentò dal Persiano a intercedere, ma, non ottenendo nulla di ciò che chiedeva, andò lui stesso a liberare Scilace. Messo al corrente, Megabate se la prese molto a male e andò su tutte le furie con Aristagora, il quale gli rispose: "Tu cosa c'entri in questo affare? Artafrene non ti ha inviato perché tu mi obbedissi e navigassi ai miei ordini? Perché ti immischi in tutto?". Così disse Aristagora. E l'altro, irritato da queste parole, come scese la notte, mandò a Nasso degli uomini su un battello per avvertire i Nassi della situazione.

34) In effetti, i Nassi non si aspettavano per nulla che questa flotta dovesse muovere contro di loro. Quando ne furono avvisati, subito trasferirono dentro le mura quanto avevano nei campi, fecero provviste di cibo e di bevande per sostenere un assedio e rinforzarono le mura. Costoro dunque si preparavano per una guerra imminente, gli altri, una volta trasferita la flotta da Chio a Nasso, assalirono gente ormai arroccata nelle sue difese e la assediarono per quattro mesi. Quando i Persiani ebbero esaurito le scorte con cui erano venuti e molto ebbe sborsato Aristagora in aggiunta di tasca sua, mentre l'assedio necessitava di ulteriore denaro, edificarono una fortezza per gli esuli di Nasso e si ritirarono in brutte condizioni sul continente.

35) Aristagora non era in grado di mantenere la promessa fatta ad Artafrene; intanto gli pesavano le spese militari che gli si chiedevano, poi lo spaventavano il cattivo stato dell'esercito e l'aver litigato con Megabate: pensava che gli avrebbero tolto il governo di Mileto. In apprensione per ciascuna di queste ragioni, meditava una ribellione; e proprio in quel momento per combinazione arrivò da Susa, da parte di Istieo, il messaggero con segni tatuati sul capo che avvertivano Aristagora di ribellarsi al re. Infatti Istieo, volendo comunicare ad Aristagora l'ordine di insorgere, non aveva sistema sufficientemente sicuro per avvisarlo, dato che le strade erano tutte sotto controllo; allora, rasato il capo al più fidato dei suoi servi, vi tatuò dei segni, attese che ricrescessero i capelli e appena furono ricresciuti lo mandò a Mileto con il solo incarico, una volta giuntovi, di invitare Aristagora a radergli i capelli e a dargli una occhiata sulla testa. Il tatuaggio ordinava, come ho già detto, la ribellione. Istieo agiva così perché gravemente tormentato dalla propria segregazione a Susa; se fosse scoppiata una rivolta aveva certo buone speranze di essere rispedito verso il mare, pensava invece che se a Mileto non succedeva nulla non vi sarebbe tornato mai più.

36) Istieo, dunque, agitato da questi pensieri, mandava il messaggero; ad Aristagora accadde che tutti questi eventi coincidessero. Si consigliava dunque con quelli della sua fazione rivelando la propria idea e il messaggio ricevuto da parte di Istieo. Tutti gli altri si trovarono d'accordo con lui e lo esortarono a ribellarsi; invece lo scrittore Ecateo in un primo momento sconsigliava di far guerra al re dei Persiani, specificando tutti i popoli su cui Dario comandava e l'entità della sua forza; ma visto che non riusciva a persuaderli, in un secondo momento propose loro di impegnarsi per diventare padroni del mare. E disse, continuando, che non lo vedeva raggiunto questo obiettivo in altro modo (già si sapeva che militarmente Mileto era debole): ma se avessero prelevato le ricchezze consacrate nel santuario dei Branchidi da Creso di Lidia, nutriva buone speranze che avrebbero conseguito il dominio del mare. E così loro avrebbero potuto usufruire di quel denaro e i nemici non avrebbero potuto rapinarlo. Si trattava di ricchezze ingenti, come ho chiarito già nel mio primo libro. L'idea di Ecateo non si impose; si decise comunque di ribellarsi e che uno di loro si recasse a Miunte presso l'esercito di stanza là dopo la ritirata da Nasso, e cercasse di catturare gli strateghi imbarcati sulle navi.

37) A tale scopo fu inviato Ietragora, il quale con l'inganno fece prigionieri Oliato, figlio di Ibanoli, da Milasa, Istieo, figlio di Timni, da Termera, Coe, figlio di Erxandro, quello a cui Dario aveva donato Mitilene, Aristagora, figlio di Eraclide, da Cuma e parecchi altri. In tal modo Aristagora si era ribellato ormai apertamente e macchinava ogni sorta di piani contro Dario. Per prima cosa rinunciò, a parole, alla tirannide e creò a Mileto l'uguaglianza dei diritti, affinché i Milesi si ribellassero volentieri assieme a lui, poi procedette in modo identico nel resto della Ionia, scacciandone dei tiranni; altri, e cioè quelli che aveva catturati sulle navi della spedizione comune contro Nasso, li consegnò alle città per fare a esse cosa gradita, precisamente li rimandò ciascuno nella città di provenienza.

38) I Mitilenesi come ebbero in mano Coe, lo trascinarono fuori delle mura e lo lapidarono. Invece i Cumani lasciarono libero il loro tiranno, e così si comportarono quasi tutti gli altri. Insomma per un certo periodo furono deposti i tiranni nelle città. Poi Aristagora di Mileto, dopo averne esautorato molti e invitato ogni città a mettere al loro posto degli strateghi, prese una seconda iniziativa: con una trireme si recò lui stesso come messaggero a Sparta. In effetti aveva bisogno di procurarsi una forte alleanza.

39) A Sparta non c'era più a regnare Anassandride figlio di Leonte, che era morto; Cleomene, figlio di Anassandride, ne aveva preso il posto, non per merito bensì per diritto ereditario: Anassandride non aveva avuto figli dalla donna che aveva sposato e che gli era molto cara, una figlia di sua sorella. Stando così le cose, gli efori lo convocarono e gli dissero: "Se tu non ti curi di te stesso, non possiamo però non preoccuparci noi, se la stirpe di Euristene si spegne. La moglie che hai ora non ti dà figli: e allora ripudiala e sposane un'altra, e così farai cosa gradita agli Spartiati". Lui rispose che non ci pensava neppure e che loro non gli davano un bel consiglio esortandolo a scacciare la moglie che aveva e che era priva di colpe nei suoi confronti, per prendersene un'altra.

40) Di fronte a tali parole gli efori e i geronti si consultarono fra di loro e poi avanzarono un'altra proposta ad Anassandride: "Poiché dunque ti vediamo tanto attaccato alla moglie che hai, ecco cosa devi fare, e senza obiezioni, se non vuoi che gli Spartiati decidano ben diversamente sul tuo conto. Non pretendiamo più che tu ripudi tua moglie, continua a offrirle tutto ciò che le offri adesso, però sposati anche un'altra, che ti faccia dei figli". Anassandride accolse il loro suggerimento e in seguito visse con due mogli in due distinte case, secondo un costume niente affatto spartiata.

41) Non molto dopo, la seconda moglie gli generò il Cleomene in questione. E mentre costei dava alla luce il successore al trono per gli Spartiati, anche la prima moglie, sterile fino a quel momento, chissà come rimase incinta, favorita dalla fortuna. Lei era incinta davvero, ma i parenti della seconda moglie, saputolo, davano noia, affermando che si vantava a vanvera per far passare per suoi dei figli altrui. E poiché ne facevano di tutti i colori e il tempo ormai stringeva, sospettosi com'erano gli efori sorvegliarono la donna mentre partoriva stando seduti intorno a lei. Lei diede alla luce Dorieo e poi immediatamente rimase incinta di Leonida e dopo di lui, subito, di Cleombroto; si dice pure che Leonida e Cleombroto fossero gemelli. Invece la madre di Cleomene, la seconda moglie, la figlia di Prinetade figlio di Demarmeno, non riusciva più a procreare.

42) Cleomene, si dice, non era sano di mente, anzi quasi sulla soglia della pazzia, Dorieo invece primeggiava fra tutti i coetanei ed era perfettamente convinto che per virtù personali il regno sarebbe stato suo. Ne era così sicuro che, quando Anassandride morì e gli Spartani, in base alla legge, proclamarono re il più anziano Cleomene, Dorieo, assai contrariato e sdegnando di farsi comandare da Cleomene, chiese agli Spartiati degli uomini e li guidò a fondare una colonia, senza aver interpellato l'oracolo di Delfi per sapere in quale parte del mondo andare a fondarla, senza aver compiuto alcuno dei riti tradizionali. Incapace di sopportare oltre la situazione, diresse le sue navi verso la Libia; lo guidarono gli uomini di Tera. Giunto al Cinipe colonizzò una bellissima porzione della Libia sulle rive di un fiume. Due anni dopo fu scacciato di là dai Macei, dai Libici e dai Cartaginesi e se ne tornò nel Peloponneso.

43) Qui Anticare, nativo di Eleone, gli consigliò, sulla base dei vaticinii di Laio, di fondare in Sicilia una Eraclea, affermando che l'intera regione di Erice apparteneva agli Eraclidi, dato che Eracle stesso se ne era appropriato. Udito ciò Dorieo andò a Delfi a chiedere all'oracolo se avrebbe conquistato la terra verso cui stava per partire: e la Pizia gli rispose di sì. Dorieo prese con sé la gente che aveva già guidato in Libia e si trasferì sulle coste dell'Italia.

44) In quel tempo, come raccontano essi stessi, gli abitanti di Sibari con il loro re Teli si apprestavano a muovere in guerra contro Crotone; e i Crotoniati, allora, atterriti, chiesero a Dorieo di aiutarli, ottenendo quanto chiedevano. Dorieo si unì a loro in una spedizione contro Sibari e la conquistò. Questo secondo i Sibariti avrebbero fatto Dorieo e i suoi; ma i Crotoniati affermano che nessuno straniero li aiutò nella guerra contro i Sibariti, tranne il solo Callia, della stirpe di Iamo, indovino dell'Elide, e costui nel modo seguente: era giunto presso di loro fuggendo il tiranno di Sibari Teli perché i riti sacrificali da lui compiuti per la guerra contro Crotone non erano risultati di buon auspicio. Questa è la loro versione.

45) Entrambe le città adducono delle prove per le rispettive versioni: i Sibariti un sacro recinto e un tempio che sorge presso il letto disseccato del Crati, che Dorieo, raccontano, una volta presa la città, avrebbe eretto per Atena Cratia; ritengono poi testimonianza decisiva la fine dello stesso Dorieo, morto per essere andato oltre il responso. Perché, se non avesse fatto nulla di più, limitandosi a realizzare l'impresa per cui era partito, avrebbe conquistato e si sarebbe tenuto il territorio di Erice e né lui né il suo esercito sarebbero periti. Da parte loro i Crotoniati esibiscono a documentazione i molti bei campi donati a Callia dell'Elide nel territorio di Crotone, che ancora ai tempi della mia visita appartenevano ai discendenti di Callia, mentre nulla fu dato a Dorieo e ai suoi discendenti; certamente, se Dorieo li avesse aiutati nella guerra contro Sibari, avrebbero elargito molti più doni a lui che a Callia. Ecco quanto entrambi portano rispettivamente a titolo di prova. E ciascuno aderisca alla versione, fra le due, che più lo convinca.

46) Insieme con Dorieo viaggiarono anche altri coloni spartiati: Tessalo, Parebate, Celees ed Eurileonte, i quali, arrivati in Sicilia con tutta la spedizione, morirono vinti in battaglia dai Fenici e dai Segestani. Fra i coloni il solo Eurileonte sopravvisse alla disfatta. Raccolti i superstiti della spedizione, occupò Minoa, colonia di Selinunte, e contribuì a liberare i cittadini di Selinunte dalla tirannia di Pitagora. Poi, come ebbe rovesciato Pitagora, prese lui a esercitare un potere tirannico in Selinunte e per un breve periodo spadroneggiò da solo; poi i cittadini di Selinunte si ribellarono e lo uccisero, benché avesse cercato rifugio presso l'altare di Zeus Agoreo.

47) Seguì Dorieo e ne condivise la sorte Filippo figlio di Butacide, uomo di Crotone, il quale era scappato da Crotone dopo essersi legato formalmente con la figlia di Teli di Sibari, ma poi, ingannato riguardo le nozze, si era imbarcato per Cirene; da Cirene era partito per seguire Dorieo con una trireme propria e un equipaggio a sue spese; era uno che aveva vinto alle Olimpiadi e primeggiava per bellezza fra i Greci del suo tempo. Proprio per la sua bellezza ottenne dai Segestani cose che nessun altro ottenne: essi edificarono un sacrario sulla sua tomba e se ne garantiscono il favore offrendogli dei sacrifici.

48) Tale fu la fine di Dorieo; ma se avesse tollerato la sovranità di Cleomene e fosse rimasto a Sparta, di Sparta sarebbe diventato re, perché Cleomene non regnò a lungo, ma morì senza figli, lasciando solo una figlia, di nome Gorgo.

49) Insomma il tiranno di Mileto Aristagora giunse a Sparta quando il potere era nelle mani di Cleomene; con lui venne a parlare, come raccontano gli Spartani, con una tavoletta di bronzo su cui era incisa la mappa del mondo intero, con tutti i mari e i singoli fiumi. Aristagora, venuto a colloquio con lui, gli disse: "Cleomene, non meravigliarti della mia fretta nel venire qui; la situazione è questa: che i figli degli Ioni siano schiavi invece che liberi è ragione di vergogna e di grande dolore sia per noi stessi, sia, fra gli altri, soprattutto per voi, poiché siete a capo della Grecia. Ora, perciò, in nome degli dèi greci salvate gli Ioni dalla schiavitù; sono uomini del vostro sangue ed è un'impresa, per voi, di facile riuscita, perché i barbari non sono forti, mentre voi, in fatto di guerra, siete ai massimi livelli di valore. Loro combattono così: archi e corte lance e vanno in battaglia con brache di cuoio e turbanti sulla testa. È dunque facile sopraffarli. Però gli abitanti di quel continente hanno a disposizione risorse quante il resto del mondo non possiede, a cominciare dall'oro, e argento, rame, stoffe variopinte e bestie da soma e schiavi. Tutte cose che possono essere vostre se lo volete sul serio. Vivono stanziati nell'ordine che vi dirò, uno di seguito all'altro: accanto agli Ioni ci sono i Lidi, che abitano una fertile regione e sono ricchi di denaro". Parlava così segnalando col dito i punti nella mappa della terra che portava con sé incisa sulla tavola. "Dopo i Lidi", continuò a dire Aristagora, "ecco i Frigi, verso oriente, i più ricchi di bestiame e di raccolti che io conosca al mondo. Contigui ai Frigi i Cappadoci, che noi chiamiamo Siri e ai loro confini i Cilici che si estendono fino al mare in cui, vedete, giace l'isola di Cipro; i Cilici versano al re un tributo annuo di cinquecento talenti. Oltre i Cilici ecco gli Armeni: anch'essi possiedono molto bestiame, e dopo gli Armeni, qui, vivono i Matieni. Di seguito c'è il paese dei Cissi, nel quale, sul corso del fiume Coaspe, sorge Susa, eccola, dove il grande re ha la sua residenza; lì si trovano le camere del tesoro. Una volta conquistata questa città contenderete tranquillamente a Zeus il primato della ricchezza. Ebbene, oggi per una regione non certo vasta né così fornita di risorse e dai confini ristretti vi sentite in dovere di ingaggiare battaglie contro i Messeni, che vi tengono testa e contro gli Arcadi e gli Argivi: ed essi non possiedono nulla che si avvicini all'oro e all'argento, beni tanto desiderabili da indurre anche qualcuno a cadere in battaglia; e quando vi si offre l'occasione di dominare facilmente l'Asia intera, deciderete diversamente?". Questo fu il discorso di Aristagora; Cleomene gli rispose così: "Straniero di Mileto, rimando la risposta di due giorni".

50) Per quel momento non andarono oltre; quando poi venne il giorno fissato per la risposta e si presentarono nel luogo precedentemente stabilito, Cleomene chiese ad Aristagora quanti giorni di viaggio occorressero per raggiungere il re partendo dal mare degli Ioni. E Aristagora, che in tutto era abilissimo e in grado di abbindolarlo, in quel caso sbagliò malamente; non avrebbe dovuto dire la verità, se voleva davvero portare in Asia gli Spartiati, e invece precisò che il viaggio verso l'interno richiedeva tre mesi. E Cleomene, troncandogli in bocca il discorso che Aristagora si apprestava a fare circa l'itinerario, esclamò: "Straniero di Mileto, vattene via da Sparta prima del tramonto: non è un discorso accettabile per gli Spartani quello che fai, se intendi portarli lontano dal mare per tre mesi di cammino!".

51) Cleomene, detto ciò, se ne andò a casa. Aristagora, preso un ramo d'olivo, si recò alla dimora di Cleomene, vi entrò in qualità di supplice ed esortò Cleomene a mandare via la sua creatura e a starlo ad ascoltare; accanto a Cleomene c'era infatti la sua unica figlia, di nome Gorgo, che poteva avere all'epoca otto o nove anni. Cleomene lo invitò a dire quello che voleva senza trattenersi per via della bambina. Allora Aristagora cominciò a promettergli dieci talenti, se avesse fatto quanto gli chiedeva. Cleomene scosse la testa e Aristagora proseguì sempre aumentando la cifra fino a offrire cinquanta talenti; al che la bambina esclamò: "Padre, lo straniero ti corromperà, se non te ne vai di qui". Allora Cleomene, orgoglioso dell'ammonimento filiale, si ritirò in un'altra stanza. Aristagora si allontanò definitivamente da Sparta e non ebbe occasione di descrivere ulteriormente la strada che conduce al re persiano.

52) Ecco come si presenta questo itinerario. Vi sono ovunque stazioni reali ed eccellenti ostelli; la strada attraversa sempre regioni abitate e sicure. Da un capo all'altro della Lidia e della Frigia ci sono venti stazioni per un totale di 94 parasanghe e mezza. All'uscita della Frigia c'è il fiume Alis: lo sormontano porte che è inevitabile varcare per trovarsi, in tal modo, oltre il fiume; sull'Alis c'è un grande posto di guardia. Chi attraversa la Cappadocia e guada il fiume in questo punto trova ventotto stazioni per 104 parasanghe fino ai confini della Cilicia; alle frontiere occorre superare due porte e due fortilizi. Dopodiché si procede in Cilicia lungo tre stazioni per 15 parasanghe e mezza. La linea di confine tra la Cilicia e l'Armenia è costituita da un fiume che si chiama Eufrate, valicabile con traghetto; in Armenia si contano quindici stazioni di sosta, 56 parasanghe e mezza con un presidio militare. In Armenia scorrono quattro fiumi navigabili che è assolutamente inevitabile attraversare: il primo è il Tigri, poi, secondo e terzo, i cosiddetti Zabato, che non sono in realtà lo stesso fiume né hanno la stessa origine: l'uno, infatti, scende dal paese degli Armeni, l'altro dal paese dei Matieni. Il quarto fiume si chiama Gindo ed è quello che un tempo Ciro disperse in 360 canali. Procedendo dall'Armenia alla terra dei Matieni ci sono trentaquattro stazioni e 137 parasanghe. Di qui ci si trasferisce nella regione Cissia e dopo undici stazioni e 42 parasanghe e mezza si è sul fiume Coaspe, pure questo traghettabile, su cui sorge la città di Susa. E così le stazioni in totale risultano centoundici. Tanti sono i luoghi di sosta per chi va da Sardi a Susa.

53) Se abbiamo misurato esattamente in parasanghe la strada e tenendo conto della equivalenza (una parasanga è pari a trenta stadi), da Sardi alla reggia detta Memnonia risultano esserci 13.500 stadi (450 parasanghe). Percorrendo 150 stadi al giorno occorrono precisamente novanta giorni.

54) Aveva dunque risposto correttamente Aristagora dicendo allo Spartano Cleomene che ci vogliono tre mesi di viaggio per raggiungere il re. Nel caso qualcuno cerchi particolari più esatti specificherò anche questo: bisogna aggiungere al totale la strada da Efeso a Sardi. E insomma dichiaro che dal mare dei Greci fino a Susa (detta appunto città di Memnone) gli stadi sono in tutto 14.040; perché Sardi dista da Efeso 540 stadi e così il viaggio di tre mesi si allunga di altri tre giorni.

55) Cacciato via da Sparta, Aristagora si recò ad Atene; Atene si era liberata dei tiranni come segue. Dopo che Aristogitone e Armodio, di antica stirpe gefirea, ebbero ucciso Ipparco, figlio di Pisistrato e fratello del tiranno Ippia, benché avesse visto in sogno una visione chiarissima (della sua disgrazia), gli Ateniesi per quattro anni si trovarono sotto un regime non meno tirannico di prima, anzi persino di più.

57) Ed ecco quale fu la visione notturna di Ipparco. Nella notte precedente le Panatenee Ipparco sognò un uomo di alta statura, bello, che gli stava accanto e gli rivolgeva queste parole enigmatiche:...”La dura sorte, Leone, sopporta con cuore paziente: Tutti gli uomini ingiusti dovranno pagare la pena”....( Resisti, leone, sopporta con cuore tenace l'insopportabile; non c'è uomo, se commette ingiustizia, che non sconterà la sua pena). Non appena si fece giorno Ipparco sottopose apertamente la visione agli interpreti dei sogni; ma poi, trascurando l'avvertimento, condusse la processione durante la quale, appunto, morì.

57) I Gefirei, ai quali appartenevano gli uccisori di Ipparco, dichiarano di avere antica origine da Eretria; io personalmente ho scoperto con le mie indagini che erano Fenici, di quelli venuti con Cadmo nella terra oggi detta Beozia: e vi abitavano nella zona di Tanagra, da loro ottenuta in sorte. Di là, dopo che i Cadmei erano stati scacciati una prima volta dagli Argivi, scacciati una seconda volta dai Beoti, si diressero ad Atene. Gli Ateniesi li accettarono come concittadini a certe condizioni, imponendo l'esclusione da certi diritti, non molti per altro e che non vale la pena di riportare.

58) I Fenici venuti assieme a Cadmo, ai quali appartenevano i Gefirei, dopo essersi stabiliti in questa regione introdussero fra i Greci molte novità e in particolare l'alfabeto, che prima, secondo me, in Grecia non esisteva. Inizialmente ricorsero ai caratteri ancora oggi adoperati dai Fenici; più tardi, col passare del tempo, insieme con i suoni ne adattarono anche la forma. A quell'epoca intorno a loro abitavano per lo più Greci della stirpe ionica; costoro accolsero e impararono dai Fenici la scrittura, e se ne servirono con qualche modifica alle lettere; usandole le chiamavano fenicie, come era giusto, visto che a inventarle erano stati i Fenici. Anche i volumi di papiro da un pezzo gli Ioni li chiamano pelli, perché una volta per penuria di papiro, utilizzavano pelli di capra e di pecora; ancora oggi, ai tempi miei, molte popolazioni barbare scrivono su simili membrane.

59) Io stesso ho visto caratteri cadmei nel tempio di Apollo Ismenio a Tebe in Beozia, incisi su tre tripodi e uguali, in gran parte, ai caratteri ionici. L'iscrizione su uno dei tripodi dice:...”Anfitrione mi offrì, di ritorno dai Teleboi”... (Mi consacrò Anfitrione di ritorno dai Teleboi). Risalirebbe ai tempi di Laio figlio di Labdaco e nipote di Polidoro, a sua volta figlio di Cadmo.

60) Il secondo tripode dice in versi esametri:,,,”Vinse fra i pugili Sceo; e me, splendido dono votivo, Volle a te, Apollo che lungi con l’arco colpisci, sacrare”.... (Sceo mi vinse nella gara del pugilato e mi consacrò a te, Apollo arciere, che colpisci da lungi, quale splendido dono). Sceo sarebbe il figlio di Ippoconte, della generazione di Edipo figlio di Laio, ammesso che sia proprio lui il consacratore e non un altro con lo stesso nome del figlio di Ippoconte.

61) Il terzo tripode dice, sempre in esametri:,,,”Laodamante a te, Apollo che sempre colpisci nel segno, mentre era re, questo tripode splendido offriva, lui stesso”...                 (Laodamante stesso, regnando, consacrò un tripode a te, Apollo, arciere infallibile, quale splendido dono). Proprio sotto il regno di Laodamante figlio di Eteocle i Cadmei furono scacciati dagli Argivi e si portarono presso gli Enchelei, invece i Gefirei, lasciati lì, si trasferirono ad Atene più tardi, costretti dai Beoti. Ad Atene essi edificarono santuari nessuno dei quali è in comune con gli Ateniesi; in particolare, fra quelli nettamente separati, spicca il santuario di Demetra Achea con i suoi culti misterici.

62) Ho raccontato dunque la visione avuta in sogno da Ipparco e l'origine dei Gefirei, ai quali appartenevano gli uccisori di Ipparco; detto ciò, bisogna ancora riprendere il racconto lasciato in sospeso al suo inizio su come gli Ateniesi si liberarono dei tiranni. Mentre Ippia comandava gli Ateniesi con ira, per via della morte di Ipparco, gli Alcmeonidi, ateniesi di stirpe ed esuli a causa dei Pisistratidi, visto che a loro e agli altri fuorusciti ateniesi la soluzione di forza non dava risultati, anzi nel tentativo di rientrare e di liberare la città avevano subito una grave batosta dopo aver munito di mura Leipsidio a nord del demo di Peonia, gli Alcmeonidi, dunque, che macchinavano ogni piano possibile contro i Pisistratidi, presero in appalto dagli Anfizioni la ricostruzione totale del tempio di Delfi, ossia dell'edificio che c'è oggi ma che allora non esisteva ancora. Siccome erano ben forniti di denaro e uomini di notevole prestigio fin dalle origini, portarono a termine il tempio facendolo ancora più bello del progetto; fra l'altro, mentre si era stabilito di edificarlo in pietra di tufo, eressero la facciata in marmo di Paro.

63) Raccontano insomma gli Ateniesi che questi uomini, stabilitisi a Delfi, col loro denaro persuasero la Pizia a invitare gli Spartiati, tutte le volte che venivano per consultare l'oracolo, o a titolo privato, o per conto dello stato, a liberare Atene. Gli Spartani, visto che risultava sempre lo stesso responso, inviarono con un esercito Anchimolio figlio di Astro, un cittadino assai stimato, a scacciare da Atene i Pisistratidi; decisero ciò, benché fossero a essi legati da stretti vincoli di ospitalità, perché ritenevano più importanti i dettami divini di quelli umani. Mandarono per mare queste truppe. Anchimolio attraccò al Falero e le fece sbarcare; i Pisistratidi, preavvertiti, chiesero rinforzi ai Tessali con i quali avevano stipulato un trattato di alleanza militare. I Tessali, alla loro richiesta, spedirono con decisione comune mille cavalieri e il loro re Cinea, un uomo Condeo. Quando li ebbero al loro fianco, i Pisistratidi misero in opera il seguente piano: disboscarono la piana del Falero, rendendo il terreno adatto ai cavalli, poi lanciarono contro l'esercito accampato la cavalleria, che piombò sugli Spartani e ne uccise parecchi, e fra gli altri Anchimolio, costringendo i superstiti ad asserragliarsi sulle navi. Così andò a finire la prima spedizione spartana; la tomba di Anchimolio si trova in Attica, ad Alopece, accanto al tempio di Eracle in Cinosarge.

64) In seguito gli Spartani allestirono e inviarono contro Atene una spedizione più consistente, a comandare la quale designarono il re Cleomene figlio di Anassandride, ma non si mossero più per mare bensì per via di terra. Quando irruppero nella regione dell'Attica, con loro si scontrò per prima la cavalleria tessala, che in breve tempo fu volta in fuga; più di quaranta cavalieri caddero morti, i superstiti ripiegarono, come potevano, direttamente verso la Tessaglia. Cleomene entrò in città e, assieme agli Ateniesi che volevano essere liberi, assediò i tiranni asserragliati entro la cinta del Pelargico.

65) E gli Spartani non avrebbero potuto davvero stanarli i Pisistratidi (non pensavano di porre un assedio e i Pisistratidi erano ben provvisti di cibo e bevande) e dopo qualche giorno di blocco si sarebbero ritirati a Sparta; ma si verificò un caso, sfavorevole certo agli uni ma ben fortunato, un vero alleato, per gli altri: i figli dei Pisistratidi furono catturati mentre si cercava di farli uscire di nascosto dalla regione. Quando questo accadde, la situazione dei Pisistratidi si capovolse; in cambio dei figli si arresero alle condizioni volute dagli Ateniesi, di uscirsene dall'Attica entro cinque giorni. Poi se ne andarono al Sigeo sul fiume Scamandro, dopo 36 anni di dominio su Atene; per antica origine erano essi di Pilo e discendenti di Neleo, con la stessa ascendenza, cioè, delle famiglie di Codro e di Melanto, i quali un tempo, benché fossero stranieri, erano diventati re di Atene. In ricordo di tali antenati Ippocrate aveva dato a suo figlio il nome di Pisistrato, ricavandolo dal Pisistrato figlio di Nestore. Così dunque gli Ateniesi deposero i tiranni; le cose degne di menzione che fecero o subirono una volta liberi, prima che la Ionia si ribellasse a Dario e che Aristagora di Mileto venisse ad Atene per chiedere il loro aiuto, le esporrò ora anzitutto.

66) Atene, che anche prima era una grande città, una volta sbarazzatasi dei tiranni, divenne ancora più grande. Vi primeggiavano due uomini: Clistene, della famiglia degli Alcmeonidi, di cui si racconta che avesse corrotto la Pizia, e Isagora, figlio di Tisandro, di famiglia ragguardevole, anche se non sono in grado di precisarne gli antenati (i membri della sua stirpe sacrificano a Zeus Cario). I due lottarono per il potere; Clistene, che aveva la peggio, si accattivò il favore popolare. Più tardi Clistene divise gli Ateniesi in dieci tribù, mentre prima erano quattro, eliminando i vecchi nomi, derivati dai figli di Ione, ossia Geleonte, Egicoreo, Argade e Oplete, e trovando altri eroi locali da cui trarne di nuovi; unica eccezione Aiace, che aggiunse, benché fosse straniero, in quanto vicino e alleato.

67) Con ciò mi sembra che Clistene abbia imitato il suo nonno materno Clistene, tiranno di Sicione. Quando era in guerra contro gli Argivi, questo Clistene soppresse a Sicione le competizioni tra i rapsodi per i poemi omerici, per il fatto che Argivi e Argo vi sono troppo elogiati; inoltre, poiché proprio nella piazza centrale di Sicione sorgeva, e sorge ancora, un eroon dedicato ad Adrasto figlio di Talao, a Clistene venne voglia di espellerlo dal paese, perché Adrasto era Argivo: si recò a Delfi e chiese all'oracolo se poteva estromettere Adrasto; e la Pizia gli rispose sentenziando che Adrasto era re dei Sicioni, lui invece il loro lapidatore. Poiché il dio non lo autorizzava, tornato a casa, meditava un sistema grazie al quale Adrasto se ne andasse da sé. Quando credette di averlo trovato, inviò a Tebe di Beozia un messaggio: voleva trasferire a Sicione la salma di Melanippo figlio di Astaco; e i Tebani acconsentirono. Clistene portò in patria i resti di Melanippo, gli assegnò un recinto sacro dentro al Pritaneo e lì lo collocò, nel punto più difeso. Clistene traslò Melanippo (certo questo va spiegato) in quanto era nemico giurato di Adrasto: gli aveva ucciso il fratello Meciste e il genero Tideo. Una volta dedicatogli il recinto, distolse da Adrasto sacrifici e festeggiamenti e li concesse a Melanippo. I Sicioni erano soliti solennizzare Adrasto in maniera splendida: infatti il loro paese apparteneva a Polibo e Adrasto era nipote di Polibo (per parte della figlia), sicché Polibo, morendo senza figli, gli aveva lasciato il potere. Vari altri onori i Sicioni tributavano ad Adrasto, in particolare ne celebravano le sventure con cori tragici, venerando non più Dioniso ma Adrasto. Clistene restituì i cori a Dioniso, e il resto della cerimonia lo dedicò a Melanippo.

68) Così aveva agito nei confronti di Adrasto; alle tribù doriche cambiò i nomi perché non risultassero le stesse quelle dei Sicioni e quelle degli Argivi. E così facendo finì pure per gettare nel ridicolo i Sicioni: infatti prese i nomi dal maiale, dall'asino e dal porcello, vi aggiunse le desinenze e li impose a tutte le tribù tranne la propria, alla quale diede un nome echeggiante il suo primeggiare. Essi insomma furono detti Archelai, gli altri Iati, Oneati, Chereati. Di questi nomi i Sicioni si servirono durante il regno di Clistene e per sessanta anni ancora dopo la sua morte; poi, di comune accordo, li cambiarono in Illei, Panfili, Dimanati; per la quarta tribù, inoltre, ricavarono un nome da Egialo figlio di Adrasto e stabilirono che si chiamasse Egialea.                                                    

            

           

 

           

 

  

 

 

 

 

 

 

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