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I
Sumeri credevano che l'immortalità fosse qualcosa che
appartenesse solamente agli Dèi, e non riguardasse gli
uomini, come ben aveva sintetizzato un poeta…
"Soltanto gli Dèi vivono per sempre sotto il sole,
e in quanto agli uomini, il numero dei loro giorni è
fissato, i loro progressi sono solo vento"… Fu
sempre così, oppure l'uomo per un pur breve periodo ha
vissuto un'epoca d'oro con la caratteristica
dell'immortalità?
Nel
Giardino dell'Eden era presente l'Albero della vita e
questa era forse una forma condizionata d'immortalità.
Infatti i suoi frutti avevano il potere di concedere una
vita fisica imperitura, finchè il creatore la
concedeva, e mangiando il frutto Adamo ed Eva si
spogliarono dell'immortalità… "Ritorneranno ad
essere polvere"… come dice la Bibbia.
Varie
religioni attribuiscono questa punizione alla
disobbedienza, ma molto probabilmente questa fu dovuta
alla conoscenza della sessualità e la conservazione
dell'immortalità avrebbe comportato nell'uomo la
continua possibilità di peccare, precludendosi la
redenzione come presuppone il Cristianesimo, una vita
immortale dell'anima, ma non del corpo.
L’Albero
della Vita poteva avere una sua realtà fisica, come se
il suo frutto proibito avesse il potere di ritardare se
non sospendere il processo d'invecchiamento; attualmente
i nostri genetisti, dopo la completa decifrazione
(decodificazione) del nostro genoma, hanno trovato dei
geni responsabili dell'invecchiamento.
Questa
scoperta in un futuro potrebbe portare, mediante debite
manipolazioni, al prolungamento della vita (è stato
annunciato già nel 1995 che scienziati avevano trovato
il gene della longevità che, in alcuni vermi
microscopici, era in grado di prolungare la vita di un
buon 65% e vi sono inoltre studi sui telomeri e la
telomerasi), o magari ad un prolungamento grazie alla
vittoria su malattie, che come tutti conosciamo ne
riducono la durata.
Riprendendo
l'argomento, è certamente una cosa curiosa che gli Dèi,
in carne ed ossa sin dall'inizio della storia umana,
fossero visti come esseri immortali. Questa immortalità,
era forse dovuta ad una longevità che si protraeva
moltissimo e si estendeva in un arco di diverse
centinaia di migliaia di anni, e comunque anche gli Dèi
erano soggetti alla morte quando era violenta: ne è un
esempio l'episodio di Dumuzi, lo sposo di Inanna (Ishtar,
Astarte, Afrodite, Venere, e soprannominata IR.NI.NI,
"La dea del dolce profumo").
In
breve …Dumuzi era figlio di Enki, e poco dopo il
matrimonio fu sollecitato da Inanna a procurarsi un
erede con il sistema tradizionale della sorellastra
(cosa che ritroviamo anche tra i patriarchi Biblici...
vedi Sarah) che si chiamava Geshtinanna; quando
quest'ultima si rifiutò, Dumuzi, preso dalla rabbia, la
violentò, e questo comportamento era ritenuto
gravissimo anche per dei libertini quali erano gli Dèi.
Ra-Marduk, il fratello maggiore di Dumuzi, che non
vedeva di buon occhio quella unione con Inanna L'Enlilita,
ne ordinò l'arresto. Seguirono il dramma della cattura,
della fuga e la sfortunata morte di Dumuzi: il turbinare
delle acque non gli consentì di raggiungere l'altra
sponda del fiume, dove Inanna si sporgeva per offrirgli
aiuto.
Immortalità
quindi come componente della Deificazione, essere
Superiore anche tecnologicamente, con una vita eterna o
meglio senza una morte, davanti agli occhi di questi
uomini, loro Creature forse genetiche ed ibridate. Sin
dagli albori della civiltà, gli esseri umani con o
senza Dèi in carne ed ossa sono stati comunque
ossessionati dall'idea dell'immortalità, e hanno
cercato in ogni dove una terra "Dèi vivi", o
una "Fontana della Giovinezza"; tra gli esempi
non possiamo non annoverare il Re Gilgamesh o i viaggi
di Alessandro il Grande e, per quanto possa apparire
sorprendente ai nostri occhi, queste figure storiche
prendevano molto sul serio le loro ricerche
sull'immortalità.
Gli
antichi monarchi Sumeri e forse anche Alessandro Magno,
conoscevano le località esatte connesse con la presunta
immortalità degli Dèi, e L'Epopea di Gilgamesh come già
scritto precedentemente ne è un esempio.. che in questo
caso, va visto chiaramente sia come una ricerca
dell'immortalità da parte del Re Gilgamesh, sia in un
contesto dove gli Dèi erano gli Anunnaki provenienti
dal Pianeta Nibiru (Marduk), creatori genetici dell'uomo
grazie ad un'ibridazione tra il loro "seme" e
quello degli ominidi preesistenti, dove la nascita
proveniva dalle dee della vita, dove vi erano i Lulù o
lavoratori primitivi "dalla testa nera",
creati per sostituire gli Dèi Anunnaki nell'estrazione
dei minerali, in particolare l'oro delle Miniere dell'Abzu.
Una
visione chiaramente creazionista dove concorrono DÈI,
esseri grandi, immortali, alieni, o protoumani che fa
considerare l'eventualità di diverse ere cicliche di
civiltà e regresso, durante le quali l'uomo ha forse
raggiunto gradi di tecnologia avanzata tale da portarlo
alla conquista del cosmo, facendo sì che, scampando a
disastri e cataclismi terresti, nello scorrere del tempo
abbia ripopolato la nostra terra in una forma ibrida.
Il
Re Gilgamesh, con la sua "Epopea di Gilgamesh"
come viene oggi chiamato questo antico testo letterario,
ci porta indietro di circa 5000 anni. Costui, in quanto
discendente da parte di padre del grande dio Shamash,
era considerato "per due terzi dio e per un terzo
umano", in virtù anche del fatto che sua madre era
la dea NIN.SUN. Orgoglioso e sicuro di sé, Gilgamesh fu
all'inizio un re sostanzialmente giusto e coscienzioso,
impegnato a costruire bastioni difensivi per la città o
ad abbellire il recinto del tempio; di lui era scritto:
"Segrete cose egli ha visto; ciò che è nascosto
all'uomo,egli lo scoprì. Portò anche notizie del tempo
prima del Diluvio; compì il lungo viaggio con grande
fatica e tra mille difficoltà. Quindi ritornò, e sopra
una colonna di pietra scolpì la sua fatica".
Più
approfondiva la conoscenza delle storie di Dèi e
uomini, più diventava filosofico e irrequieto. Nelle
occasioni di festa, il suo pensiero correva sempre più
spesso alla morte: avrebbe egli potuto, in virtù dei
suoi due terzi divini, vivere quanto i suoi antenati
semiDèi, pure per avrebbe prevalso il suo terzo umano?
Angustiato, si confidò così con Shamash (suo padre):
"Nella mia città gli uomini muoiono. L'uomo
perisce; oppure è il mio cuore ... L'uomo, anche il più
alto, non può arrivare al cielo; L'uomo, anche il più
grande, non può coprire la terra". Egli (che era
un gigante) si riteneva quindi degno dell'immortalità
come gli altri Dèi, ed in cuor suo rigettava l'idea del
destino che spettava agli umani, "La Morte".
Shamash
cercò di consolarlo, cercando di fargli accettare il
suo destino, invitandolo a godersi la vita finchè
poteva: “ Quando gli Dèi crearono il genere umano, ad
esso assegnarono la morte e la vita tennero per sé.
Pensa a riempirti la pancia, Gilgamesh; stai allegro
giorno e notte! Ogni giorno, fa' che sia una festa;
giorno e notte, danza e gioca! Indossa abiti freschi e
puliti, lavati il corpo e la testa con acqua pura. Bada
al piccolo che tiene la tua mano lascia che la tua sposa
delizi il tuo cuore; perché questo è il destino
dell'umanità".
Da
quel momento non ebbe più pace, nè di giorno nè di
notte e, per cercare di rimanere giovane e sfatare il
destino, prese a intrufolarsi nelle coppie appena
sposate, pretendendo di avere rapporti con la sposa
prima dello sposo (Jus primae noctis). Dopo un sogno dal
quale egli presagì un triste destino, sua madre la dea
NINSUN e gli Dèi, anche dietro le preghiere dei sudditi
di Uruk, fecero arrivare nella città un uomo selvaggio,
Enkidu che, grazie ad un espediente un po'
"Boccaccesco", mettesse a freno la
"Voglia di vivere" del buon Gilgamesh
(soprattutto con le donne degli altri) impegnandolo in
gare di lotta.
Lottando,
divennero amici per la pelle ed insieme, aiutati da
Shamash, intrapresero il viaggio verso la foresta dei
Cedri e la "montagna del Cedro", dove era
situata la base di partenza dei missili che gli Dèi
Anunnaki usavano per i loro viaggi verso altre basi o
verso il loro pianeta di origine o partenza. Gilgamesh
riteneva giustamente che lì avrebbe trovato il modo di
essere immortale come gli competeva. Si scontrò con la
loro tecnologia avanzatissima (robot), il mostro Huwawa
: "L'ho trovata, amico mio, tra le montagne mentre
vagavo con gli animali selvatici. Per molte leghe si
estende la foresta: io vi sono andato fin nel mezzo. (Là
sta) Huwawa; il suo ruggito è come un fiume, la sua
bocca è un fuoco, il suo respiro è morte... Il custode
della Foresta di Cedri, il Guerriero Ardente, è potente
e mai riposa... Di sorvegliare la Foresta di Cedri,
terrorizzando i mortali, il dio Enlil lo ha
incaricato..."
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Huwawa possedeva armi
che solo ora possiamo comprendere…” Abbiamo sentito dire
che Huwawa è costruito in maniera spaventosa; chi potrà
fronteggiare le sue armi? E’ una lotta impari Con Huwawa,
che è un motore d’assedio”... terrificante era il suo
“raggio radiante”, (laser) che proveniva dalla fronte e
distruggeva alberi e arbusti, ed a questa forza nessuno poteva
sfuggire. In questo sigillo (fig.1) si possono riconoscere
Gilgamesh ed Enkidu accanto ad un mostro meccanico (robot),
che secondo i testi poteva chiudersi in sette corazze. Huwawa
fu sconfitto grazie all’intervento di Shamash che con un
turbine di vento lo colpì agli occhi neutralizzando così i
suoi raggi mortali.
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Molteplici
peripezie lo portano infine ad attraversare il mare della
morte con il barcaiolo Urshanabi e, con l’aiuto di bastoni
spinsero avanti la barca ed in tre giorni, “si lasciarono
dietro la strada di un mese e mezzo” (il tempo, cioè, che
avrebbero impiegato viaggiando via terra).
Alla
fine arrivarono a TIL.MUN, la Terra dei Viventi. E adesso da
che parte doveva andare? Ai suoi dubbi Urshanabi rispose: devi
arrivare a una montagna, gli disse; il suo nome è Mashu.
Accortosi, a quanto sembra, che non gli avrebbero concesso uno
Shem(missile), Gilgamesh tentò un’altra strada: poteva
almeno incontrare il suo antenato Utnapishtim? Dopo sei giorni
arrivò al Monte: era davvero il luogo degli Shem: Il nome
della montagna e Mashu. Al monte di Mashu egli arrivò; dove
ogni giorno si vedevano gli Shem partire e arrivare.
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Per la sua funzione, il
monte doveva essere collegato sia ai cieli lontani sia agli
abissi della Terra: …” In alto la Banda Celeste è
collegato; in basso, al Mondo Inferiore è legato”… Vi era
una strada per entrare nella montagna; ma l’ingresso,
(fig.2) la “porta”, era sotto stretta sorveglianza”.
Uomini-razzo sorvegliano la porta. Emanano un terrore
spaventoso, il loro sguardo è morte. Il loro faro
terrificante spazza le Montagne Essi guardò Shamash quando
sale e scende.
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Egli descrisse le sue
origini in parte divine e spiegò che era venuto “In cerca
della Vita“; Voleva, disse, incontrare il suo antenato
Utnapishtim (Il Noè Biblico)… ” Per parlare con
Utnapishtim, mio antenato, sono venuto. Colui che si è unito
alla congrega degli Dèi. Della vita e della morte voglio
chiedergli. “Nessun mortale ha mai ottenuto questo”,
dissero le guardie. Senza farsi intimidire, Gilgamesh invocò
Shamash e spiegò che egli era per due terzi dio. Non si sa
cosa avvenne dopo, ma alla fine gli uomini razzo informarono
Gilgamesh che gli era stato accordato il permesso:” La porta
della montagna è aperta per te!” (La “Porta del cielo”
è un motivo iconografico alquanto frequente sui sigilli
cilindrici: essa era quasi sempre rappresentata come una porta
alata, a forma di scala, che conduce all’ Albero della Vita;
(fig.3)
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Il
suo viaggio durò dodici beru (ore doppie) ed alla fine uno
spettacolo straordinario si presentò ai suoi occhi. C’era
”un recinto che sembrava fatto apposta per gli Dèi”, dove
“cresceva” un giardino fatto tutto di pietre
preziose!.Pieno di meraviglia e di curiosità, Gilgamesh
camminava per il giardino: si trovava certamente in un finto
“Giardino dell’Eden”. Che fosse, comunque,in un giardino
artificiale, o da qualche altra parte, alla fine Gilgamesh
incontrò Utnapishtim. La sua prima reazione nel vedere
quest’uomo” dei tempi del passato” fu di osservare la
loro rassomiglianza: “Gilgamesh disse a
lui, a Utnapishtim “colui che sta lontano”: “Quando ti
guardo, Utnapishtim , (vedo) che non sei affatto diverso; è
quasi come se io fossi te… Dimmi come hai fatto a unirti al
gruppo degli Dèi nella tua ricerca della Vita?. A questo
punto Utnapishtim gli racconta la storia del diluvio, e come
Enlil da prima si infuriò poi capì i vantaggi che avrebbero
avuto dalla sopravvivenza del genere umano, e fu allora che
concesse a lui la vita eterna…
All’udire
il racconto, Gilgamesh capì che soltanto gli Dèi riuniti in
assemblea potevano decretare la vita eterna e che lui da solo
non avrebbe mai potuto ottenerla; la delusione fu così forte
che lo fece svenire. Per sei giorni e sette notti rimase privo
di conoscenza. Utnapishtim disse in tono sarcastico a sua
moglie: “eccolo qua l’eroe che cerca la vita eterna; si
dissolve nel sonno come vapore!”. Per tutto il tempo in cui
rimase addormentato, essi si occuparono di Gilgamesh, per
tenerlo in vita, “affinché egli potesse tornare sano e
salvo per la via dalla quale era arrivato, e ripassare dal
cancello attraverso il quale era entrato per ritornare alla
sua terra. Venne chiamato il nocchiero Urshanabi per riportare
indietro Gilgamesh. Ma all’ultimo momento, quando Gilgamesh
era pronto per partire, Utnapishtim gli svelò un altro
segreto.
Un
tentativo di dare una vita quasi eterna, una vita millenaria,
anche se non poteva evitare la morte, gli disse, che poteva
quantomeno rimandarla, procurandosi la pianta segreta che gli
stessi Dèi mangiano per restare giovani per sempre!...”
Utnapishtim disse a lui, a Gilgamesh: “Sei venuto fin qui,
tra fatiche e tormenti. Che cosa posso darti, prima che tu
torni alla tua terra? Ti svelerò o Gilgamesh, una cosa
nascosta: Un segreto degli Dèi ti dirò: c’è una pianta,
la cui radice è come un cespuglio spinoso. Le sue spine si
abbarbicheranno alle tue mani, ma se la tua mano riuscirà a
prendere la pianta, nuova vita troverai”… La pianta,
cresceva sott’acqua…” Non appena Gilgamesh ebbe sentito
queste cose, aprì il tubo dell’acqua. Si legò ai piedi
pietre pesanti Che lo portarono giù, nel profondo
dell’acqua, finalmente vide la pianta. La prese e se la
avvolse attorno alle mani. Quindi tolse le pietre pesanti dai
suoi piedi e tornò da dove era venuto”... Con tono
trionfante si rivolse quindi ad Urshanabi:..” Urshanabi,
questa pianta è unica tra tutte le piante: con essa un uomo
recupera tutto il suo vigore! La porterò alla città di Uruk,
la taglierò a la mangerò. Diamole il nome: “L’Uomo
diventa giovane nella vecchiaia!” Di questa pianta io mangerò,
e alla mia gioventù ritornerò.
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Un
sigillo cilindrico sumerico (fig.4), datato al 1700a.C. circa
e che illustra alcune scene del racconto epico, mostra (a
sinistra) un Gilgamesh seminudo e scarmigliato che combatte
contro i leoni; a destra, Gilgamesh mostra a Urshanabi la
pianta dell’eterna giovinezza. Un Dio al centro, tiene in
mano uno strano arnese o arma a forma di spirale.
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Il Fato, però, volle dire
la sua, come tutte le volte che, nel corso dei secoli e dei
millenni seguenti, qualcuno partì alla ricerca della pianta o
della fontana della giovinezza. Mentre Gilgamesh e Urshanabi
si preparavano per la notte, Gilgamesh vide una sorgente
d’acqua fresca e scese in essa per fare il bagno. Ed ecco la
catastrofe: “Un serpente (lo stesso serpente la cui presenza
è sempre indice della perdita dell’immortalità come nella
Bibbia) sentì l’odore della pianta, si avvicinò e la portò
via…” Gilgamesh si sedette e pianse, calde lacrime gli
scorrevano sulle guance. Prese la mano di Urshanabi, il
barcaiolo. “Per chi hanno lavorato le mie mani? Per chi ho
versato il sangue del mio cuore? Per me stesso, non ho
ottenuto alcun privilegio…” ln un altro sigillo cilindrico
(fig.5) è raffigurata la tragica fine della storia: con la
porta alata sullo sfondo, Urshanabi guida la barca mentre
Gilgamesh combatte con il serpente. Non avendo trovato
l’immortalità, egli è ora perseguitato dall’Angelo della
Morte. E fu così che, per generazioni a seguire, gli scribi
copiarono e tradussero, i poeti recitarono e cantastorie
raccontarono la vicenda di questa prima, inutile ricerca
dell’immortalità, l’Epopea di Gilgamesh.
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Interessante
la lotta con il serpente che assomiglia in modo eclatante e
che possiamo identificare in quello che conosciamo come
simbolo della vita… la doppia elica del DNA. Ecco come
finiva, secondo gli elenchi numerici ufficiali dei re: Il
divino Gilgamesh, figlio di un essere umano, alto sacerdote
del recinto del tempio, regnò 126 anni. Ur-lugal, figlio di
Gilgamesh, regnò dopo di lui.
Millenni
dopo di questo Re, ma sempre con la stessa determinata ricerca
dell’immortalità; Alessandro Magno, partì dall’Europa
per lanciare una campagna di conquiste che in tutto il mondo
antico fino all’India, fece scorrere fiumi di sangue.
All’inizio Alessandro cercò di aprirsi una via in Egitto
per avere la conferma dall’oracolo di un dio Egizio(Ammone),
della sua origine semidivina in quanto, una leggenda lo
considerava figlio di tale Dio. L’Oracolo però predisse
anche la sua prematura morte, e da quel momento tutte le
conquiste e qualsiasi viaggio era diretto alla ricerca delle
Acque della Vita. Malgrado però tutto quel sangue sparso,
Alessandro morì giovane trentatreenne nel fiore degli anni
(356-323a.C.).
Dopo
la conquista dell’Egitto, e la sua visita all’Oracolo,
Alessandro procedette verso sud, con un pugno di uomini, a sua
detta un viaggio d’amore e di piacere. Taluni biografi
descrissero, come una donna fatale, la donna che andava a
trovare , si trattava di Candace regina di una terra a sud
dell’Egitto(Nubia). Ma il vero interesse di Alessandro non
era l’amore , ma l’immortalità.
Questa
regina, dopo un piacevole soggiorno con il quale aveva
intrattenuto il suo ospite, gli rivelò il segreto della
mera-vigliosa caverna dove si riuniscono gli Dèi, ed
Alessandro trovò il posto sacro. …Insieme a dei soldati
entrò, ed una leggera nebbia luminescente lo circondò. Il
soffitto brillante era illuminato come da stelle, le forme
degli Dèi si vedevano chiaramente, insieme ad una folla di
servitori silenziosi. Dopo un moto di sorpresa e paura. Ma
fermamente poi osservò quello che sarebbe accaduto, poiché
vedeva alcune figure appoggiate con gli occhi scintillanti
come raggi di luce …Una voce lo fece trasalire e gli
chiese.. Salute Alessandro sai chi sono?, e Lui …No! mio
Signore e la voce continuò… sono Sesonchusis, il re
conquistatore del mondo, che si è unito alle file degli Dèi.
Alessandro entrò nella dimora del Creatore e Sorvegliante di
tutto l’universo, ed inseguito chiese a questo Dio, lumi sul
suo futuro, e sulla lunghezza della sua vita, ed il Dio gli fa
capire che la sua immortalità sarà attraverso una fama
eterna, non come lui che pur essendo immortale, nessuno
ricorda il su nome.
Con
delusione Alessandro si allontanò dalla grotta, ed in altre
versioni viene raccontato che egli incontrò Enoc, il
patriarca Biblico del periodo Antidiluviano, altra descrizione
di luoghi paradisiaci, l’ammonimento a non cercare di
scrutare i misteri divini(DIO), ed il dono di un grappolo di
uva che bastò miracolosamente a sfamare tutto il suo
esercito.
Ancora
un’altra versione parla dell’incontro tra Alessandro ed
addirittura due uomini del passato Enoc ed Elia il profeta,
due persone che secondo la tradizione Biblica non morirono
mai. Alessandro ed il suo cavallo durante l’attraversamento
di un deserto, venne afferrato da uno spirito che spingendoli
contro ogni forza , lo portò vicino ad un tabernacolo
completamente avvolto dalla luce. Al suo interno due uomini
con il volto di luce, denti bianchissimi, ed occhi
limpidissimi, e di alta statura, si presentarono a lui dicendo
di essere stati salvati da Dio alla morte, e che quella era la
Città del Magazzino della Vita, dalla quale provenivano le
Fulgide acque della vita, ma anche stavolta prima che
Alessandro potesse berne, un “Carro di Fuoco“ lo portò
via e si ritrovò insieme al suo esercito.
Sempre
il Fato da combattere e l’Uomo Re o il ritenuto Semidio a
soccombere. In maniera molto diversa, infatti non viene
ricercata la volontà degli Dèi, ma come mera conquista umana
dovuta a condizioni particolari ed ai doni della Natura, anche
Erodoto, parla in qualche modo della fontana della vita o
della longevità, ricalcando gli stessi luoghi che poi saranno
il palcoscenico della ricerca di Alessandro. Sono quelli degli
Etiopi Longevi (Etiopia- Nubia).
Tratto
dal III libro delle Storie…(Cambise)… 21) Gli Ittiofagi,
giunti presso gli Etiopi, consegnarono i doni al loro re
accompagnandoli con questo discorso: "Il re dei Persiani
Cambise desidera stringere con te legami di amicizia e di
ospitalità e ci ha inviati qui a prendere contatti con te:
egli ti manda questi doni, oggetti che anche lui adopera con
moltissimo piacere". Ma l'Etiope, comprendendo che quelli
erano venuti come spie, rispose loro: "No, il re persiano
non vi ha mandato a portarmi dei doni perché ci tenga a
diventare mio amico, e voi non dite la verità, siete qui per
spiare il mio dominio; e lui non è un uomo giusto: un giusto
non aspira a possedere un altro paese oltre il suo e non vuole
ridurre in schiavitù popolazioni da cui non ha mai ricevuto
alcun torto. Ora voi consegnategli questo arco e riferite le
mie parole: il re etiope consiglia al re persiano di venire a
combattere contro gli Etiopi Longevi, con forze preponderanti,
solo quando i Persiani saranno in grado di tendere archi di
queste dimensioni con la stessa nostra facilità; fino ad
allora ringrazi gli Dèi che non mettono in testa ai figli
degli Etiopi di occupare altra terra oltre quella che
possiedono". 22) Detto ciò allentò l'arco e lo porse
agli inviati persiani. Prese quindi il vestito di porpora e
volle sapere che cosa fosse e come lo avessero fabbricato. Gli
Ittiofagi gli spiegarono tutto sulla porpora e la tintura e il
sovrano osservò: "Falsi gli uomini, falsi i loro
vestiti". Poi s'informò sull'oro, cioè sulla collana e
sui braccialetti; gli Ittiofagi gli spiegarono il valore
ornamentale dell'oro, ma il re scoppiò a ridere e, scambiando
quegli oggetti per catene, precisò che presso di loro
esistevano legami molto più robusti. Poi li interrogò
sull'unguento e quando gli specificarono come venisse
preparato e adoperato per profumarsi, ripeté le osservazioni
fatte sul vestito di porpora. Quando fu la volta del vino, il
re domandò come fosse prodotto; gli piacque molto e chiese
allora di cosa si nutrisse il re e fino a che età campassero
al massimo i Persiani. Essi risposero che il re si cibava di
pane (e descrissero il frumento) e che il massimo previsto per
la vita di un Persiano erano gli ottanta anni. Al che l'Etiope
rispose che non si meravigliava affatto se essi vivevano così
poco, dato che si cibavano di letame; anzi non avrebbero
neppure vissuto quel poco, se non avessero potuto tenersi un
po' su con quella bevanda, e indicava agli Ittiofagi il vino;
il vino, disse, era l'unica cosa in cui gli Etiopi risultavano
inferiori ai Persiani. 23) A loro volta gli Ittiofagi gli
rivolsero alcune domande sulla durata della vita fra gli
Etiopi e sul loro regime alimentare, e il re rispose che la
maggior parte di loro raggiungeva l'età di 120 anni, ma
alcuni anche li superavano; i loro cibi erano le carni
lessate; le loro bevande il latte. Siccome gli inviati erano
molto stupiti di una tale longevità, il re li condusse a una
sorgente nella quale gli Etiopi si lavavano, uscendone più
lucenti, quasi fosse olio; e la sorgente emanava un profumo
come di viole. L'acqua, raccontarono poi gli osservatori, era
tanto leggera che nessuna sostanza riusciva a galleggiarvi, né
il legno né materiali ancora più leggeri del legno:
qualunque oggetto vi andava subito a fondo. Proprio grazie a
quest'acqua, ammesso che le cose stiano davvero come le si
racconta, gli Etiopi vivrebbero tanto a lungo, usandone per
ogni necessità. Allontanatisi dalla fontana, furono condotti
in un carcere dove tutti i prigionieri erano legati con catene
d'oro; in effetti per gli Etiopi il metallo più raro e quindi
il più pregiato è il rame. Visitato il carcere, visitarono
anche la cosiddetta mensa del sole.
L’oro
delle miniere dell’Abzu, l’oro scavato dai Lulu, l’oro
degli Dèi Anunnaki gli immortali dispensatori di vita. Epoche
differenti uomini differenti, ma il tema dell’immortalità è
stato e sarà sempre ricercato, perché nella sua duplicità
dell’essere l’uomo materiale e spirituale, aspirerà sempre
ad uno modello di Highlander, immortale nel suo corpo e nel suo
spirito, ma questo non si addice a chi è fatto di polvere.
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Bibliografia:
Z.
Sitchin - Le Astronavi del Sinai – Piemme - 1998
Erotodo
– Le Storie
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