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[<<] [I] [II] [III] [IV] [V] [VI] [VII] [VIII] [IX] [X] [XI] [XII] [>>] Tratto da "Le Astronavi del Sinai" traduzione di " The Stairway to heaven" di Zecharia Sitchin
"GILGAMESH IL RE CHE NON VOLEVA MORIRE" Il
primo caso di ricerca dell’immortalità di cui si abbia notizia ci è
raccontato da fonti sumeriche e riguarda un sovrano di molto, molto
tempo fa, che chiese al suo divini padre di lasciarlo entrare nella “
terra dei viventi”. Su questo strano sovrano, gli antichi scribi
lasciarono racconti epici, nei quali si diceva che Segrete
cose egli ha visto; ciò
che è nascosto all’uomo,egli lo scoprì. Porto
anche notizie Del
tempo prima del Diluvio; Compì
il lungo viaggio Con
grande fatica e tra mille difficoltà. Quindi
ritornò, e sopra una colonna di pietra Scolpì
la sua fatica. Di
quell’antico racconto sumerico restano oggi meno di due righe, eppure
noi lo conosciamo per intero grazie alle traduzioni che ne fecero i
popoli che vennero dopo i Sumeri nel Vicini Oriente: Assiri, Babilonesi,
Ittiti, Urriti. Tutti parlano e riparlano di questo racconto, e le
tavolette d’argilla, sulle quali tali versioni erano scritte- alcune
intatte, altre danneggiate, molte frammentate tanto da essere
praticamente illeggibili- hanno consentito agli studiosi di mettere
insieme piano piano i vari pezzi del mosaico fino ad arrivare a una
ricostruzione pressoché completa. Al centro della nostre conoscenze
sull’argomento vi sono dodici tavolette in lingua accadica, che
facevano parte della biblioteca di Assurbanipal a Ninive. Il primo ad
accorgersi di esse fu George Smith, il cui lavoro al British Museum di
Londra consisteva nell’estrarre e catalogare le decine di migliaia di
tavole e frammenti di tavole che arrivavano al Museo della Mesopotamia.
Un giorno gli cadde l’occhio su un testo alquanto frammentario che
sembrava raccontare la storia del Diluvio. Non vi erano dubbi: questi
testi in scrittura cuneiforme, provenienti dall’Assiria, narravano
proprio la storia di un re che andò a cercare l’eroe del Diluvio e si
sentì da lui un racconto in prima persona di ciò che era accaduto! Con
comprensibile entusiasmo i direttori del Museo mandarono G. Smith su
luogo degli scavi per cercare i frammenti mancanti. Smith, in effetti,
ebbe fortuna e ne trovò abbastanza da poter ricostruire il testo e
azzardare la sequenza delle tavolette. Nel 1876 egli dimostrò
definitivamente che si trattava, come recitava il titolo, del
Racconto Caldeo del Diluvio; dalla lingua e dallo stile concluse poi
che “ era stato composto a Babilonia verso il 2000 a.C.”.
Inizialmente G. Smith lesse il nome del re che era andato in cerca di Noè
come Izdubur e ipotizzò che si trattasse del re eroe biblico
Nimrod. Per un certo periodo, dunque, gli studiosi cedettero che il
racconto si riferisse effettivamente al primo potente re e parlavano del
testo in dodici tavole come dell’Epopea di Nimrod. Altri ritrovamenti
e ricerche ulteriori fecero però capire che il racconto aveva
un’origine sumerica e che il nome corretto del protagonista era
GIL.GA.MESH. Da altri testi storici- compresi gli elenchi reali sumerici- si ebbe la conferma che costui era sovrano di Uruk, la
biblica, Erech, intorno al 2900 a.C. l’Epopea di Gilgamesh, come
viene oggi chiamato questo antico testo letterario, ci porta dunque
indietro di circa 5000 anni. Occorre
conoscere la storia di Uruk, per cogliere fino in fondo la portata del
racconto. Confermando le parole della Bibbia, le testimonianze storiche sumeriche
riferirono anche che nel periodo successivo al Diluvio, la
sovranità – cioè le dinastie reali –cominciò davvero a Kish , e
che poi si trasferì a Uruk in seguito alle ambizioni di Irnini/Ishtar,
che non aveva alcuna intenzione di starsene nel suo territorio lontano
da Sumer. Uruk, inizialmente, era solo il luogo dove sorgeva un recinto
sacro,all’interno del quale stava un grande ziggurat chiamato E.AN.NA
(“casa di An”) sormontato da una dimora (tempio) in onore di An,
“Signore del Cielo” .Nelle rare occasioni in cui An visitava la
Terra,dimostrava sempre una certa preferenza per Irnini.A lei concesse
il titolo di IN.AN.NA (“ amata di An ) – i pettegoli insinuavano che
fosse amata in modo più che platonico- e la sistemò nell’Eanna, che
, quando lei non c’era,restava vuoto. Ma che cosa c’era di bello in
una città senza gente, un dominio senza nessuno da dominare? Non molto
lontano, verso sud,sulle coste del Golfo Persico, Ea viveva a Eridu in
semi-isolamento,prendendosi cura degli affari umani,dispensando
conoscenza e civiltà al genere umano. Elegante e profumata,Innana fece
visita a Ea, che era un suo prozio; questi ubriaco ed estasiato da
lei,le concesse ciò che essa voleva: fare di Uruk il nuovo centro della
civiltà sumerica, la sede della sovranità al posto di Kish.Per portare
a termine i suoi grandiosi
progetti,che in ultima analisi miravano a farla entrare nel circolo
ristretto dei dodici Grandi Dèi, Innana/ Ishtar si fece aiutare da suo
fratello Utu/Shamash. Mentre nei giorni prima del Diluvio i matrimoni
misti tra i Nefilim e le figlie dell’uomo suscitavano l’ira degli dèi,
dopo il Diluvio la pratica non venne più osteggiata. E così avvenne
che l’alto sacerdote del tempio di An fosse,a quel tempo, un figlio di
Shamash e di una donna mortale. Ishtar e Shamash lo consacrarono re di
Uruk,dando inizio alla prima dinastia di re-sacerdoti.Secondo gli
elenchi dei re sumerici,egli regnò per 324 anni, mentre suo figlio
,<<colui che costruì Uruk>>, regnò per 420 anni. Quando
salì al trono Gilgamesh, quinto sovrano della dinastia ,Uruk era già
un fiorente centro sumerico, più importante dei centri vicini e legato
da rapporti commerciali con regioni lontane. Discendente, da parte di
padre, del grande dio Shamash, Gilgamesh era considerato << per
due terzi dio e per un terzo umano >> ,in virtù anche del fatto
che sua madre era la dea NIN.SUN. Perciò gli venne accordato il
privilegio di far precedere al suo nome il prefisso “divino”.
Orgoglioso e sicuro di sé, Gilgamesh fu all’inizio un re
sostanzialmente e coscienzioso, impegnato a costruire bastioni difensivi
per la città o ad abbellire il recinto del tempio.Ma più approfondiva
la conoscenza delle storie di dei e uomini, più diventava filosofico e
irrequieto. Anche nelle occasioni di festa,il suo pensiero correva
sempre più spesso alla morte: avrebbe egli potuto, in virtù dei suoi
due terzi divini, vivere quanto i suoi antenati semi-dèi,oppure per
lunghezza della sua vita avrebbe prevalso il suo terzo umano?
Angustiato,si confidò con Shamash: Nella
mia città gli uomini muoiono. L’uomo perisce; oppure è il mio cuore… L’uomo, anche il più alto, non può arrivare al cielo; L’uomo,
anche il più grande ,non può coprire la terra. <<
Dovrò anch’io scrutare da sopra il muro?>> domandò a Shamash;
<< avrò anch’io lo stesso destino?>> Evitando una
risposta diretta- che forse neanche lui conosceva- Shamash tentò di far
accettare a Gilgamesh il suo destino, qualunque esso fosse, e di fargli
godere la vita fin che poteva: Quando
gli dèi creano il genere umano, ad
esso assegnarono la morte e
la vita tennero per sé. Perciò,
disse Shamash, Pensa
a riempirti la pancia, Gilgamesh; Stai
allegro giorno e notte! Ogni
giorno, fa’ che sia una festa; giorno
e notte, danza e gioca! Indossa
abiti freschi e puliti, lavati
il corpo e la testa con acqua pura. Bada
al piccolo che tiene la tua mano, lascia
che la tua sposa delizi il tuo cuore; perché
questo è il destino dell’umanità. Ma
Gilgamesh non voleva accettare il suo destino, Non era egli forse per
due terzi divino e solo per un terzo umano? Perché, allora, doveva
essere la sua parte mortale, quella minoritaria, a determinare il suo
destino? Da quel momento non ebbe più pace, ne di giorno ne di notte, e
per cercare di rimanere giovane prese a intrufolarsi nelle coppie appena
sposate, pretendendo di avere rapporti con la sposa prima dello sposo.
Poi, una notte, ebbe una visione che considerò un presagio. Corse da
sua madre per dirle ciò che aveva visto, affinché ella interpretasse
il presagio: Madre
mia, durante
la notte, diventato forte e vigoroso, vagavo
senza meta. Nel
mezzo [della notte] mi apparvero dei presagi. Una
stella diventava sempre più grande nel cielo. L’opera
di Anu scendeva verso di me! <<L’opera
di Anu>>che scendeva dal cielo cadde sulla Terra vicino a lui,
continuò a raccontare Gilgamesh: Cercai
di sollevarla, ma
era troppo pesante per me. Cercai
di scuoterla; non
riuscii né a muoverla né ad alzarla. Mentre
cercava di smuovere l’oggetto, che doveva essere penetrato alquanto
profondamente nel terreno, vide arrivare frotte di persone,nobili e
gente comune, tutti attirati e incuriositi da questo strano fatto:
<<Tutta Uruk si radunò attorno ad esso>>. Degli<<eroi>>-
uomini molto forti- diedero una mano a Gilgamesh nel tentativo di
estrarre dal terreno l’oggetto che era caduto dal cielo: <<Gli
eroi afferrarono la parte inferiore, io tirai quella superiore>>.
Sebbene i testi non descrivano bene l’oggetto, non si trattava
certamente di un meteorite informe, ma di un oggetto costruito con cura,
degno di essere chiamato l’opera del grande Anu in persona. Sembra che
l’autore del testo sapesse che il lettore non aveva bisogno di
ulteriori dettagli,probabilmente perché conosceva bene l’oggetto
definito <<opera di Anu>> oppure la sua raffigurazione,
forse come quella che si vede in un antico sigillo cilindrico(fig.1). Il testo
di Gilgamesh ne definisce la parte inferiore, quella afferrata dagli
eroi, con il termine “gambe”.L’oggetto aveva però altre parti
distinguibili ed era anche possibile entrarvi,come risulta chiaro dal
seguito della narrazione di Gilgamesh sugli eventi di quella notte: Strinsi
con forza la parte posteriore, ma
non riuscii ne a smuoverne il coperchio né
a sollevarne la parte sopraelevata… Con
una fiamma, allora, ruppi il suo coperchio Ed
entrai nel profondo di esso “La
parte mobile che tira verso l’esterno” la
sollevai e la portai a te. Gilgamesh era sicuro che l’aspetto di quell’oggetto fosse un presagio degli dèi riguardante il suo destino; ma sua madre,la dea Ninsun,dovette disilluderlo: ciò che scendeva dal cielo come una stella, disse, annunciava l’arrivo di un <<coraggioso compagno capace di salvare; un amico è venuto da te… è il più potente di quella terra… e non ti lascerà mai. Questo è il significato della tua visione >>. Ninsun sapeva di chi stava parlando. All’insaputa di Gilgamesh, infatti, e in risposta alle preghiere della gente di Uruk affinché facessero qualcosa per distrarre l’irrequieto Gilgamesh, gli dèi fecero venire a Uruk un uomo selvaggio, che tenesse impegnato Gilgamesh in incontri di lotta. Questa specie di “uomo dell’età della pietra” si chiamava ENKI.DU ( “ una creatura di Enki” ) e fino a quel momento aveva vissuto in luoghi impervi e deserti, tra gli animali simili a lui,<<bevendo il latte delle creature selvatiche>>. Nelle raffigurazioni pittoriche appariva sempre nudo, con barba e capelli irsuti, spesso in compagnia dei suoi amici animali.(fig.2) fig.2 Per “ domarlo” , i nobili di uruk chiamarono una
prostituta, e facendo l’amore con lei, Enkidu, che fino a quel momento
non aveva conosciuto che la compagnia di animali, ritrovò a poco a poco
il suo elemento umano. Poi la donna portò Enkidu a un accampamento
posto fuori dalla città, dove egli fu educato alla parola e ai modi di
Uruk. Infine i nobili lo istruirono sulle abitudini di Gilgamesh e gli
dissero <<Tieni a freno Gilgamesh,dagli pane per i suoi denti!
>>. Il primo incontro avvenne di notte ,quando Gilgamesh lasciò
il suo palazzo e cominciò a vagare per le strade in cerca di avventure
amorose. Enkidu lo incontrò per la strada e gli sbarrò il
passo.<<Durante il combattimento sbatterono con violenza contro i
muri e contro le porte, finchè << Gilgamesh piegò il
ginocchio>>: la lotta era dunque finita, lo straniero aveva vinto.
Sfogata la sua furia,Gilgamesh fece per andarsene . Solo allora Enkidu
gli si rivolse e Gilgamesh ricordò le parole di sua madre. Eccolo,
dunque, il suo nuovo <<coraggioso amico>>. <<Si
scambiarono un bacio e strinsero amicizia.>> Quando i due
divennero amici inseparabili, Gilgamesh cominciò a rivelare a Enkidu la
sua paura di dover morire. All’udire queste parole, gli occhi di
Enkidu si riempirono di lacrime,<< il suo cuore era in angoscia e
amaramente egli singhiozzava>>. Quindi disse a Gilgamesh che forse
c’era una via d’uscita per aggirare il suo destino: introdursi a
forza nella dimora segreta degli dèi. Qui se Shamash e Adad fossero
stati dalla sua parte, gli dèi avrebbero potuto accordargli lo status
divino al quale aveva diritto. La dimora degli dèi, continuò Enkidu,
si trovava<< nella montagna del cedro >>: per caso egli
l’aveva scoperta mentre vagava per quelle terre con altre bestie
selvatiche. A guardia di essa, però, stava un terribile mostro chiamato
Huwawa: L’ho trovata, amico mio, tra le montagne Mentre
vagavo con gli animali selvatici. Per
molte leghe si estende la foresta: io
vi sono andato fin nel mezzo. [Là
sta] Huwawa; il suo ruggito è come un fiume, la
sua bocca è un fuoco, il
suo respiro è morte… Il
custode della Foresta di Cedri, il Guerriero Ardente, è
potente e mai riposa… Di
sorvegliare la Foresta di Cedri, terrorizzando
i mortali, il dio Enlil lo ha incaricato. Proprio
il fatto che Huwawa avesse come primo dovere quello di impedire che i
mortali entrassero nella foresta di cedri convinse più che mai
Gilgamesh della necessità di arrivare a quel luogo, perché era
certamente là che avrebbe potuto trovare gli dèi e sfuggire al suo
destino mortale: Chi,
amico mio, può salire fino al cielo? Solo
gli dèi , passando
dal luogo sotterraneo di Shamash. Ogni
uomo ha i giorni contati; tutto
ciò che fa non è che vento. Persino
tu hai paura della morte, malgrado
la tua forza eroica. Perciò,
lasciami andare, lasciami
salire, e
fa’ che la tua bocca possa dirmi: <<Avanti,
non aver paura!>>. Era
questo, dunque, il piano:andare al<<luogo sotterraneo di
Shamash>>, nella montagna del cedro,per poter poi <<salire
fino al cielo>> come fanno gli dèi. Anche il più alto degli
uomini, aveva detto prima Gilgamesh, << non può arrivare fino al
cielo>>. Ora, però, egli sapeva dov’era quel luogo dal quale si
poteva salire al cielo. Cadde allora in ginocchio e pregò Shamash:
<< Lasciami andare, o Shamash! Le mie mani sono unite in
preghiera… al Luogo dell’atterraggio,dà ordine… Estendi su di me
la tua protezione! >>. Le righe di testo che contenevano la
risposta di Shamash sono, purtroppo, andate perdute; sappiamo solo che
<< quando Gilgamesh vide il presagio… lacrime gli scorrevano sul
volto>>.Sembra di capire che gli fu dato il permesso di andare
avanti ,ma a suo rischio e pericolo. Gilgamesh decise comunque di
proseguire e di affrontare Huwawa anche senza l’aiuto del dio.
<< Se dovessi fallire>>, disse, << la gente mi
ricorderà: “ Gilgamesh, diranno, contro il feroce Huwawa è caduto
“ . Ma se avrò successo otterrò uno Shem , il veicolo con il
quale si raggiunge l’eternità.>> Quando videro Gilgamesh
ordinare armi speciali con le quali combattere Huwawa,gli anziani di
Uruk cercarono di dissuaderlo. << Sei ancora giovane,
Gilgamesh>>,gli dissero; << vale la pena di rischiare la
morte quando hai ancora certamente ancora tanti anni di vita davanti? Ciò
che vuoi raggiungere, neanche tu lo conosci.>>Dopo aver raccolto
tutte le informazioni disponibili sulla foresta dei cedri e sul suo
guardiano, misero in guardia Gilgamesh: Abbiamo
sentito dire che Huwawa è costruito in maniera spaventosa; chi
potrà fronteggiare le sue armi? E’
una lotta impari Con
Huwawa, che è un motore d’assedio. Ma
Gilgamesh si limitò a<<guardarsi intorno, sorridendo al suo
amico>> . Tutto questo discorso- il mostro meccanico, il <<
motore d’assedio costruito in maniera spaventosa>> - non faceva
che rafforzare la sua convinzione che esso fosse in effetti
controllabile, attraverso opportuni comandi , dagli dèi Shamash e Adad.
Decise dunque di farsi aiutare da sua madre: se non era riuscito a lui
di ottenere il sostegno di Shamash, forse lei ci sarebbe riuscita.
<< Aggrappandosi l’uno a l’altro, mano nella mano, Gilgamesh
ed Enkidu al Grande Palazzo si avviano,per andare da Ninsun, la grande
regina. Gilgamesh si slanciò avanti appena entrato nel palazzo :
<<O Ninsun ( disse ) … un viaggio lungo e faticoso ho
intrapreso, fino al luogo di Huwawa ; una battaglia incerta devo ora
affrontare, e sentieri sconosciuti mi attendono. O madre mia , prega tu
Shamash perché mi sia benevolo! >>. Per il bene che voleva a suo
figlio, << Ninsun andò nella sua camera, indossò un abito che
ben si addiceva al suo corpo e una collana che le adornava il petto…
poi si mise la tiara >>. Alzò quindi le mani e pregò Shamash
,attribuendo a lui la responsabilità di questo viaggio : << Perché
>> , domandò retoricamente , << mi hai dato un figlio come
Gilgamesh, con un cuore che non trova mai pace? Sei stato tu, adesso, a
mettergli in testa questa idea di un lungo viaggio fino al luogo di
Huwawa!>>. Invocò la sua protezione sopra Gilgamesh Fino
a quando avrà raggiunto la foresta dei cedri Fino
a quando avrà ucciso il feroce Huwawa, fino
al giorno in cui ritornerà . Quando
la gente sentì dire che , malgrado tutto, Gilgamesh aveva deciso di
andare in ogni caso al Luogo dell’atterraggio, << gli si fecero
tutti intorno>> e gli augurarono successo. Gli anziani della città
diedero consigli più pratici: << Fai andare avanti Enkidu: lui
conosce la strada… Colui che va avanti salva il compagno! >>.
Anch’essi, poi, invocarono la protezione di Shamash: << Che
Shamash esaudisca il tuo desiderio; che ciò che la tua bocca ha detto i
tuoi occhi possano vederlo; possa egli aprire per te la via sbarrata,
dischiudere la strada per che tu vi passi, la montagna perché tu la
attraversi !>>. Ninsun disse poche parole di saluto. Rivolta a
Enkidu, gli chiese di proteggere Gilgamesh; << anche se non sei
nato dal mio grembo, io ora ti adotto come figlio>>, gli disse;
<<abbi cura del re come fosse tuo fratello!>>. Quindi pose
il suo simbolo sul collo di Enkidu. E i due partirono per la loro
pericolosa impresa. La quarta tavoletta dell’epopea di Gilgamesh è
dedicata al viaggio dei due amici verso la foresta dei cedri ;
purtroppo, però, la tavoletta è così frammentaria che, sebbene ne
siano stati trovati frammenti paralleli in lingua ittita, non è
possibile mettere insieme un testo organico. Ciò che è evidente,
comunque, è che il loro viaggio li portò molto lontano, in direzione
ovest. Di tanto in tanto, Enkidu cercava di convincere Gilgamesh a
rinunciare all’impresa: Huwawa , diceva, è in grado di sentire una
mucca muoversi a 60 leghe di distanza; la sua voce riverberadal <<
luogo in cui si sale>> fino a Nippur ; << la debolezza si
impadronisce >> di chiunque si avvicini alle porte della foresta.
Torniamo indietro, lo implorava. Ma Gilgamesh non ne voleva sapere. Alla
montagna verde, alfine, i due arrivarono. Se
ne stavano lì, in piedi, senza parlare, e
scrutavano la foresta; osservavano
gli alti cedri finchè
trovarono l’ingresso della foresta. Laddove
Huwawa era solito muoversi vi era un sentiero: le
tracce portavano diritto, verso una luminosa galleria. Essi
guardavano la Montagna del Cedro, dimora
degli dèi, il
crocevia di Ishtar. Stanchi
e spaventati, i due si addormentarono, ma nel bel mezzo della notte
vennero svegliati . << Sei tu che mi hai toccato? >>
Gilgamesh domandò a Enkidu. << No>> ,rispose questi. Si
erano appena riassopiti quando Gilgamesh svegliò di nuovo Enkidu. Aveva
avuto una spaventosa visione, gli disse, senza sapere se era sveglio o
dormiva : Nella
visione,amico mio,il terreno vacillava, io
scendevo sempre più, avevo i piedi intrappolati… C’era
una luce accecante! All’improvviso
apparve un uomo; era
il più bello che io abbia mai viato… Mi
tirò da sotto il terreno franato, mi
diede acqua da bere, e il mio cuore si calmò. Poi
sentii i piedi di nuovo saldi per terra. Chi
era quest’uomo così bello, che tirò Gilgamesh da sotto il terreno
franato? Che cos’era questa luce accecante che accompagnava la frana?
Enkidu non sapeva rispondere; stanco, tornò a dormire. Ma la
tranquillità della notte venne scossa ancora una volta: Nel
mezzo della notte Si
interruppe il sonno di Gilgamesh. Egli
si riscosse e disse al suo amico: Amico
mio, sei tu che mi hai chiamato? Sono
sveglio? Mi
hai forse toccato? Perché
sono così scosso? Mi
è passato vicino qualche dio? Perché
ho le membra tanto intorpidite? Enkidu
rispose di nuovo che non era stato lui a svegliare Gilgamesh; e allora,
era stato davvero qualche dio passato li vicino? Perplessi ma stanchi, i
due si riaddormentarono, ma ancora una volta vennero svegliati. Ecco
come Gilgamesh descrive ciò che vide : Ebbi
una visione davvero spaventosa! Il
cielo strideva, la terra tuonava. Anche
se ormai era quasi l’alba, scese una profonda oscurità. Improvvisamente
si vide un lampo, una fiammata potente. Le
nuvole si gonfiarono, pioveva morte! Poi
la luce svanì, il fuoco si spense. E
di tutto ciò che era caduto restò solo cenere. Gilgamesh
non poteva non essersi accorto che ciò a cui aveva assistito era
l’ascesa di una “ camera celeste” : il terreno che vibra mentre i
motori si accendono tuonando; le nuvole di fumo e polvere che avvolgono
il luogo, oscurando il cielo dell’alba; la luce prodotta dai motorini
azione, vista attraverso le spesse nuvole; e infine – mentre il
velivolo si alzava – il bagliore che piano piano scompare, poiché
confermava che in effetti era finalmente arrivato al Luogo
dell’Atterraggio. Al mattino i due amici cercarono di penetrare nella
foresta, stando attenti a evitare << gli alberi che uccidono come
armi >> . Enkidu trovò la porta di cui aveva parlato a Gilgamesh;
ma appena provò ad aprirla, fu ricacciato indietro da una forza
invisibile. Per dodici giorni rimase là , completamente paralizzato.
Quando potè di nuovo muoversi e parlare, si lamentò con Gilgamesh:
<< Non addentriamoci nel cuore della foresta>>. Ma Gilgamesh
aveva buone notizie per il suo amico: mentre quest’ultimo giaceva in
preda allo shoc, lui- Gilgamesh- aveva trovato una galleria. Dai suoni
che sentivano provenire dall’interno, Gilgamesh era certo che essa era
collegata<< alla zona da cui partono parole di comando >>.
Avanti, amico mio>>, spronò Enkidu, << non startene li
fermo, avviamoci insieme!>> E in effetti Gilgamesh aveva ragione,
poiché i testi sumerici affermano che Dopo
essersi spinto nel profondo della foresta, la
segreta dimora degli Anunnaki egli
aprì. L’entrata del tunnel era nascosta ( o forse semplicemente invasa ) da un groviglio di alberi e arbusti e chiusa da terra e rocce. << Mentre Gilgamesh tagliava gli alberi, Enkidu scavava>> la terra e le rocce. Ma proprio quando erano sul punto di aprirsi un varco, furono sopraffatti dal terrore : << Huwawa udì il rumore e si arrabbiò>>, e si portò sulla soglia per vedere chi si era intrufolato nella sua dimora. Aveva un aspetto <<possente, denti come quelli di un drago, un volto come quello di un leone; si muoveva come un’enorme onda di piena >>. Particolarmente terrificante era il suo <<raggio radiante >>, che proveniva dalla fronte e << distruggeva alberi e arbusti >>. A questa forza mortale << nessuno poteva sfuggire >>. Un sigillo sumerico raffigurava un dio , Gilgamesh ed Enkidu accanto a un robot meccanico ,che era senza dubbio << il mostro dai raggi mortali >> di cui parla il testo epico. (fig.3) fig.3 Dai frammenti di testo sembra di capire che Huwawa poteva
chiudersi << sette corazze >>, ma quando arrivò sulla scena
<< ne aveva addosso soltanto una, le altre sei non c’erano
ancora >>. Approfittando di questa circostanza, i due amici
cercarono di tendergli un’imboscata, ma quando il mostro si girò
verso di loro i raggi mortali provenienti dalla sua fronte tracciarono
una scia di distruzione. La salvezza venne dal cielo, appena in tempo.
Vedendoli in difficoltà, << dal cielo parlò loro il divino
Shamah >>. Non cercate di scappare,consigliò loro; piuttosto,
<< avvicinatevi a Huwawa. Quindi Shamash fece levare un
turbine di vento << che colpì gli occhi di Huwawa >> e
neutralizzò i suoi raggi. Svaniti questi, fu facile immobilizzare
Huwawa , poiché egli << non sa camminare in avanti né muoversi
all’indietro >>. I due, quindi, poterono attaccarlo senza
difficoltà : << Enkidu colpì il guardiano, Huwawa ,e lo gettò a
terra. Per due leghe i cedri risuonarono >>, tanto pesante e
immensa fu la caduta del mostro. Poi Enkidu gli assestò il corpo
mortale. Eccitati per la vittoria ma esausti, i due si fermarono a
riposare presso un fiume. Gilgamesh si spogliò per lavarsi. << Si
tolse i suoi abiti logori, ne indossò dei puliti; si avvolse un
mantello attorno al corpo e lo tenne fermo con una fusciacca.>>
Non c’era bisogno di correre : la via verso la <<segreta dimora
degli Anunnaki >> era ormai libera. Non sapeva, il poveretto, che
il fascino di una donna avrebbe ben presto mandato in rovina la sua
vittoria… Quel luogo, come il racconto aveva già precisato in
precedenza, era il “ crocevia di Ishtar “ , e si diceva che la dea
stessa andasse avanti e indietro da questo Luogo dell’Atterraggio.
Anche lei, come Shamash, deve aver osservato la battaglia – forse
dalla sua aerea fig.4 Avendo visto Gilgamesh nudo nell’acqua, la radiosa Ishtar levò un
occhio alla bellezza di Gilgamesh. Gli si avvicinò senza far parola di
ciò che aveva in mente: “Vieni Gilgamesh, sii il mio amante! Concedimi
il frutto del tuo amore. Sii
il mio uomo, e
io sarò la tua donna! Gli promise carri d’oro, un magnifico palazzo, la supremazia su altri re e principi, e in tal modo credeva di aver adescato una volta per tutte Gilgamesh. Ma questi le rispose che non aveva nulla da dare a lei, una dea, in cambio di tutto ciò che lei gli aveva promesso. Quanto poi al suo amore, quanto sarebbe durato? Prima o poi disse, si sarebbe sbarazzata di lui come di una scarpa divenuta piccola per il piede del suo proprietario. E, dopo aver elencato uno per uno i nomi di tutti coloro con i quali ella si era intrattenuta, le voltò le spalle. Furiosa per questo offensivo rifiuto, Ishtar chiese ad Anu di lasciare che il “Toro del Cielo” colpisse Gilgamesh. Attaccati da questo mostro del cielo,Gilgamesh ed Enkidu dimenticarono la loro missione e cominciarono a correre per salvare la vita. Per aiutarli a tornare ad Uruk, Shamash fece in modo che essi percorressero in tre giorni la distanza che altrimenti avrebbero coperto in un mese e mezzo. Arrivati, però, alla periferia di Uruk, presso il fiume Eufrate, il Toro del Cielo li raggiunse. Gilgamesh riuscì ad arrivare in città per chiamare rinforzi, mentre Enkidu rimase da solo fuori dalle mura della città ad affrontare il mostro.Quando il Toro del Cielo “ sbuffò”, si aprirono nella terra degli squarci larghi al punto da poter contenere duecento uomini ciascuno. Enkidu cadde dentro uno di questi, ma quando il Toro del Cielo, si girò, sgusciò fuori rapidamente e uccise il mostro. Che cosa fosse esattamente questo Toro del Cielo, non è chiaro. Il termine sumerico - GUD.AN.NA- potrebbe anche significare”attaccante di Anu” , cioè un suo “missile”. Affascinati dall’episodio, gli artisti antichi raffiguravano spesso Gilgamesh o Enkidu mentre combattevano con un toro vero,sotto l’occhio vigile di Ishtar nuda (e talvolta Adad). Ma dal testo dell’Epopea appare chiaro che l’arma di Anu era un oggetto metallico equipaggiato con due arnesi perforatori (le “corna”) ; si tratta di una specie di “toro “ meccanico che compare in alcune raffigurazioni antiche nell’atto di scendere dal cielo.(fig.5) fig.5 Sconfitto il Toro del Cielo,
Gilgamesh << chiamò a raccolta tutti gli artigiani,gli
armaioli>> perché vedessero il mostro meccanico e lo portassero
via. Poi, trionfanti, lui ed Enkidu andarono a rendere omaggio a Shamash.
Ma <<Ishtar, nella sua dimora, levava alto il suo pianto>>.
All’interno del palazzo, Gilgamesh e Enkidu si riposavano dopo la
lunga notte di festeggiamenti. Nella dimora degli dèi, intanto, gli dèi
supremi stavano ascoltando il lamento di Ishtar. E Anu disse a Enlil:
“Poiché hanno ucciso il Toro del Cielo , e Huwawa, quei due devono
morire”. Ma Enlil disse: << Che Enkidu muoia, dunque, ma
lasciamo vivere Gilgamesh>>. Fu Shamash, questa volta, a
intercedere: tutto era stato fatto con il suo aiuto; perché , allora,
doveva morire <<L’innocente Enkidu?>>. Mentre gli dèi
decidevano, Enkidu giaceva inerte, privo di conoscenza. Stanco e
preoccupato, Gilgamesh “ misurava i passi avanti e indietro del
giaciglio” sul quale era disteso Enkidu; amare lacrime gli scorrevano
sulle guance. Per quanto fosse afflitto per il suo amico, però, il suo
pensiero tornava sempre allo stesso punto: sarebbe toccato anche a lui,
un giorno, starsene lì disteso, in attesa della morte? Dopo tutti i
suoi sforzi, avrebbe fatto anche lui la fine di un mortale? Nel
frattempo, gli dèi riuniti in assemblea avevano raggiunto un
compromesso. La sentenza di morte per Enkidu era stata commutata in
lavori forzati a vita nelle miniere: Qui, dunque, egli avrebbe passato
il resto dei suoi giorni. Per fare eseguire la sentenza e condurlo alla
sua nuova casa, fu detto a Enkidu, due emissari << vestiti come
uccelli, con tanto di ali>> gli sarebbero apparsi. Uno di loro,
<< Un giovane dal volto scuro, che come un uomo-uccello ha il
volto>>, lo avrebbe trasportato nella terra delle miniere: Sarà
vestito come un’Aquila; Con
il braccio ti condurrà. <<Seguimi>>
[dirà]; e ti condurrà alla
casa dell’oscurità, la
dimora posta sotto terra; la
dimora che nessuno può lasciare dopo esservi entrato, una
strada senza possibilità di ritorno. Una
casa in cui abitanti sono privati della luce, e
vivevano con la polvere in bocca; la
terra è il loro cibo. La
scena è raffigurata su un antico sigillo cilindrico, dove si vede un
essere alato (un ”angelo”)
che porta Enkidu per un braccio.(fig.6) All’udire la sentenza riguardante il
suo amico, Gilgamesh ebbe un’idea. Non lontano dalla terra delle
miniere, aveva sentito dire, vi era la Terra dei viventi, cioè
il luogo dove gli dèi avevano portato gli esseri umani che avevano
ricevuto il dono dell’eterna giovinezza! Era << la dimora dei
progenitori che i grandi dèi avevano consacrato con le acqua
purificatrici>>. Qui, dividendo con gli dèi cibo e bevande,
vivevano Principi nati per al corona Che
avevano governato nei giorni passati; Come
Anu ed Enlil, essi mangiavano carni speziate e
bevevano acqua fresca attinta dagli otri degli dèi. Non
poteva essere proprio il posto in cui era stato portato anche l’eroe
del Diluvio, Ziusudra/Utnapishtim, il posto da cui Etana <<era
asceso al cielo>>? E fu così che <<il Signore Gilgamesh
verso la Terra dei Viventi rivolse la mente>>. Annunciò al
redivivo Enkidu che lo avrebbe accompagnato per una parte almeno del suo
viaggio, spiegandogli: O
Enkidu, anche
l’uomo più potente avvizzisce e
va incontro alla fine predestinata. [Perciò]
in quella Terra vorrei entrare, vorrei
prepararmi uno Shem. Nel
luogo in cui si innalzano gli Shem Anch’io
vorrei innalzare il mio. Tuttavia,
passare dalla terra delle miniere a quella dei viventi non era cosa che
un mortale potesse decidere da sé. Tanto gli anziani di Uruk quando la
dea sua madre cercarono di fargli capire nel modo più convincente
possibile che era necessario ottenere prima il permesso di Utu/Shamash: Se
in quella terra vuoi entrare, informa
Utu, informa Utu, l’eroe Utu! Quello
è territorio di Utu; la
terra delimitata dei cedri è
territorio di Utu. Informa
Utu! Messo
in guardia così risolutamente, Gilgamesh seguì il consiglio, offrì un
sacrificio a Utu e chiese il suo consenso e la sua protezione: O
Utu, nella
tua terra vorrei entrare; sii
mio alleato! Nella
terra delimitata dei cedri Vorrei
entrare; sii mio alleato! Nei
luoghi in cui sono stati elevati gli Shem Fa’
che io possa innalzare il mio! Inizialmente,
Utu/Shamash fu in dubbio se concedere a Gilgamesh tale privilegio. Poi ,
cedendo ai suoi lamenti ella sue preghiere, lo avvertì che sarebbe
passato per una regione arida e desolata:<<la polvere delle strade
sarà la tua casa, il deserto sarà il tuo giaciglio…spine e rovi ti
feriranno i piedi… la sete asciugherà le tue guance>>. Non
riuscendo a dissuadere Gilgamesh gli disse ancora che << Il luogo
dove sono stati innalzati gli Shem>> è circondato da sette
montagne e i passi sono sorvegliati da terribili << esseri
potenti>> che possono lanciare << un fuoco ardente>> o
<< un tuono che no si può respingere>>, alla fine però,
Utu dovette rinunciare: << le lacrime di Gilgamesh accettò come
offerta, ed ebbe compassione di lui>>. Ma <<Il signore
Gilgamesh si comportò in maniera superficiale>>: piuttosto che
affrettarsi sulla strada via terra, egli progetto di compiere quasi
tutto il viaggio molto più comodamente via mare; poi, una volta toccata
terra, Enkidu sarebbe andato alla terra delle miniere e lui ( Gilgamesh)
avrebbe proseguito per la Terra dei Viventi. Scelse dunque cinquanta
giovani rematori che li accompagnassero e subito mise mano ai
preparativi: per prima cosa fece tagliare e portare da Uruk legni
speciali per costruire la barca MA.GAN-una <<garca d’Egitto>>;
poi fabbri di Uruk costruirono armi resistenti. Alla fine, quando tutto
fu pronto, partirono. Ridiscesero il Golfo Persico, progettando senza
dubbio di circumnavigare la penisola arabica e poi dirigersi verso
l’Egitto attraverso il Mar Rosso. Ma l’ira di Enlil non si fece
attendere. Non era stato detto ad Enkidu che un giovane<<angelo>>lo
avrebbe preso per un braccio e lo avrebbe condotto alla terra delle
miniere? E come mai, allora, se ne era andato allegramente con Gilgamesh,
e con cinquanta uomini armati, su una nave reale? Al crepuscolo, Utu-
che forse li aveva visti partire con grande pena-<<se ne andò
sdegnoso, a testa alta>>. Le montagne costirere, in lontananza,
<< si fecero scure, l’ombra si diffuse sopra di esse >>.
<<Sopra le montagne>> c’era qualcuno che – come Huwawa-
era in grado di emettere raggi << ai quali nessuno può
sfuggire>>. << Come un toro se ne stava sulla grande casa
della Terra >>- una specie di faro, a quanto sembra. Questo uomo
terribile deve aver minacciato la nave e i suoi passeggeri, poiché
Enkidu venne sopraffatto dalla paura. << Torniamo a Uruk>>
continuava a ripetere. Ma Gilgamesh non lo stava neanche a sentire;
anzi, diresse la nave verso la costa, deciso a combattere con quel
mostruoso sorvegliante- << quell’uomo, se è un uomo, oppure un
dio, sia quel che sia >>. Fu allora che si abbatté la catastrofe.
La vela cadde e come spinta da una mano invisibile, la barca si
capovolse e tutto ciò che vi era dentro affondò. In qualche modo
Gilgamesh ed Enkidu riuscirono a nuotare fino a riva. Quando guardarono
in acqua, videro la nave affondata con tutti i membri dell’equipaggio
ancora a loro posto, talmente fermi e composti da sembrare vivi anche
nella morte: Dopo
che era affondata,nel mare era affondata, la
notte in cui la barca-Magan era affondata, dopo
che la barca , destinata al Magan, era affondata all’interno
di essa, come creature ancora vive, erano
seduti coloro che erano nati da un ventre di donna. I
due amici trascorsero la notte sulla spiaggia sconosciuta, discutendo su
quale strada prendere. Gilgamesh era ancora deciso a raggiungere
<<la terra>>, mentre Enkidu pregava di ritornare <<
alla città>>,a Uruk. Ben presto, però, una grande debolezza
invase Enkidu ; con appassionata amicizia Gilgamesh lo esortò a tenersi
legato alla vita: << Mio caro, debole amico>> gli diceva con
grande affetto, << ti porterò alla terra>>. Ma <<
alla Morte, che non conosce distinzione>>, nessuno può sfuggire.
Per sette giorni e sette notti Gilgamesh vegliò Enkidu,<< finché
dal suo naso non cadde un verme>>. Allora se ne andò e cominciò
a vagare senza meta: << Per il suo amico, Enkidu, Gilgamesh piange
amaramente mentre vaga per la foresta>>.Eccolo, dunque, nuovamente
preoccupato per il suo destino: << temendo la morte>>si
domandava: << Quando muoio, non sarò anch’io come Enkidu
?>> Poi prevalse nuovamente la sua determinazione a scrollarsi di
dosso il suo destino. << Dovrò infilare la testa sotto terra e
dormire per tutta l’eternità?>> domandò a Shamash. << Fa
che i miei occhi possano cogliere il Sole , fa che si riempiano di
luce!>> E dirigendo la sua corsa là dove il Sole sorge e
tramonta, << verso la Mucca Selvatica, verso Utnapishtim figlio di
Ubar-Tutu si incamminò>>. Percorse strade mai battute da anima
viva, senza mai incontrare nessuno e procurandosi il cibo con la caccia.
<< Quali montagne abbia scalato, quali fiumi abbia attraversato,
nessuno lo sa >>, annotava tristemente l’antico scriba. Alla
fine, come sappiamo da versioni trovate a Ninive e in siti archeologici
ittiti, Gilgamesh arrivò vicini a delle abitazioni. Era giunto a una
regione consacrata a Sin, il padre di Shamash. Quando arrivò, di notte,
presso un passo montano, Gilgamesh vide dei leoni e si spaventò: Levò
la testa verso Sin e pregò: <<
Al luogo dove gli dèi ringiovaniscono, i
miei passi sono diretti… ti
prego, presentami tu!>> <<
Come fosse notte, egli cadde addormentato, ma si svegliò per un
sogno>> che interpretò come un presagio di Sin, secondo il quale
avrebbe << gioito nella Vita>>. Incoraggiato dal sogno,
Gilgamesh <<come una freccia scese tra i leoni>>: la sua
battaglia con i leoni è stata immortalata in pitture non solo
mesopotamiche, ma di tutte le terre antiche, perfino dell’Egitto. Allo
spuntar del Sole, Gilgamesh attraversò un passo di montagna. Sotto di
se vide uno specchio d’acqua, come un grande lago “mosso da lunghi
venti”; accanto al lago vi era una vasta pianura all’interno della
quale stava una città “tutta chiusa”, cinta di mura quindi.Qui
stava il tempio dedicato a Sin. Fuori dalla città, vicino al lago,
Gilgamesh avvistò una locanda; avvicinandosi di più vide la
locandiera, Siduri, che aveva in mano una coppa di zuppa dorata. Al
vedere Gilgamesh, essa fu presa da uno spavento terribile: “ E’
vestito di pelli…ha il corpo tutto a brandelli e il volto di un
viandante che viene da lontano”. Senza esitare gli chiuse la porta in
faccio e sbarrò il cancello. Con molta fatica Gilgamesh riuscì a
convincerla della sua vera identità e delle sue buone intenzioni,
parlandole delle avventure che aveva vissuto e di ciò che stava
cercando. Dopo che Siduri gli ebbe permesso di riposarsi e rifocillarsi,
Gilgamesh fu preso di nuovo dall’ansia di ripartire. Qual è la strada
migliore per arrivare alla Terra dei Viventi? Domandò a Siduri. Doveva
fare il giro del lago e avventurarsi per desolate montagne, o poteva
prendere una scorciatoia attraverso il lago? Ti prego, locandiera, dimmi qual è la via… Quali
i punti di riferimento? Dimmi,
ti prego, come posso riconoscerla! Se
è possibile, attraverso il mare; altrimenti,
farò rotta tra le aspre montagne. La
scelta tuttavia, non era così semplice, perché il lago che vedeva era
in realtà il “mare della morte”: La
locandiera gli disse, disse a Gilgamesh: “Il
mare, Gilgamesh, è impossibile da attraversare, da
molto tempo non arriva nessuno dal mare. Il
valente Shamash lo attraversò Ma
a parte lui chi può farlo? Laborioso
è il suo attraversamento, desolato
il percorso; Aride
sono le Acque della Morte Che
esso racchiude. Come
farai, allora Gilgamesh, ad attraversare il mare?” Poiché
Gilgamesh era ammutolito, Siduri parlò di nuovo, rivelandogli che
poteva esservi, dopo tutto, un modo per attraversare il Mare delle Acque
della Morte: Gilgamesh, c’è
Urshanabi, barcaiolo di Utnapishtim. Lui
ha ciò che galleggia, Nelle
barche di legno raccoglie quello che deve. Va’,
che egli veda il tuo volto. Se
è giusto, ti farà attraversare; se
non è giusto. Tornatene indietro. Gilgamesh
seguì le istruzioni e trovò Urshanabi il barcaiolo.Dopo aver molto
discusso su chi fosse, come fosse arrivato fin lì e dove volesse
andare, venne ritenuto degno dei servigi del nocchiero. Con l’aiuto di
bastoni spinsero avanti la barca e in tre giorni, “ si lasciarono
dietro la strada di un mese e mezzo” ( il tempo, cioè, che avrebbero
impiegato viaggiando via terra). Alla fine arrivarono a TIL.MUN, la
Terra dei Viventi. E adesso da che parte doveva andare? Ai dubbi di
Gilgamesh rispose Urshanabi: devi arrivare a una montagna, gli disse; il
suo nome è Mashu. Le istruzioni di Urshanabi ci sono giunte
attraverso la versione Ittita dell’Epopea, di cui alcuni frammenti
sono stati rinvenuti a Boghazkoy e in altri siti Ittiti. Da questi
frammenti ( ricomposti da Johannes Friedrich: Die hethitishem Bruchstükes
des Gilgamesh-Epos) sappiamo che a Gilgamesh venne detto di andare e
seguire una strada diritta che conduce verso !il Grande Mare, che è
lontano”. Come punti di riferimento, doveva cercare “due colonne di
pietra” che disse Urshanabi, mi portano sempre a destinazione. Poi
doveva girare e raggiungere una città chiamata Itla, sacra al dio degli
Ittiti Ullu-Yah (quello delle vette), e doveva ottenere la benedizione
di quel dio prima di proseguire. Seguendo le indicazioni, Gilgamesh
arrivò ad Itla, da dove in lontananza sembrava di vedere il Grande
Mare. Qui Gilgamesh mangiò e bevve, si lavò e si rese finalmente
presentabile come si addice ad un re. Poi venne ancora una volta Shamash
in suo aiuto, consigliandogli di presentare delle offerte a Ulluyah.
Portando Gilgamesh davanti al Grande Dio pregò Ulluyah di accettare le
sue offerte e concedergli la vita.(fig.7) Ma Kumarbì, un altro dio ben noto
dai racconti Ititti, si oppose con tutte le sue forze; non si può dare
l’immortalità a Gilgamesh, disse. Accortosi, a quanto sembra, che non
gli avrebbero concesso uno Shem, Gilgamesh tentò un’altra
strada: poteve almeno incontrare il suo antenato Utnapishtim? Mentre gli
dei discutevano sulla decisione da prendere, Gilgamesh (forse con
l’aiuto di Shamash) lasciò la città e cominciò ad avanzare verso
Monte Mashu, fermandosi ogni giorno per offrire sacrifici a Ulluyah.
Dopo sei giorni arrivò al Monte: era davvero il luogo degli Shem: Il
nome della montagna e Mashu. Al
monte di Mashu egli arrivò; dove
ogni giorno si vedevano gli
Shem partire e arrivare. Per
la sua funzione, il monte doveva essere collegato sia ai cieli lontani
sia agli abissi della Terra: In alto la Banda Celeste È
collegato; in
basso, Al
Mondo Inferiore è legato. Vi
era una strada per entrare nella montagna; ma l’ingresso, la
“porta”, era sotto stretta sorveglianza: Uomini-razzo
sorvegliano la porta. Emanano
un terrore spaventoso, il loro sguardo è morte. Il
loro faro terrificante spazza le Montagne. Essi
guardò Shamash Quando
sale e scende. Alcuni
reperti iconografici mostrano esseri alati o uomini – toro divini che
utilizzano un arnese circolare da cui si dipartono dei raggi:(fig.8) potrebbero
essere antiche raffigurazioni del <<faro terrificante che spazza
le montagne>>. Uno di essi, vedendo che i raggi colpivano
Gilgamesh solo temporaneamente gridò al suo compagno:<< Colui che
sta arrivando ha nel suo corpo carne divina!>>. Sembra dunque di
capire che i raggi potevano colpire o uccidere gli esseri umani, ma
erano del tutto innocui per gli dèi. I guardiani diedero dunque a
Gilgamesh il permesso di avvicinarsi, gli chiesero chi fosse e come mai
si trovasse all’interno di questa zona riservata. Egli descrisse le
sue origini in parte divine e spiegò che era venuto << in cerca
della Vita >>; Voleva, disse, incontrare il suo antenato
Utnapishtim: Per
parlare con Utnapishtim, mio antenato, sono venuto- Colui
che si è unito alla congrega degli dèi. Della
vita e della morte voglio chiedergli. <<Nessun mortale ha mai ottenuto questo>>, dissero le due guardie. Senza farsi intimidire, Gilgamesh invocò Shamash e spiegò che egli era per due terzi dio. Le lacune nelle tavolette ci impediscono di sapere ciò che avvenne dopo, ma alla fine gli uomini razzo informarono Gilgamesh che gli era stato accordato il permesso:<< La porta della montagna è aperta per te!>>. (La “ Porta del cielo” è un motivo iconografico alquanto frequente sui sigilli cilindrici del Vicino Oriente: essa era quasi sempre rappresentata come una pota alata, a forma di scala, che conduce all’ Albero della Vita;(fig.9) fig.9 talvolta vi sono
dei serpenti a sorvegliarla-Gilgamesh entrò, seguendo<< la strada
presa da Shamash >>. Il suo viaggio durò dodici beru (ore
doppie); per la maggior parte del tempo <<non riuscì a vedere
niente né davanti né indietro>>: forse aveva gli occhi bendati,
poiché il testo insiste sul fatto che <<per lui non
c’era alcuna luce>>. Nell’ottava ora doppia, urlò dalla
paura; nella nona, << sentì un vento da nord colpirlo in
volto>>; all’undicesimo beru finalmente albeggiò.
Infine, al termine della dodicesima ora doppia, <<tornò nella
luce>>. Poteva di nuovo vedere, quindi, e quello che vide era
straordinario. C’era<<un recinto che sembrava che sembrava fatto
apposta per gli dèi>>, dove <<cresceva>> un giardino
fatto tutto di pietre preziose! Per quanto mutilate, le righe del testo
ci danno un’idea della magnificenza di quel luogo: Come
frutti a corniole E
rampicanti troppo belli da contemplare. Il
fogliame è di lapislazzuli; E
uva troppo rigogliosa da guardare, di…pietra
è fatta… I
suoi… di pietre bianche… Nelle
sue acque,pure canne…di pietre –sasu; Come
un Albero della Vita e un Albero della… Sono
fatti di pietre An-Gug. E
la descrizione proseguiva su questo tono. Pieno di meraviglia e di
curiosità, Gilgamesh camminava per il giardino: si trovava certamente
in un finto “Giardino dell’Eden”! Non sappiamo che cosa sia
avvenuto dopo, perché un’intera colonna della nostra tavoletta è
troppo mutilata per essere leggibile. Che fosse, comunque,in un giardino
artificiale, o da qualche altra parte, alla fine Gilgamesh incontrò
Utnapishtim. La sua prima reazione nel vedere quest’uomo<<dei
giorni del passato>> fu di osservare quanto essi si
assomigliavano: Gilgamesh
disse a lui, a
Utnapishtim “colui che sta lontano”: “Quando
ti guardo,Utnapishtim , [vedo]
che non sei affatto diverso; è
quasi come se io fossi te…>> Subito
dopo, però, Gilgamesh venne al punto: Dimmi come hai fatto a unirti al gruppo degli dèi Nella
tua ricerca dell Vita? In
risposta a questa domanda, Utnapishtim disse al Gilgamesh :” Ti
rivelerò, o Gilgamesh, una cosa nascosta, un segreto degli dèi ti dirò”.
Il segreto era il racconto del Diluvio: quando lui, Utnapishtim, regnava
su Shuruppak, gli dèi decisero di lasciare che il Diluvio annientasse
il genere umano; allora Enki, in gran segreto. Gli disse di costruire
uno speciale sommergibile e di prendere a bordo la sua famiglia e il
seme di ogni essere vivente. Un navigatore fornito da Enki diresse
l’imbarcazione verso il monte Ararat: quando le acque cominciarono a
calare, egli scese dalla barca per compiere sacrifici: allora tutti gli
dèi, che mentre infuriava il Diluvio erano rimasti abordo della loro
navetta spaziale in orbita attorno alla Terra, scesero anch’essi sul
monte Ararat, attratti dal profumo di carne arrostita. Alla fine atterrò
anche Enlil, furioso al vedere che, malgrado il giuramento che tutti
avevano prestato, Enki aveva permesso all’umanità di sopravvivere.
Quando la sua collera si esaurì, tuttavia, Enlil vide i vantaggi di
questa sopravvivenza – continuò Utnapishtim – e fu allora che
concesse a lui la vita eterna: Enlil
andò dunque a bordo della nave. Tenendomi
la mano, mi condusse a bordo. Poi
prese a bordo mia moglie Facendola
salire col ginocchio al mio fianco. Messosi
quindi fra di noi, ci
toccò la fronte e ci benedisse: “Finora,
Utnapishtim è stato un essere umano; da
questo momento, Utnapishtim e sua moglie saranno
fra noi come dèi. Lontano
abiterà l’uomo Utnapishtim, alla
bocca del fiume d’acqua”. E
così avvenne concluse Utnapishtim, che egli fu portato alla dimora
lontana, per vivere in mezzo agli dèi. Ma come potrebbe avvenire per
Gilgamesh? “ ora, però chi radunerà gli dèi in assemblea, affinché
tu possa trovare quella Vita che vai cercando?” All’udire il
racconto, Gilgamesh capì che soltanto gli dèi riuniti in asemblea
potevano decretare la vita eterna e che lui da solo non avrebbe mai
potuto ottenerla; la delusione fu così forte che lo fece svenire. Per
sei giorni e sette notti rimase privo di conoscenza. Utnapishtim disse
sarcasticamente a sua moglie: “eccolo qua l’eroe che cerca la vita
eterna; si dissolve nel sonno come vapore!”. Per tutto il tempo in cui
rimase addormentato, essi si occuparono di Gilgamesh, per tenerlo in
vita, “affinché egli potesse tornare sano e salvo per la via dalla
quale era arrivato, e ripassare dal cancello attraverso il quale era
entrato per ritornare alla sua terra. Venne chiamato il nocchiero
Urshanabi per riportare indietro Gilgamesh. Ma all’ultimo momento,
quando Gilgamesh era pronto per partire, Utnapishtim gli svelò un altro
segreto. Anche se non poteva evitare la morte, gli disse, poteva
quantomeno rimandarla, procurandosi la pianta segreta che gli stesi dèi
mangiano per restare giovani per sempre! Utnapishtim
disse alui, a Gilgamesh: “Sei
venuto fin qui, tra fatiche e tormenti. Che
cosa posso darti, prima che tu torni alla tua terra? Ti
svelerò o Gilgamesh, una cosa nascosta: Un
segreto degli dèi ti dirò: C’è
una pianta, la
cui radice è come un cespuglio spinoso. Le
sue spine si abbarbicheranno alle tue mani, ma
se la tua mano riuscirà a prendere la pianta, nuova
vita troverai”. La
pianta come si può capire dal testo successivo, cresceva sott’acqua: Non
appena Gilgamesh ebbe sentito queste cose, aprì
il tubo dell’acqua. Si
legò ai piedi pietre pesanti Che
lo portarono giù, nel profondo dell’acqua; Finalmente
vide la pianta. La
prese e se la avvolse attorno alle mani. Quindi
tolse le pietre pesanti dai suoi piedi E
tornò da dove era venuto. Ritornando
con Urshanabi, Gilgamesh gli disse trionfante: Urshanabi, questa
pianta è unica tra tutte le piante: con
essa un uomo recupera tutto il suo vigore! La
porterò alla città di Uruk, la
taglierò a la mangerò. Diamole
il nome “L’Uomo
diventa giovane nella vecchiaia!” Di
questa pianta io mangerò, e
alla mia gioventù ritornerò. Un
sigillo cilindrico sumerico,(fig.10) datato al 1700°.C. circa e che illustra
alcune scene del racconto epico, mostra (a sinistra) un Gilgamesh
seminudo e scarmigliato che combatte contro i leoni; a destra, Gilgamesh
mostra a Urshanabi la pianta dell’eterna giovinezza. Un Dio al centro,
tiene in mano uno strano arnese o arma a forma di spirale. Il Fato, però,
ci mise lo zampino, come tutte le volte che, nel corso dei secoli e dei
millenni a seguire, qualcuno partì alla ricerca della pianta della
giovinezza. Mentre Gilgamesh e Urshanabi si preparavano per la notte,
Gilgamesh vide una sorgente d’acqua fresca e scese in essa per fare il
bagno. Ed ecco la catastrofe: “Un serpente sentì l’odore della
pianta, si avvicinò e la portò via…” Gilgamesh
si sedette e pianse, calde
lacrime gli scorrevano sulle guance. Prese
la mano di Urshanabi , il barcaiolo. “Per
chi hanno lavorato le mie mani? Per
chi ho versato il sangue del mio cuore? Per
me stesso, non ho ottenuto alcun privilegio..” Vi
è poi un altro sigillo cilindrico che illustra la tragica fine della
storia: con la porta alata sullo sfondo, Urshanabi guida la barca mentre
Gilgamesh combatte con il serpente. Non avendo trovato l’immortalità,
egli è ora perseguitato dall’Angelo della Morte.(fig.11) E fu così che, per
generazioni a seguire, gli scribi copiarono e tradussero, i poeti
recitarono e cantastorie raccontarono la vicenda di questa prima, inutile
ricerca dell’immortalità, l’Epopea di Gilgamesh. Ecco
come la storia cominciava: Voglio raccontare a tutta la gente Di
colui che vide la Galleria; di
colui che conosce i mari fatemi
raccontare la storia. Egli
visitò anche… Ciò
che nessuna conoscenza poteva vedere, tutte le cose… Cose
segrete egli vide, ciò
che è nascosto all’uomo egli lo scoprì. Portò
anche notizie Del
tempo che precedette il Diluvio. Compì
un viaggio lontano, tra
mille fatiche e difficoltà. Ritornò,
e sopra una colonna di pietra Incise
tutte le sue fatiche. Ed
ecco come finiva, secondo gli elenchi sumerici ufficiali dei re: Il
divino Gilgamesh, figlio di un essere umano, alto sacerdote del recinto
del tempio, regnò 126 anni. Ur-lugal, figlio di Gilgamesh, regnò dopo
di lui. <<HOME [<<] [I] [II] [III] [IV] [V] [VI] [VII] [VIII] [IX] [X] [XI] [XII] [>>] |